Torpignattara. Roma, 17 dicembre 2022 |
Dopo che una sua giovanissima allieva ha terminato di cantare una
canzone, Sushmita Sultana ha pronunciato un piccolo discorso.
È accaduto durante il suo programma per la celebrazione del Victory
Day, il Giorno della Vittoria – in
bengalese : বিজয় দিবস Bijôy Dibôsh – che è la festa
nazionale in Bangladesh, celebrata il 16 dicembre, per commemorare la sconfitta
delle forze armate pakistane nella guerra di liberazione del Bangladesh nel
1971, durata nove mesi, e la sua indipendenza.
Come ogni anno la scuola di Sushmita, la Sanchari Sangeetayan (la
parola sanchari in sanscrito ha diverse sfumature di significato che
vanno da errante, serpeggiante, transitorio, in movimento e così via; nel
contesto di Bharatanatyam, sanchari è un elemento grammaticale che viene
impiegato durante l'interpretazione di testi o narrazioni attraverso l'uso di
espressioni facciali, gesti delle mani e linguaggio del corpo, chiamato abhinaya),
composta da bambine e bambini del Bangladesh di età differenti, ha prima dato
luogo alla gara di disegni a tema e poi, dopo aver eseguito l'Inno Nazionale,
gli allievi si sono esibiti in danze, canzoni e poesie tradizionali, sotto
l'occhio attento dell'insegnante, davanti alle loro famiglie.
Sushmita vuol dire “bel sorriso”, infatti il suo volto è una misteriosa
combinazione di dolcezza e severità.
Con suo marito Iftekharul si sono conosciuti quando studiavano all'Accademia
delle Arti di Santiniketan, in India, dove nacque il loro amore e di seguito il
loro matrimonio. Nel 2008 lei ha raggiunto suo marito a Roma.
Frequentando la scuola Asinitas, a Torpignattara, dove ha studiato
l'italiano, ha avuto modo di entrare a farne parte, prima come cantante nel
coro e poi aprendo la sua personale scuola il 31 maggio del 2014.
Scuola che è il suo omaggio alla cultura bengalese, a Tagore ma anche
il modo di trasmettere l'amore per la propria cultura alle nuove generazioni
che nascono nelle vie di Roma.
Da qualche mese, oltre alle lezioni di canto, danza e harmonium, ha
iniziato anche quelle di lingua Bangla, per completare la formazione dei
bambini.
Nelle poche parole dopo quella canzone, Sushmita ha ricordato il nostro
primo incontro durante un Capodanno del Bangladesh nel maggio del 2009: il mio
primo Capodanno e anche l'inizio simbolico del mio percorso di fotografo.
Si è commossa ricordando quei tempi e guardando la piccola bambina che
ha cantato.
Quando io la conobbi ancora danzava, elegante e dallo stile classico.
Ha detto che siamo invecchiati – così mi hanno tradotto.
Eh già, cara Sushmita.
È inevitabile, tredici anni non sono pochi.
Anche io, come te, ho affiancato nel tempo la nostra passione artistica
all'insegnamento.
E graffia il cuore avere la sensazione di non avere più la forza di
allora, quella stessa energia, quel corpo.
Come nel tramonto però il sole, calando, assume colori più intensi, di
fuoco.
E poi c'è l'insegnamento. Non so se lo sai, ma la radice di questa
parola viene dal latino tardo insegnare, ‘incidere, imprimere dei
segni’, composto da in- e segnare. Lasciare un segno dentro.
Credo che questo sia stata la vera origine della tua commozione.
Non tanto il tempo che passa, poiché quello è il naturale percorso di
ogni essere vivente, ma vedere quel segno nella piccola allieva.
Sapere che anche quando noi non ci saremo più, comunque, resteremo,
abitando nella anime di chi è stato “in-segnato” da noi.
Ti lascio, e vi lascio, con una poesia dal Gitanjali del nostro amato
Tagore.
Sushmita Sultana. Roma, 23 maggio 2009 |
Torpignattara. Roma, 17 dicembre 2022 |
Grzie mille❤
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