Penang. MALESIA – Giugno 2018 |
“Se leggi solo i libri che tutti gli altri stanno leggendo,
puoi solo pensare quello che pensano tutti gli altri.”
(Haruki Murakami)
Inquietanti e beffarde notizie giungono dalle biblioteche di Roma.
Mentre ogni attività è tornata quasi alla normalità (sembra per poco),
oramai da mesi, tra piste danzanti, ristoranti, partite allo stadio, autobus
stracolmi come lattine di tonno, le nostre care biblioteche ancora no.
Sono sì aperte al pubblico, ma solo su precedente richiesta del libro,
e per portarlo a casa: insomma, libri da asporto.
Non ci si può sedere nelle sale letture e fare ciò che ogni libro
comanda e necessita: aprirlo, sfogliarlo, penetrarlo, annusarlo anche.
No, questo si può fare, ma a casa propria.
Come accade in Giappone, dove le tenerezze tra amanti non possono
assolutamente essere mostrate in pubblico ma solo nel privato delle proprie
abitazioni.
Quindi niente camminate solitarie tra i labirinti della biblioteca,
guardando i dorsi colorati dei libri (con le etichette verdi in basso) e magari
scoprendo, per puro caso, il libro della propria vita.
Vi rivelo un segreto, tanto ormai ho quasi cinquant'anni e i miei
genitori non leggono queste pagine, ma quando ero ancora un'adolescente, e
“marinavo la scuola” – termine affascinante della lingua italiana con cui si
mette olio, aceto e sale all'interrogazione o al complito in classe e si conserva,
rimandandola ad altro giorno – invece di andare per parchi o con gli amici a
Via del Corso, correvo in libreria o in biblioteca e spendevo là tutte le ore
della scuola, prima di tornare a casa, bello nascosto.
Diciamocelo, quanti di noi hanno provato quel brivido erotico (nel
senso mitologico di amore più che sessuale) dell'aprire la prima pagina di un
libro preso a caso, magari solo affascinati dal suo titolo, e non riuscire a
distogliere gli occhi dalle parole che ci attraggono a loro come un buco nero,
di piacere.
La lettura è anche un gioco di dadi.
A volte trovi libri insignificanti, e alcune volte trovi il “sei”: il
libro, il romanzo, la raccolta di poesie, che ti stava aspettando da anni su
quello scaffale, ti guardava camminare ogni settimana da lontano, imbronciato
perché ogni volta gli passavi davanti senza riporre nessuna attenzione, e quel
povero libro non sapeva neanche come fare; se fosse stato un racconto di
Palazzeschi di certo il tomo avrebbe emesso un fischio squillante per
richiamare il nostro sguardo.
Si vaga tra quei corridoi fitti di libri, che Borges chiamava il
Paradiso, si toccano, si aprono, si leggono le quarte di copertina.
Si attraversa il deserto a tentoni.
Ma ogni gioiello è poi solo frutto della nostra fortuna o intuito.
Questo è, per me, il piacere della lettura.
Se io dovessi prendere solo il libro che conosco non potrei aggiungere
nessun nuovo tassello al mosaico della mia conoscenza.
C'è di più; e qui viene fuori il lato tragi-comico di questa storia.
Così mi ha raccontato una mia amica che lavora in biblioteca: “Se tu
vai in un negozio di vestiti, puoi provarti un abito, una maglietta e poi non
acquistarla, e magari dopo viene provata da qualcun altro, mentre da noi, una
volta che il libro è stato riconsegnato, deve essere messo in una busta di
plastica e posto in quarantena per dieci giorni in un magazzino chiuso. Per non
parlare dello spreco di buste di plastica”, ha aggiunto.
Alamak! Direbbero i miei amici malesi, che non
vuol dire niente ma suona bene.
È vero, chi ci avrebbe mai pensato quanto possano essere pericolosi i
libri, su cui magari ci starnutiamo sopra, a casa, e poi richiudiamo la carica
batterica ben conservata, tra le pagine, pronta a saltare fuori all'assalto del
prossimo malcapitato che ha l'unica sfortuna di avere i nostri stessi gusti letterari.
Ma che mondo! Non ci si può fidare neanche dei migliori amici, i libri,
non hanno neanche la delicatezza di pugnalarti alle spalle, come facciamo noi
esseri umani di solito, ma da davanti, nell'intimo delle nostre stanze.
Spudorati...
Questo sì che è un complotto che sembra essere uscito da una trama
criminale di Agatha Christie o da una torva
pagina di Dostoevskij.
A pensar male, sembrerebbe quasi un caso di paura della cultura.
Viene quasi voglia di tirare in ballo un termine altisonante preso in prestito
dalla psicologia: l'angoscia epistemofilia, ovvero la paura
dell'epistemofilia (l'amore-filia per l'episteme, la scienza, la
conoscenza).
Ma alla fine è solo una questione meramente burocratica di kafkiana
memoria.
Però fa riflettere.
Del resto già Ray Bradbury scriveva nel 1953 che i libri era meglio
bruciarli perché sono contagiosi.
Rendono gli uomini liberi.
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Stupendo il modo in cui concludi l'articolo! Associazioni forti, vere,... GRAZIE!
ReplyDeleteGrazie mille 😊😊
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