Karolin Klüppel. “Grace con occhi spaventosi” |
“Tutti i grandi sono stati bambini una volta.
Ma pochi di essi se ne ricordano.”
(Antoine de Saint-Exupéry, “Il Piccolo Principe”)
In questa nuova serie di fotografie vorrei dare più spazio alle donne.
Perché la loro visione del mondo è sempre particolare.
Non credo esista una fotografia “al femminile”, ma di certo può
capitare di riconoscere dietro un'immagine un tocco di delicatezza proprio di
occhi femminili. E questo lo ritengo un complimento.
Questo magari non è un libro molto conosciuto.
Io ho avuto la fortuna di comprarlo alle Fiera del Libro di Francoforte
un bel po' di anni fa; sono riuscito anche a scambiare qualche parola con
l'autrice, Karolin, molto gentile e alla mano.
“Kingdom of Girls” è un libro prezioso, sia per la splendida edizione
curata dall'editore Hatje Cantz, sia per il contenuto.
La fotografa tedesca ha vissuto dieci mesi, tra il 2013 e il 2015, nel
piccolo villaggio di Mawlynnong, nello stato di Meghalaya, nel nord dell'India,
in una delle aree più piovose e umide dell'intera nazione.
Il significato della parola Meghalaya è la “dimora della nuvole”.
Infatti, sembra proprio di entrare in un regno magico, fatato.
Non a caso in questo villaggio vive la popolazione etnica dei Khasi,
una delle poche etnie matrilineari dell'Asia meridionale, insieme ai Garo e ai
Jaintia.
Karolin Klüppel |
Da quando Karolin Klüppel ha ricevuto il suo MFA (Master's Degree in
Photography) nel 2012, ha lavorato esclusivamente a progetti personali che si
occupano delle ultime società matriarcali e matrilineari del nostro tempo.
Dedicando anche mesi convivendo con i soggetti delle sue fotografie.
In questo caso stiamo parlando di una società matrilineare, dove le
donne non hanno lo stesso potere decisionale politico sugli uomini delle tribù
matriarcali, ma il loro potere si esercita principalmente in ambito famigliare.
Sono le donne che detengono il nome della famiglia, le proprietà
terriere, la possibilità di scegliere il marito ed educare i figli, detenendo
il diritto sugli affari dei vari clan.
In una nazione come l'India, prepotentemente patriarcale e maschilista,
dove le donne e le bambine vengono spesso abusate e considerate molto al di
sotto del valore degli uomini (con storie terribili sul destino di bambine
partorite e lasciate morire nei villaggi rurali poveri perché il destino di chi
nasce donna è già scritto con lettere di dolore), questo micro-mondo raccontato
dalle fotografie di Karolin regalo un sorriso e un profondo sospiro.
Vi invito a visitare il suo sito e magari cercare questo meraviglioso
libro, anche per le interessanti postfazioni di Nadine Barth e Andrea Jeska,
sul fascino di queste fotografie e sulle caratteristiche etniche dei Khasi.
Le immagini si susseguono, una dietro l'altra, con un alone di mistero
e molto ironia.
Al contrario delle fotografie lancinanti di Zizola, viste nel
precedente articolo, qui le bambine sono come piccole regine selvagge.
Come scrive Karolin Klüppel, queste bambine sanno bene che loro
detengono il potere nel villaggio, sono assolutamente libere di fare tutto ciò
che vogliono, meritano rispetto e venerazione.
Lei ha cercato di seguirle in ogni loro attività, dal sonno ai giochi,
sempre cercando di essere al livello dei loro occhi, mai al di sopra: adulta
sì, ma sempre una donna al cospetto della colonna portante della loro intera
etnia.
Come se nella loro esuberante voglia di libertà e gioco risuonasse
l'urlo di dolore e rabbia di tutte le bambine dell'India.
Ma sempre con estremo pudore e delicatezza. La note dominante di questa
fotografie.
Allora come fare a sceglierne una?
Ognuna delle 36 foto ha un suo fascino e sentimento.
Sin dall'immagine di copertina, Ibapyntngen con i coleotteri.
Karolin Klüppel. “Ibapyntngen con i coleotteri” |
Colei che ha catturato la mia attenzione tra gli scaffali della casa editrice alla Fiera.
A totale contatto con la natura come una divinità nordica delle foreste.
O la piccolissima Yasmin che si pettina, tutta seria, davanti allo
specchio come prima di andare ad un'occasione di gala.
La sensazione che si ha guardando le foto è che, molto spesso, queste
bambine sono ritratte in solitudine ma hanno attorno a sé come un aurea di
comunità, un legame invisibile con tutte le altre bambine del villaggio.
Non è facile da spiegare a parole, andrebbero viste tutte le foto.
Del resto, come racconta bene Andrea Jeska nella sua postfazione “Khasi
– Born of the mother”, nei tempi precedenti della civiltà Khasi, la salute dei
clan era data dal numero delle figlie femmine, e ognuno dei bambini ha un nome in lingua Khasi che determina la
loro posizione in accordo al sesso e all'ordine di nascita: da Kong,
l'ultima figlia nata, a Khadduh, la figlia più giovane.
Karolin Klüppel. “Yasmin si pettina i capelli” |
Dicevamo, quale foto ho scelto?
La piccola Grace, presente in ben quattro fotografie.
Sembra quasi di leggere una storia.
Questo è il potere di queste fotografie: sono micro storie, micro
racconti.
Ognuno di noi può abbandonarsi a questi volti, scegliere se catturare i
pesci nel fiume o vivere la sensualità conturbante di Ibapyntngen che si mette
il rossetto alla specchio nella solitudine della sua stanza.
Io, dicevo, ho amato a primo sguardo la piccola Grace sulla sedia, con
gli “occhi spaventosi” disegnati sulle sue mani.
Lei se ne sta ritta, con un vestito lungo che rende il suo corpo quasi
stranamente più alto della sua età – in un'altra sua foto lei è forse su una
sedia piccola, nascosta da una lunga veste, e si osserva fiera delle sua
statura che la rende una donna.
Questa è la bravura di Karolin: è sia in grado di lasciarci entrare nel
segreto delle loro piccole vite e nelle loro menti, ma anche di fare un passo
indietro e lasciarci la libertà di immaginare i loro pensieri.
Sarà che anche io, da piccolo, avevo una fantasia sfrenata, e mi
bastavano quattro sassolini per creare un mondo con nomi, relazioni e affetti;
mia madre poteva lasciarmi da solo, per ore, e ritrovarmi nello stesso luogo,
rannicchiato in me stesso, con quei quattro sassolini, pensando che mi fossi
annoiato, senza sapere che avevo creato un universo.
Perciò mi ritrovo tantissimo nella piccola Grace.
È come se fosse il mio alter-ego al femminile, incurante di tutti
quelli “fuori dalla mia stanza” che non possono comprendere.
I giochi che noi creiamo non si possono spiegare, neanche ai nostri
stessi coetanei od amici – non li capirebbero.
Certe cose si possono fare solo da soli, solo in questo modo ci danno
quella profonda soddisfazione.
E non si possono neanche chiamare giochi, sarebbe riduttivo.
È il nostro mondo fantastico!
Solo io, ora e per sempre, sono in grado di comprendere perché mi sono
disegnata gli occhi sulle mani, e con esse copro i miei occhi.
Solo io so cosa sto vedendo e chi voglio spaventare con quegli occhi
enormi e neri.
Questa fotografia è un viaggio fantastico non solo nell'infanzia
personale, ma quasi nella dimensione ontologica dell'infanzia, come ha saputo
fare Saint-Exupéry con il suo Piccolo Principe: anche lui stanco di spiegare ai
grandi quello che non riescono a capire.
Ha il dono di ricordarci il potere della fantasia senza limiti che è un
privilegio dei bambini e, troppo spesso, una colpa negli adulti.
Quanti di noi, davanti a ciò che ci rende tristi o ci spaventa, o ci fa
arrabbiare, vorremmo disegnare occhi tuonanti sulle nostre mani, come Grace,
per cacciare via tutto questo?
La piccola-grande Grace lo fa per noi, in un angolo di stanza di un
remoto villaggio di cui quasi nessuno conosce l'esistenza.
Non solo questo è il merito del lavoro di Karolin Klüppel.
In realtà questo è un libro di donne e per le donne.
Un libro di rivincita e di possesso: possesso della propria femminilità
come un segreto che sarà per sempre inaccessibile ad ogni uomo.
Come il segreto della maternità.
Sono immagini che, sono sicuro, ogni donna in ogni parte del mondo
osserva con un sorriso intimo sulle labbra. Di comprensione.
E tutto ciò la fotografa tedesca lo fa giocando con delle bambine.
Splendido.
Karolin Klüppel. “Grace in abito lungo” |
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