“Nella foresta
l'uomo si sente veramente libero.
Quando più uno
vi si aggira e tanto più se ne innamora; quanto più uno la studia e tanto più
ne rimane a conoscere. Le sue ombre, sacre alla scienza, tanto appagano lo
spirito del credente, quanto quello del filosofo.”
(Odoardo Beccari)
“Tessitrice daiacca del Seribas” |
Vi voglio parlare di un libro incredibile che ho acquistato alcuni giorni fa.
Un libro che offre una nuova prospettiva
sul passato di un famoso mito e che parla della Malesia, scritto dal primo
italiano nella storia che visitò questo paese: Odoardo Beccari.
Tutti conoscono Emilio Salgari e il suo
Sandokan, venerato come un mito in Malesia perché, da sempre, considerato il
primo scrittore che ambientò i suoi romanzi in Malesia. Lo scrittore, nato a
Verona, ambientò infatti il suo ciclo indo-malese dei romanzi proprio in
Malesia: Sandokan e le sue tigri della Malesia, usciti prima appuntate sulle
riviste nel 1883 e poi pubblicati come libri nel 1900, da “I pirati della
Malesia” (1896), “Le tigri di Mompracem” (1900) fino a “Sandokan alla riscossa”
(1907), facendo conoscere al mondo intero questa lontana terra esotica.
Ispirandosi alla figura di James Brooke, il Raja Bianco di Sarawak.
C'è da dire, però, che come è noto Salgari
non visitò mai la Malesia, eppure i suoi romanzi erano dettagliati nella
descrizione della fauna e flora e dei
costumi del luogo, tanto che ispirò anche molti film e serie tv.
Fatto mirabile!
Questo fu possibile perché lo scrittore
veronese attinse a piene mani al libro di Beccari, di sua grande ispirazione:
senza gli scritti del naturalista e avventuriero fiorentino Sandokan non
sarebbe mai stato scritto in quel modo.
“Nelle foreste di Borneo” |
Antefatto storico.
Nell'Ottocento si assiste ad un nuovo
importante fenomeno: l'organizzazione di spedizioni di raccolte naturalistiche
in varie parti del mondo.
“Con la nascita
della Società Geografica Italiana, fondata a Firenze nel 1867, tale pratica è
condotta con sempre maggiore organicità da numerosi esploratori, con il
fiorentino Odoardo Beccari, uno degli indiscussi protagonista di questo nuovo
corso della ricerca naturalistica della seconda metà del XIX secolo.”
Ed è proprio alla sua prima grande esplorazione,
condotta tra il 1865 e il 1868, nelle foreste di Sarawak, nel Borneo
Settentrionale, che è dedicato “Nelle foreste del Borneo”, pubblicato per la
prima volta nel 1902, e questa tra le mie mani è – incredibile – la seconda
edizione.
Si narra di come Beccari non fosse solo uno scienziato, ma uno spirito avventuriero e filosofico, la cui scrittura è profondamente poetica anche quando descrive la varietà botanica della foresta, luogo in cui troverà la sua vera essenza e si sentirà più a suo agio che nei salotti fiorentini.
Prima che Beccari, insieme al suo
inseparabile amico Giacomo Doria, fecero la loro esplorazione (ma Doria dovette
tornare in Italia subito), le Indie Orientali – che andavano dalla Penisola di
Malacca fino a Bali e le Isole delle Molucche – erano già state visitate dal
celebre naturalista inglese Alfred Russel Wallace nel 1854, e il nostro Beccari
ne calcò le orme con entusiasmo.
“In Borneo, nella
più grande fra le isole della Malesia, esiste un paese nel quale un “Rajah”
(Ragià) ed una “Ranee” (Rani), del più puro sangue inglese, governano in modo
assoluto uno stato grande quasi quanto due terzi dell'Italia, che ha la sua
flotta ed il suo esercito, ma che non è connesso ancora con una linea
telegrafica col resto del mondo, che non ha ferrovie e nemmeno strade, ed è
invece nella massima parte coperto da interminabili e dense foreste, nelle
quali vagano gli Orang-utan. […] Questo è il Regno di Sarawak, che deve la sua
origine ad un uomo superiore, amante di avventure ed intraprendente, il
Capitano James Brooke, e che adesso il nipote, Sir Charles Brooke, secondo
Ragià europeo, arditamente e con spirito di vera filantropia conduce a gran
passi nella via del progresso e verso la civiltà.”
Così scrive Beccari nella Prefazione del
libro, in cui vengono nominati sia il famoso James Brooke a cui si ispiro
Salgari per il suo antagonista a Sandokan, conosciuto infatti come lo
“sterminatore dei pirati”, sia il nuovo Rajah bianco Charles Brooke,
fondamentale durante il suo soggiorno nel Borneo.
“Un 'sampan' malese e villaggio di pescatori nel Sarawak” |
Ma più di lui, questo libro non avrebbe mai
visto al luce senza l'aiuto e il supporto fondamentale di una donna: la Ranee
Lady Margaret de Wind, moglie del Rajah Charles, anche se non per lungo tempo.
Donna leggendaria che meriterebbe una
storia a sé, molto forte ed intelligente, che sposò il Rajah nel 1869, vivendo
nell'Astana di Kuching che il marito le offrì come dono di nozze, come
un Taj Mahal malese, ricordata anche come colei che compose l'inno nazionale di
Sarawak: “Gone Forth Beyond the Sea” nel 1872.
Fu lei che, molti anni dopo in Italia, nel
1897, incontrando di nuovo Odoardo Beccari , lo spinse a scrivere il suo libro,
perché come lei gli disse, nonostante gli anni trascorsi i costumi degli
abitanti di Sarawak erano rimasti gli stessi.
La Ranee, come il naturalista, nutrivano un
profondo amore per il luogo, il popolo malese e la loro lingua che avevano
imparato perfettamente, e fu grazie a lei che il libro può anche mostrare le
fotografie dell'epoca, oltre ai disegni fatti da Beccari: infatti, il
fiorentino non fece nessuna foto, mentre Lady Margaret approfondì nei suoi
viaggi a Sarawak, una volta divorziata e perso il titolo che mantenne però
sempre a livello simbolico, la passione per la fotografia, e scattò molte foto
che poi donò nel 1897 (durante il loro incontro) allo scrittore, che nel
frattempo era diventato non solo un esperto fotografo, ma anche uno dei
fondatori della Società Fotografica Italiana.
Lei ritrovò in Beccari quella stessa
passione ed amore per la Malesia che il marito, all'epoca del loro soggiorno in
Sarawak, non aveva mai avuto, al punto che il naturalista considerava quello il
“loro” libro.
“Ragazza daiac del Seribas che porta in capo il 'sisir' in argento” |
“Gruppo di daiacchi di terra” |
Il viaggio fu lungo e attraversò l'India e lo Sri Lanka, fino al primo luogo di approdo: Penang.
Almeno a me stringe il cuore leggere
l'entusiasmo con cui Beccari descrive il primo momento in cui arrivarono a
Penang:
“È sempre un piacere
infinito calcare la terra, dopo aver percorso per lungo e per largo giorni interi
il ponte di un bastimento; ma questa sensazione è cento volte più viva, quando
la terra d'arrivo è di tutt'altra natura di quella della partenza, e dove
uomini, animali e piante non sono più quelli che siamo abituati a vedere ogni
giorno, e tutto si presenta sotto un aspetto insolito. […]
Trovammo le strade
di Pinang spaziose ed animatissime, ma contro la nostra aspettativa, la
popolazione era per la massima parte composta di Cinesi. Eravamo nel nostro
giro entrati precisamente nel “kampong” o quartiere abitato dai figli del
Celeste impero. […]
Meno quella parte
prossima al porto, dove si trovano riuniti gli uffici degli Europei, un albergo
ed il quartiere cinese, il rimanente della citta di Pinang è molto sparso, ed
il maggior numero delle abitazioni è disseminato lungo grandi viali, all'ombra
di alberi da frutto, di casuari ne, di cocchi, di “arache” o “pinang”, la palma
che ha dato il nome all'isola.”
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Da quel momento inizia la sua descrizione del popolo e della lingua malesiana, che impara molto velocemente e descrive con accuratezza, così come l'intreccio di razze che costituisce il popolo malese.
“La lingua malese è stata chiamata l'italiano
dell'estremo oriente per il suono armonioso e la sua dolcezza,” scrive Beccari nato nella
città che fu la culla della lingua italiana.
Il libro riporta la descrizione di tutta la
ricchezza del biosistema della foresta del Borneo, in cui visse con il popolo
Dayak, tra avventure con i tagliatori di teste e alla scoperta di leggendari
animali, come le serpi volanti, l' “ular teddong-kumbang” che mai vide ma che
sapeva esistere perché aveva piena fiducia nei racconti dei malesi.
Anche se l'incontro che lo colpì più di
tutti fu con l'Orang-utan, quello che è conosciuto in tutto il mondo con questo
nome e che significa, appunto, l' “uomo della foresta” per la fortissima
somiglianza si questo primate con la fisionomia umana.
La foresta rimarrà per lui un luogo non
solo essenziale al suo lavoro, ma anche profondamente mistico e vicino alla sua
vera essenza di uomo.
Per concludere, questo è un libro che ha
molti significati e vari livelli di lettura.
Si può leggere come un ricco catalogo di
bellezze naturali, descritte in ogni dettaglio, per oltre 500 pagine.
Come uno degli affascinanti capolavori
della letteratura di viaggio verso terre esotiche scritto in modo veramente
poetico.
Oppure come un libro d'amore per una terra
lontana, desiderato da due anime così diverse, quello dello studioso e
avventuriero e quello della nobildonna intelligente e curiosa, entrambi
affascinati dal luogo in cui vissero per diversi destini.
Ma è anche importantissimo per il suo ruolo
fondamentale nei confronti della fama mondiale di Salgari, che fu – è vero –
capace di inventare una saga avventurosa che fece conoscere a tutti la Malesia,
ma che non avrebbe mai avuto la stessa forza senza i racconti dettagliati e
l'esperienza vissuta sulla propria pelle da Beccari.
E non per ultimo, questo è un libro che ci
ricorda l'importanza vitale che hanno le nostre foreste e la loro biodiversità
umana e naturalistica, che ha in fotografia il corrispettivo con l'ultima
fatica di Salgado: “Genesi”.
Non a caso, ad introduzione del libro, tra
altri saggi, c'è anche uno di Nicola Messina sulla situazione attuale del
Borneo, che lascia veramente l'amaro in bocca.
“Dall'epoca della
spedizione del giovane Odoardo, ovvero dal 1865, ad oggi, la situazione
complessiva del Borneo, non solo di quello malese ma di tutta l'isola, è
drammaticamente peggiorato dal punto di vista della qualità degli ecosistemi e
dei servizi ad essi associati. […] Nella fattispecie, il Borneo, terza isola
più grande del Pianeta per superficie, negli ultimi quarant'anni ha perso il
30% delle sue foreste pluviali, da quelle miste dei giganti arborei alla vitali
torbiere: fatto estremamente grave anche a causa del perverso utilizzo delle
tecnologie che, diventando sempre più sofisticate, consentono agli uomini
d'affari di impattare ancora più pesantemente sulla Natura e di aprire varchi
nel cuore delle fitte foreste primarie, ormai rarissime, in tempi sempre più
rapidi.”
E di come, le piantagioni della palma da
olio, che non è affatto d'origine malesiana ma fu introdotta dagli Olandesi nel
1848 a Giava e nel 1910 in Malesia dallo scozzese William Sime, stiano
deforestando completamente gli ambienti tropicali.
Dietro il racconto avventuroso e poetico di
Beccari, più che nelle impavide scorribande di Sandokan, c'è un monito ed un
urlo d'amore per la Malesia che arriva fino ai giorni nostri, sperando che se
ne faccia tesoro più dei saccheggi dei pirati di Salgari.
Odoardo Beccari morì il 25 ottobre del
1920.
“Famiglia di Orang-utan della razza 'kassà' sopra un albero di 'durio' |
Odoardo
Beccari: “Nelle foreste di Borneo” (Edizioni Clichy, 2020)
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