Sanscrito: Alle Radici Della Lingua Indo-Malese

 


Da quando ho vissuto due anni in Malesia, e ho frequentato le classi di lingua malese, tenendo alcune lezioni specifiche sulla contaminazione delle diverse lingue, sono tornato ad appassionarmi nuovamente ad un antico amore dei tempi dell'università: la linguistica, appunto.

Va aggiunto, anche, che negli ultimi anni ho intensificato lo studio e la conoscenza dell'induismo, grazie alla frequentazione della comunità induista del Bengala a Roma.

 

Perciò mi è presa la folle idea di approfondire lo studio del Sanscrito, almeno a livello etimologico, perché è un dato di fatto che la maggior parte delle parole delle lingue indo-malesi, così come la cultura, l'arte e in parte la religione, di questi paesi sono impregnate dalle influenze indiane e induiste.

Ancora ricordo lo stupore dei giovani studenti dei corsi di BM – lingua malese – nella facoltà umanistica, quando feci loro un breve elenco di parole malesi che erano, in realtà, parole sanscrite.

Il Sanscrito, del resto, è la lingua primaria e più antica parlata in tutta l'Asia, nel Sudest asiatico e in Europa: proveniamo tutti da là.

Poi nei millenni ha generato il Pali, il Persiano, il Greco e Latino, il Giavanese, tra le lingue antiche; mentre nelle lingue moderne ha influenzato il Tamil, il Punjabi, l'Arabo, l'Ebraico, il Tagalog, il Thai, l'Inglese, il Francese, il Russo e le lingue indo-malesi.

Ovviamente, nei secoli, le lingue si trasformano, agglomerando influenze di altre lingue. La lingua malese, per esempio, deriva dall'antico Giavanese, che era una lingua imparentata al Sanscrito.

 

La culla di tutte queste influenze linguistiche sono i due celebri poemi epici del Ramayana e Mahabharata. Ma, ad influenzare maggiormente la tradizione letteraria malese fu il “Hikayat Seri Rama”.

Si dice che il Ramayana giunse in Malesia grazie alla tradizione del teatro delle ombre giavanese, il Wayang Kulit.

Questa antica arte conobbe però delle modifiche dovute alla forte cultura islamica in Malesia, che ne modificò alcuni elementi, occultando soprattutto il substrato induista. I caratteri del teatro Wayang Kulit, i Kelantan Dalangs, divennero tutti musulmani, in accordo con la religione dominante.

In Malesia il Mahabharata divenne il “Hakayat Perang Pandawa Jaya”, “Il Racconto della guerra di Pandawa il vittorioso”, composto tra il tardo 14° e il 16° secolo, e “Hikayat Maharaja Boma”.

 

Io sono profondamente affascinato da come le lingue si influenzino a si modifichino nel tempo.

Le etimologie rimangono un luogo magico, un giardino incantato in cui passeggiare per conoscere più a fondo le nostre lingue.

Ovviamente ci sono parole che sono evidentemente di origine sanscrita, delle quali è impossibile dubitare, come Raja, il Re in molte lingue del Sudest asiatico.

Altre rimangono più sorprendenti.


Torre di Babele 

 

Ho qui raccolto una serie di parole dal malese, e molto simili all'indonesiano, che provengono o sono del tutto parole sanscrite.

È una lista puramente soggettiva, quelle che mi hanno colpito di più e che mi hanno sorpreso. Per alcune di esse l'analisi del significato originale è anche molto interessante.

Non so voi, ma io mi diverto come un bambino a giocare e imparare le parole.

Perciò le offro a voi, ai miei molti amici malesi e indonesiani, che magari già le conoscono, oppure che ne ignoravano l'origine, condividendo con voi conoscenza, stupore e amore per la lingua.

 

Per tornare all'incredulità degli studenti di lingua malese nell'università, credo che tra le parole più interessanti ci siano quelle relative alla religione, in questo caso l'Islam.

La stessa parola Agama, religione, è parola Sanscrita che significa “dai Veda”, “ispirata ai testi religiosi”.

Surga è il Paradiso, Svarga, e Neraka è Narakah, l'Inferno, ovviamente non in senso cristiano-islamico ma dei cieli e degli infernali luoghi della tradizione induista.

Dosa è Dova, il peccato, e Puasa è il Digiuno – Upavasa.

Anche l'amore è totalmente di origine sanscrita, con Cinta (Sinta in Tagalog) che deriva da Cinta (“prendersi cura”), mentre più affascinante è Asmara, uno dei termini più poetici per dire amore – mi viene subito in mente la famosa canzone “Asmara Bergelora” (amore romantico o turbolento), un classico di Uji Rashid & Hail Amir: bene, in Sanscrito Asmara è Smara, ma non il semplice amore bensì la lussuria. Questo è uno di quei casi in cui le parole vengono addomesticate dalla cultura e dalla religione per entrare a far parte del lessico comune.

 

Mentre sulla parola Suami, marito, feci una specifica digressione durante quella lezione, perché fu per me sorprendente conoscerne l'origine.

Ricordo che ascoltai queste parole ripetutamente in una raga induista in un CD che comprai a Little India, a Penang; perciò, incuriosito dal perché venisse ripetuta continuamente la parola “marito” in una raga, chiesi ad una mia amica induista indiana e mi spiegò che in realtà era Swàmi, che in Sanscrito significa Dio, o alto sacerdote.

Curioso – e molto furbo, direi – che nella lingua indo-malese questo termine significhi oggi “marito”: lascio a voi ogni personale considerazione, io ho già tratto le mie conclusioni.

E comunque, già che ci siamo, anche Isteri è Stri, moglie, Keluarga la famiglia è Kula-varga, la “residenza di una famiglia”, e Wanita è Vanita, la donna.

 

Si può fare un uso molto intelligente delle etimologie, Pandai si dice intelligente, che deriva da Pandita – imparare.

Alcuni termini, come ho detto all'inizio, sono di facile comprensione come Puji (il lodare, adulare) che è un diretto derivato di Puja, la preghiera e la lode religiosa; o Sastera, Sastra, la letteratura che deriva da Sastran, “le letture” e àstra, il Manuale.

Baca, leggere, è Vaca, “parole con voce”, e Kata, parola, è Katha, “storia”, che in bengali è Kotha; Bicara è Vicàra, la “discussione”, e Budaya (la cultura) è Bahu-deya, “la munificenza, la qualità o l'azione di essere estremamente generosi”, etimologia questa molto affascinante relativa alla “cultura”.

 

Delle parole adesso che amo particolarmente: la mia adorata Cahaya, la luce, che in Sanscrito è Cha-ya, l'Ombra (con tanto amore dai filosofi zen giapponesi), Jiwa, l'anima che è tale e quale Jiva, “l'anima personale.”

Bahagia, la felicità, che deriva da Bhagya, “della buona fortuna”.

Warna è Varna, il colore, Suka (piacere) è Sukha, la felicità, Sempurna è Sampurnatà, “la Perfezione”. E Saya (io) è Swayam, “me stesso”.

 

Tra le ultime parole di questo breve viaggio non può mancare una tra le più amate, legata alla Giornata nazionale di questi due Paesi: Merdeka! “libertà”, che deriva da Maharddhika: la “prosperità”.

 

Una voce a parte merita una parola che ha invece perso tanto nei secoli, e che invece era una tra la più forti nella tradizione induista.

Rasa, il sapore o anche sentimento, il “sentirsi strani” (rasa aneh).

Su questo termini ci sono interi capitoli di libri sulle origini del Sanscrito e della tradizione induista.

Cito qui due libri che ho comprato recentemente e sto studiando, uno molto complesso e difficile di René Daumal sul Sanscrito.

Lo studioso spiega che, relativamente alla distinzione e classificazione dell’arte nell'antica India, Rasa è l'essenza della poesia (compreso il teatro).

“Si chiama Sapore la percezione immediata, dall'interno, di un momento o di uno stato particolare dell'esistenza, provocato dall'entrata in azione dei mezzi di espressione artistici. Esso non è oggetto né sentimento né concetto; è un'evidenza immediata, un assaporamento della vita stessa.”


L'altro libro è dello studioso Giovanni Torcinovich, un'Indologo dell'Università Ca' Foscari di Venezia, sull'Arte in India e la sua simbologia.

Nel libro si fa riferimento al testo di Bharata “Natyasastra” sulla drammaturgia, un caposaldo delle arti indiane classiche. Qui è esposta la “teoria dei rasa” , su cui si fonda tutta la visione indiana dell'arte in generale, per cui l'arte è capacità semantica di esprimere, attraverso i sensi, appunto. Le arti suscitano emozioni nell'uomo attraverso i sensi.

I rasa sono nove (navarasa), e ad ognuno di essi è associato anche un colore, ma questo lo vedremo in un prossimo articolo:

    l'amore, shringara
    l'allegria, hasya
    la compassione, karuna
    la collera, raudra
    l'eroismo o il coraggio, vira
    il terrore, bhayanaka
    l'odio, bibhatsya
    la meraviglia, adbhuta
    la pace, shanta

 

Questo solamente per dire quanto sia complesso lo studio di questo parola e quanto abbia perso nei secoli.

Non il semplice sentimento o il gusto di sapori, ma un'esperienza mistica di profonda comunione con il mondo attraverso le arti.

Dimenticavo, Bahasa, la lingua, è anche parola sanscrita: Bhasa.

 

Io credo sia sufficiente e spero che possa avervi dilettato passeggiare nel Giardino Antico delle Parole.

Noi conosciamo il mondo attraverso il linguaggio che impariamo da bambini, per noi non esiste altro modo di crescere se non quello di “nominare le cose”. Per questo è importante dare il giusto tributo alla madre di molte delle nostre lingue.

Io continuerò a studiarlo e magari tornerò in seguito a scriverne.

 

Un pensiero va a tutti i giovani studenti che ho incontrato, e spero che non vi fermiate mai davanti la prima porta chiusa ma ne aprirete una dopo l'altra.

Per ultimo, mi scuso per la scrittura non esatta dei termini sanscriti, che hanno una accentazione complessa e non presente nella tastiera.

Comunque allego un articolo da cui ho tratto queste parole così potrete divertirvi a trovarne altre:  Malay Words of Sanskrit Origin .





  



René Daumal: “Lanciato dal pensiero” (Adelphi, 2019)
“India – Arte oltre le forme” a cura di Giovanni Torcinovich (VAIS – Il Cerchio, 2013)



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