“Le Fotografie Che Amo" 15 – Fan Ho

"Qual è il segreto dell'arte della fotografia?
È sperimentare, sperimentare e sperimentare senza fine”
(Fan Ho)

Fan Ho. “Approaching Shadow”, 1954
Fan Ho. “Approaching Shadow” (1954)


Il prossimo fotografo di cui vi voglio parlare è una ferita per me, poiché è il primo, finora, di cui purtroppo non posseggo nessun libro.

Eppure è stato tra le mie mani.

In due diverse occasioni e due paesi differenti.

Era il 2016 quando nel padiglione di Hong Kong, alla Fiera del Libro di Francoforte, fui colpito da una magnifica fotografia in copertina di un libro: era Fan Ho.

Aprire quel libro fu come cadere in trance. Ipnotizzato da un bianco e nero magico, fotografie senza tempo.

Il prezzo del libro era esorbitante; comunque, loro non lo vendevano.

L'anno successivo, alla Children's Book Fair di Bologna la stessa cosa: i suoi libri solamente in esposizione, come la Gioconda al Louvre.

Sfogliare quel libro era una miscela esplosiva di bellezza, struggimento e rabbia per non poterlo avere.

 

Fan Ho, nato a Shangai nell'ottobre del 1931, è stato un fotografo, regista e attore cinese.

A 10 anni, con l'inizio della guerra nel 1941, il giovane Fan Ho fu lasciato dai genitori, bloccati a Macao, alle cure di un domestico di Canton.

Fu solo nel 1949 che riuscì ad emigrare a Hong Kong con la sua famiglia.

Colonia britannica, Hong Kong nel giro di pochi anni vide quadruplicare la sua popolazione in fuga dalle guerre, dapprima a causa della guerra mondiale e dell'invasione della Cina da parte dei giapponesi ed in seguito dalla guerra civile tra i comunisti di Mao Zedong e il Kuomintang.

In quella città il padre aprì una tipografia e lui, ancora giovanissimo,  iniziò a fotografare con una vecchia Kodak Brownie del padre, in seguito con una biottica Rolleiflex che suo padre gli regalò a 14 anni.

Per sviluppare i suoi rullini fotografici utilizzava la vasca da bagno di famiglia, accumulando un significativo numero di fotografie in bianco e nero, con cui aveva raccontato Hong Kong negli anni '50 e '60, anni in cui la città si stava trasformando e si apprestata a divenire un grande centro metropolitano, sempre con la sua  Rolleiflex K4A che usò per tutta la sua carriera.

 

Fan Ho
Fan Ho


Fan Ho è stato membro della Photographic Society of America, della Royal Photographic Society e della Royal Society of Arts in Inghilterra e membro onorario delle società fotografiche di Singapore, Argentina, Brasile, Germania, Francia, Italia e Belgio. È stato nominato uno dei “dieci migliori fotografi del mondo” dalla Photographic Society of America tra il 1958 e il 1965.

Fu anche affermato regista cinematografico, carriera che si interruppe nel 1996 quando raggiunse la moglie e i figli a San Jose, in California, dove emigrarono nel 1979 per offrire ai figli una valida istruzione universitaria.

La figlia, Claudia, afferma che quando si ritirò dal cinema e venne in America si sentì sempre più scontento e scoraggiato per quello che considerava un fallimento nel perseguire l'arte e anche la sua salute cominciò a declinare. I familiari gli consigliarono di riprendere la sua attività fotografica, perciò riprese in mano i suoi vecchi negativi e iniziò a mostrare le sue fotografie in varie gallerie.

Un incontro casuale con Mark Pinsukanjana della Galleria Modernbook di Palo Alto gli offrirà la possibilità di esporre nel 2000 la sua prima mostra personale dagli anni '60. La Modernbook ha continuato a proporre le sue foto e nel 2006 sono state esposte a New York, nello stesso anno è uscito il catalogo “Hong Kong Yesterday” che in copertina riportava la famosa immagine “Approaching Shadow” (scattata nel 1954). Molte delle foto che ha ristampato in questo periodo sono state pubblicate per la prima volta nella sua monografia “A Hong Kong Memoir” nel 2014, dopo averle esposte ancora alla Galleria Modernbook nel 2011 e nel 2014.

Fan Ho è morto a San Jose il 19 giugno 2016 a causa di una polmonite. La sua monografia, “Portrait of Hong Kong”, è stata pubblicata nel 2017, ad un anno dalla morte, contenente 153 nuove fotografie di strada che sono state selezionate tra 500 negativi scelti da Ho prima di morire nel 2016.

Le sue immagini mostrano, di solito, un fascino per la vita urbana, i vicoli, i bassifondi, i mercati, le strade. Gran parte del suo lavoro consistette nel fotografare venditori ambulanti, ragazze e bambini.

È considerato il “Cartier-Bresson dell'Est”, l' “Ansel Adams di Hong Kong”, maestro sopraffino di Street Photography.


Fan Ho. “Back to Mother”, 1955.
Fan Ho. “Back to Mother” (1955)

Comunque, chiunque abbia avuto la possibilità di sfogliare i suoi libri, si è profondamente innamorato delle sue fotografie evocative.

Questa volta io gioco facile, scegliendo quella che lo ha reso celebre.

Quell' “Approaching Shadow”, venduta dalla casa d'asta Bonhams ad Hong Kong nel 2015 per 48.000 USD.

“Ho iniziato a fare fotografie a Shanghai quando ero molto piccolo. Sono autodidatta.

Amo Brahms, Mahler, Stravinsky. Poiché ho studiato letteratura cinese, traggo ispirazione anche dalla poesia e dai drammi cinesi, e anche dai drammi di Shakespeare, dalle tragedie greche e dai romanzi di Hemingway. Io credo di ricevere molto nutrimento dalla arti.”

Disse Ho in una bellissima intervista.

È sempre interessante e fondamentale ascoltare la voce degli autori che raccontano sé stessi, in ogni campo artistico.

In queste poche parole Fan Ho dà un ritratto essenziale di stesso, e conferma come l'ispirazione in Fotografia arrivi da ogni angolo.

Io non conosco i drammi cinesi, ma conosco bene le tragedie greche e i drammi di Shakespeare, così come la musica di Stravinsky.

Ognuno di loro accumunati dalla potenza, dalla forza, ma con un disegno geometrico perfetto. Quasi circolare.


Fan Ho. “Arrow” (1958)
Fan Ho. “Arrow” (1958)


Mi affascina la sua confessione di amore per questi autori, perché la prima cosa che emerge subito, guardando le sue fotografie (o almeno molte di esse), è il gioco continuo di luci e ombre.

Emblematica è appunto questa “Ombra in avvicinamento”, come si potrebbe tradurre (male) il suo titolo – ma “approaching” è anche entrare, avvicinarsi a....

Rimane il dubbio filosofico, più che estetico, se l'ombra imponente che cade ai piedi della donna, sia ad un passo dall'inghiottirla, o sia la donna ad attendere di perdersi in essa con una spinta del corpo dal muro, per entrare dentro di essa.

Ma leggiamo come la descrive lo stesso Ho:

“Ho visto un muro bianco vicino a Causeway Bay. Ho chiesto a mia cugina di stare lì e lei ha recitato come una ragazza di fronte all'ombra che si avvicina. Ho fatto prima la composizione e poi l'ho terminata creando l'ombra scura triangolare nella camera oscura. Non c'era ombra sul muro, in realtà. Significa che la sua giovinezza svanirà e che tutti condividono lo stesso destino. È un po' tragico.”

 

Ecco svelato il mistero di questa fotografia.

Non dimentichiamo che Ho era anche un abile regista cinematografico.

E che da adolescente amava scrivere romanzi, racconti e poesie, ma ogni volta che leggeva un libro soffriva di mal di testa, perciò tradusse il suo amore per la scrittura in scrittura con le immagini.

Ma ciò che si ama non si perde mai, si trasfigura.

Lui vedendo quel muro ha avuto in mente una storia, una rappresentazione teatrale, e tragica – come dice lui stesso: ovvero, la perdita della giovinezza, che è l'ombra imponente che si avvicina alla giovane ragazza, senza via di scampo.

Un'ombra che non esisteva, ma che lui ha creato in camera oscura, come se fosse il suo laboratorio di scrittura.

E allora tornano in mente le tragedie greche, terribili ed essenziali come scolpite nel granito.

Le trame oscure che si tessono nelle ombre dei castelli nei drammi del bardo inglese.


Fan Ho. “Sun Rays” (1959)
Fan Ho. “Sun Rays” (1959)

 

Poi si tornano a guardare le fotografie degli anni '50 e '60 della sua Cina, e sempre di scorgere una costante: Fan Ho è sempre alla ricerca del momento in cui l'essere umano è illuminato, fugge, si libera dalla morsa delle ombre tutte intorno ad esso. Fosse un triangolo, un quadrato di spazio, però non più inghiottiti dalle ombre, come un faro di luce sul palcoscenico della vita.

Ma non sempre si pianifica, anzi Fan Ho è un grande ammiratore di Cartier-Bresson, anche lui insegue il suo “attimo decisivo” tra le vie e i mercati di Hong Kong.

“Vorrei poter fare una foto al momento giusto, proprio come il grande maestro francese Henri Cartier-Bresson. Aspetti il soggetto che può commuoverti, che può toccare il tuo cuore, non importa se è un vecchio o una vecchia, o anche un bambino o un cane. Quindi, quando raggiungi la giusta posizione e la combini con lo sfondo giusto e altre persone, e la abbini anche all'illuminazione, fai clic sull'otturatore in quel momento decisivo. E devi aspettare, aspettare, aspettare e avere pazienza. A volte ho aspettato per strada per ore. E a volte, se ero fortunato, tornavo a casa con qualcosa.”

 

Perché la vita non è una sceneggiatura, e non sempre si ottiene ciò che si aveva in mente.

Che poi questo è anche il suo fascino.

Ma per Ho diventerà anche una dolore. Perché la magia di quella luce non la troverà mai più.

Tornerà ancora nel 2006, l'ultima volta, a Hong Kong, nei luoghi che aveva amato da giovane, Sha Tin, Tai Po, Castle Peak, ma non li riconoscerà più, né tantomeno la “sua” luce.

Perché è un'illusione ingenua credere che la luce sia sempre la stessa, per ognuno di noi. Tutto il mondo percepibile entra nei nostri occhi in modo unico, che appartiene solo a noi.

“È stato difficile scattare fotografie a causa dell'illuminazione. Non esiste più, quando sono tornato non riuscivo a ritrovare l'atmosfera che avevo amato mezzo secolo fa. Non so perché. Forse sono vecchio o antiquato. Forse sto ricordando troppo il passato.”

 

Fa tenerezza leggere queste parole, poco prima della sua morte.

Guardando quelle immagini in bianco e nero che sembrano fuori dal tempo.

Commuove e allo stesso tempo regalano un brivido se avvicinate a quelle che descrivevano la sua foto-icona.

Perché lui stesso è stato vittima della tragedia greca che aveva architettato all'epoca: l'ombra che si avvicina a noi e divora la nostra luce di un tempo, per dire addio, per sempre, alla nostra giovinezza che mai più tornerà.

 

E sì, it’s a little tragic.

 

Fan Ho. “Hong Kong, Venice” (1962)
Fan Ho. “Hong Kong, Venice” (1962)




Official Website: Fan Ho Photography  
Interview: "Ho Fan: In Memory of Hong Kong's Iconic Photographer"

Comments

  1. Vedendo le foto di questo articolo mi ricordo come qualche anno fa, studente al corso di fotografia condotto da te, mi insegnarvi con tanta passione la composizione delle immagini. Questione che ancora mi affascina. Spero di tornare un giorno a fotografare!

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    1. Te lo auguro, è un grande aiuto anche per le tue ricerche 😊💪

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