Uno dei romanzi più affascinanti che abbia mai letto fu “Venivamo tutte
per mare”, scritto da Julie Otsuka nel 2011.
Il romanzo narra, in prima persona, la storia delle migliaia di gioveni
donne giapponesi, le cosiddette “spose in fotografia”, che – nei primi del
Novecento – si imbarcavano verso l'America, per raggiungere e sposare i
giapponesi che si erano trasferiti laggiù per lavorare.
Si erano conosciuti attraverso le fotografie che gli uomini mandavano a
loro e, piene di sogni e speranze, lasciavano la loro famiglia e la loro terra
per iniziare una nuova vita. Scopriranno, appena arrivate, quanta differenza e
inganno ci sarà in quelle fotografie che impugnavano come la chiave magica che
avesse trasformato le loro semplici esistenze.
Da fotografo, quel romanzo è sempre stato importante per capire il
potere delle immagini; soprattutto se legate ai sentimenti e all'amore.
Anche a me capitò molti anni fa, quando iniziavo a fotografare la
comunità del Bangladesh a Roma, che mi fosse chiesto di fotografare dei ragazzi
affinché loro poi stampassero quelle fotografie per spedirle alle loro famiglie
in Bangladesh. I miei ritratti erano la loro occasione di trovare mogli da
portare poi qui a Roma.
Io ero scettico, ma anche colpito da vedere quanto fossero emozionati
quei ragazzi nel posare davanti a me.
Perché vi parlo di questa storia?
Perché ascoltare il racconto di Amin e Nafisa, in parte mi ha ricordato
tutto questo.
Io non li conoscevo, dovevo solamente fotografare il loro matrimonio.
Ma la storia del loro amore mi ha incuriosito.
Amin è un uomo di 32 anni, nato a Old Dhaka, ma arrivato a Roma quando
era ancora piccolo, al punto da dover imparare la sua stessa cultura. Lui si
sente italiano a tutti gli effetti, e sapeva poco anche del rituale del
matrimonio stesso.
Nafisa è una ragazza di 25 anni, nata nel Rajshahi, la città situata
sulla riva nord del fiume Padma, vicino al confine tra Bangladesh e India.
Ma come si sono conosciuti? Non è più il tempo delle fotografie del
romanzo di Osaka, e anche l'idea di essere fotografati e spedire le immagini in
cerca di donne da far innamorare inizia a suonare “old style”, ahimè,
anacronistico.
Adesso tutto si muova sul silicio, si vede ma non si tocca.
Infatti Amin, quando gli chiedo come ha conosciuto Nafisa, mi risponde
che è stato grazie ad una applicazione sul telefono: “BangladeshiMatrimony”, un
sito per incontri su cui è possibile cercare l'anima gemella.
Si caricano alcune fotografie, si scrive una piccola biografia, e ci si
mette alla ricerca dell'amore.
Non è così semplice.
È vero che avere l'intermediazione della famiglia, nei matrimoni
combinati, è un grave peso, e spesso combina più guai invece di far sbocciare
felicità duratura. Però esiste una prova reale di quei profili...
Invece, come mi racconta Nafisa, su quel sito bisogna stare attanti, il
più delle volte le persone sono false. È facile descrivere sé stessi se si deve
catturare l'interesse di qualcuno.
Lei stessa ha rifiutato altre proposte, da ragazzi che vivevano in
America come in Bangladesh, prima di accettare Amin.
E, attenzione, la prima volta che Amin ha parlato con Nafisa nel sito,
in realtà fu il fratello di lei ad interagire. Poi quando ha capito che Amin
era “reale”, e con buone intenzioni ha lasciato la libertà e la loro privacy.
Nafisa già viveva a Milano, nel nord dell'Italia, ma era tornata in
Bangladesh per ben otto mesi, perché voleva studiare il Corano e l'arabo.
A ottobre si sono conosciuti su quel sito, e dopo un mese si sono
incontrati per la prima volta qui. In tre mesi hanno deciso di sposarsi.
Lei ora vivrà a Roma.
Alla fine non resisto a chiederle quanto hanno contato le fotografie nella scelta di Amin, e ovviamente lei risponde che non è certo l'aspetto che è importante ma le sue parole e il carattere.
Ed è bello vederli finalmente sorridere, scaricare la tensione dopo
l'ufficializzazione dell’atto matrimoniale religioso con l'imam.
Non è semplice sposarsi in questo periodo.
Le cerimonie devono essere con pochissime persone.
Nafisa aveva con lei solamente il fratello ed un parente. La famiglia
lontana. Senza amici.
Ma alla fine, realizzare che si è concretizzato il proprio sogno
scioglie ogni tensione. E si può essere felici anche in poche persone.
Poi ormai con i telefoni ci si può vedere in tempo reale anche tra paesi diversi.
Ecco perché mi è piaciuto iniziare con quella fotografia, di loro due
prima di vedersi, ai due angoli della strada. Da soli.
Come una metafora della loro storia d'amore.
Con il pensiero alle giovani donne giapponesi, sulle navi, con le
fotografie dei propri promessi sposi strette tra le mani.
Vi auguro tanta felicità Amin e Nafisa.
Per me è sempre una grande gioia – come mi hai scritto tu Amin, la sera
quando tutto era ormai concluso.
“Grazie ancora per aver condiviso con noi la giornata più bella della nostra vita”
Buona fortuna...
Torpignattara
ROMA – 20 Dicembre 2020
Julie Otsuka: “Venivamo tutte per mare” (Bollati Boringhieri, 2012)
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