Addio 2020

“Nessun atto di gentilezza, non importa quanto piccolo,
è mai sprecato.”

(Esopo)


Stefano Romano, ROME – August, 2020
ROMA – Agosto, 2020


È buona abitudine salutare chi parte.

Anche se andando via non lascia dietro di sé, di certo, buoni ricordi.

Non vorrei neanche nominare questa pandemia, che ne siamo tutti stanchi.

Anche i dolori dopo un po' annoiano.

Poi, almeno da parte mia, ho cercato di viverla veramente nel modo più distaccato possibile. 

Non certo per inconscienza, ma perché so molto bene come pensare in modo fisso alla malattia porti poi ad ammalarsi.

Il nostro corpo e la nostra mente sono una calamita: attirano ciò su cui si trafiggono.

Non sarò un monaco zen, ma c'è tanto da imparare dalla loro capacità di lasciare fluire via il pensiero che disturba.

Un po' di sano fatalismo, una repulsione atavica per ospedali e dottori, ed ecco che questo anno l'ho trascorso più a controllare i demoni della mia mente che non i germi nell'aria.


Poi, del resto, sono stato sempre molto abile a far slittare mentalemente il fulcro delle mie preoccupazioni da un piano ad un altro.

È vero che è stata una pena rinunciare a viaggiare, fare fotografie, incontrare gli amici, tenere lezioni, ingrassare a casa nel tedio di giornate tutte uguali; però ancora mi bruciava molto la rabbia per avere dovuto dire addio per sempre al sogno della Malesia.

Come un baratro che si apre di colpo davanti ai piedi in corsa: Malesia, due anni, e il Bangladesh, un mese, e poi... il nulla.

Neanche il tempo di fiatare, assorbire lacrime e gioie.


Mi ha salvato la scrittura, questo va detto.

Senza ombra di dubbio, scrivere per questo Blog, per voi, è stata la mia ciambella di salvataggio nella tempesta.

Pensavo di avere ripudiato ormai la scrittura. Invece eccomi qui, a ringraziare ognuno di voi, che ogni giorno aspettate il nuovo articolo. La nuova fotografia.


Come per la fotografia, anche la scrittura per me non ha senso senza qualcuno che legga. Non ho mai scritto per me stesso solamente. Così come preferisco non fotografare se so che poi non posso condividere ciò che vedo.


Uno dei momenti che mia madre mi racconta sempre è l'episodio di quando avevo dieci anni e stavo operandomi per la seconda volta al cuore: mi dice che ogni pomeriggio radunavo tutti i bambini della sala, una decina ognuno nella sua sala da letto divisi in vetrate, nella mia, sul mio lettino, e non so che dicevo ma li facevo ridere così tanto che – a volte capitava – qualcuno di loro si face la pipì nel pigiama.

Mia madre me lo avrà raccontato una trentina di volte.


È difficile interpretare se stessi a distanza di così tanti anni, ma mi fa piacere credere che fosse un modo di rendere più tollerante il nostro dolore. Non è che essere bambini rende il dolore e la tristezza meno forti.

E ridere fino a sentirsi male penso sia come una medicina.

Ma soprattutto la condivisione. La compassione.

Tutte quelle parole che hanno origine dalla particella con, com-patire, “sopportare insieme”, sono tra le parole più belle.

Così è per me ogni forma di arte o di espressione. Si fa per essere condivisa.

Quello che vedo, provo, scrivo, è per voi.


Ed è così che voglio salutare questo anno da molti definito maledetto.

Senza provare ad accennare alle morti, le sofferenze, la malattia.

Ma come l'anno in cui di più è stato condiviso e “compatito”.

Grazie a voi mi è tornata la fiducia nella parola.

Penso ancora che sia facilmente ingannevole, adulatoria, fallace, limitata, ma tutto dipende dall'intenzione – come in ogni cosa.

E la parola, come l'immagine, sono profondamente legate all'essere umano.

Perciò, lasciamo che questo anno difficile molli gli ormeggi, senza serbare rancore. 

Alla fine, avere fiducia nelle nostre parole significa imparare ad avere fiducia negli esseri umani.


Non c'è migliore augurio per l'anno nuovo che verrà.


Grazie ancora...


ROMA – Aprile, 2009



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