Li fotografo per cercare di conoscerli, per conoscermi, per esprimere i pensieri, i sentimenti, le emozioni che mi suscitano.
Per conservare una traccia.
Per me la fotografia è racconto e memoria.”
(Ferdinando Scianna)
“Giovanna Rotolo”. Bagheria, 1981 |
L'ottava scelta, tra le mie fotografie preferite, ci porta finalmente
in Italia.
Non è che nel mio paese manchino fotografi importanti, oppure non nei
miei gusti personali. Io amo Felice Beato, Carubba, Giacomelli, Berengo Gardin, Ghirri,
Pellegrin. E altri ce ne sono. Per certo, di alcuni di loro ne parlerò in serie
future.
Ferdinando Scianna |
Ma questa scelta è per una fotografia di Ferdinando Scianna, il fotografo siciliano nato a Bagheria, nel 1943.
Con una laurea in Letter e Filosofia, Scianna inizia la sua avventura
fotografica documentando i riti religiosi della sua Sicilia; ed è durante una
sua mostra, nel 1963, che incontra lo scrittore Leonardo Sciascia con cui
pubblicherà un libro insieme: “Feste religiose in Sicilia”, nel 1965, a soli 22
anni.
Trasferitosi a Milano diventa fotoreporter per L'Europeo, per
cui fa l'inviato a Parigi per 10 anni. Là conosce Henri Cartier-Bresson con cui
nasce una profonda amicizia; è grazie a lui che diventa il primo fotografo
italiano ad entrare nell'agenzia Magnum, nel 1982.
Il momento della morte del maestro francese è così descritto da
Scianna:
“È morto sereno il gran nervoso. È morto come
è vissuto, senza paura. Lo specialista in evasioni è riuscito anche in questa.”
Scianna ha una sua peculiarità. È il fotografo di cui posseggo più
libri scritti che non fotografici, nella mia libreria.
Lui ama scrivere assai, e io adoro il suo stile.
È un siciliano loquace, scrive molto di fotografia e dei suoi ricordi,
di come vive e vede la fotografia. Ho già citato più volte il suo libro
seminale, “Lo specchio vuoto”, sul ritratto.
Ma la sua bibliografia è veramente ricca. Così come i suoi interessi
dietro l'obiettivo. Ha fotografato di tutto: ritratti di artisti e scrittori,
l'India, la Bolivia, la guerra a Beirut, Yemen, le strade di New York, ha
creato il mito della modella Marpessa con la campagna pubblicitaria di Dolce e
Gabbana, dolcissimi poi sono i suoi scatti dei bambini.
Kami, Bolivia, 1986 |
La fotografia che ho scelto non è tra le sue più celebri. Alcune sono
veramente iconiche e compaiono spesso quando si parla di lui.
Questo è un ritratto di sua nonna materna Giovanna, a Bagheria.
Il rapporto che Scianna ha avuto con la sua Sicilia non è mai stato
semplice, o indolore; i suoi scritti ne sono accurata testimonianza.
“Sono
nato in Sicilia, a Bagheria, un paesone a pochi chilometri da Palermo,
il 4 luglio del 1943, a mezzogiorno.
Tempi cupi, tempi di guerra. […]
I miei primi ricordi appartengono a un mondo
contadino povero, ancora immobile. Un mondo che ho ritrovato in certi luoghi
dell'India o in Africa...
Mia madre faceva la mattina le stesse cose
che le donne facevano ai tempi di Penelope, gesti che ritrovavo leggendo
l'Odissea a scuola. Accendeva il fuoco per riscaldare il latte della colazione,
lavava i panni a forza di braccia, lavorava a maglia, ricamava.
Intorno a me il lavoro era soprattutto fatica
fisica.”
Quei luoghi diventano per lui un'ossessione, ricordo e odio.
Sono luoghi forti da cui si è costretti a fuggire per provare
un'esistenza migliore, ma che ti chiamano ogni momento, perché quando parti sai
che stai lasciandoti alle spalle un mondo che non ritroverai più.
E così fu. La bellezza delle ville barocche aveva ceduto il passo
all'abusivismo edilizio mafioso che ha lacerato quelle splendide terre e
visioni impresse nei suoi frammenti di cuore in bianco e nero, da ragazzo.
“Non si va via dalla Sicilia. Si fugge,” scrive nel bel libro fotografico “La Geometria e la Passione”.
“Festa del Crocifiss”. Capizzi, Sicily, 1982 |
Il tema della memoria, del passato e dell'infanzia mi è molto caro.
Molto spesso, in Asia, mi chiedono come è ed era l'Italia, quali sono
le nostre tradizioni e io sono in difficoltà nel rispondere. Mi sento più a mio
agio nel parlare delle culture di paesi lontani che non del mio, perché ormai
sento di non avere più nessuna radice.
Ma la nonna Giovanna mi tocca nel profondo.
“Da giovane, mi raccontava mia madre, era
stata fragile e cagionevole. Poi visse una lunga e serena vecchiaia. Ultima di
otto fratelli. Appena nata rimase orfana di padre. […] Nel ricamo la nonna
Giovanna era una virtuosa. Aveva una voce bellissima e cantava molto bene. […]
Baricentro morale e psicologico della casa, come le siciliane di una volta. Da
casa usciva solo per andare in chiesa o da qualche parente.
Negli ultimi anni della sua vita la sentii
manifestare rimpianti: non sono mai entrare in un negozio di salumiere, diceva,
non sono mai stata a Lourdes.”
La fotografò nel 1981, davanti al chiffonnier che lei amava, e lui le
aveva restaurato a sorpresa, come regalo.
Io sono nato nel 1974.
Nel 1986 avevo 12 anni. Le mie nonne, di parte materna e paterna, non
erano poi così diverse dalla nonna Giovanna.
La madre di mio padre, Apollonia, salentina, era loquace e paffutella,
madre di 8 figli. La nonna materna, Clotilde, nata in un piccolissimo paesino
nell'entroterra della Sardegna, era più silenziosa a timida, non aveva potuto
concludere le scuole elementari per andare a lavorare nei campi, e sapeva
scrivere appena il suo nome. Madre di 7 figli.
Entrambe di piccola statura. Entrambe sopravvissute alla morte dei propri mariti.
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Scianna scrive che quella era un'epoca di lavoro manuale, dove si
andava in giro sui muli.
Io credo che la mia generazione sia stata una delle ultime che ha avuto
delle nonne di quel tipo.
Guardando questa foto penso che molti di noi hanno le lacrime agli occhi,
ed un amalgama di sensazioni cha vanno dalla tonalità della tristezza per un
mondo che è scomparso per sempre, fino ad un senso di profonda felicità, per
avere avuto la fortuna di essere stati i testimoni di un passaggio temporale
che possiamo ancora poter raccontare a chi ce lo chiede.
Queste erano le nostre nonne, non troppo colte, se non analfabete del
tutto, dai pensieri corti ma dal cuore grande le mani venose forti. Con il nero
del lutto come promessa eterna di amore a chi partì prima senza mai un lamento
per la fatica o la fame, i cui mariti, i nostri nonni, conobbero il fascismo e
la guerra.
Non è stato certo un passato facile, e non bisogna mai indugiare a semplicistiche lodi del tempo che fu, come sottolinea Scianna:
“La nostalgia, rappresenta, per me, un molle alibi sentimentale, quella cosa che ci fa dire: ‘Oh! Come era bello il mondo di una volta!’”
Era una realtà dura come la pietra e aspra come il sudore.
Ma quella era l'Italia dei paesi, l'Italia di allora. Quelle erano le
nostre nonne.
E Scianna l'ha ritratta per noi.
Cercate e leggete i suoi libri.
È uno dei rari fotografi che si ha anche il dolce piacere di leggere.
“Penso che la fotografia mi abbia dato più di quanto io ho dato alla fotografia.” (Ferdinando Scianna)
“Festa di sant’Alfio, Cirino e Filadelfo”. Trecastagni, Sicilia, 1963 |
Ferdinando
Scianna: “La Geometria e la Passione” (Contrasto, 2009)
Ferdinando
Scianna: “Piccoli mondi” (Contrasto, 2011)
Ferdinando
Scianna: “Autoritratto di un fotografo” (Mondadori, 2011)
Ferdinando
Scianna: “Ti mangio con gli occhi” (Contrasto, 2013)
Ferdinando
Scianna: “Visti e scritti” (Contrasto, 2014)
Ferdinando
Scianna: “Obiettivo ambiguo” (Contrasto, 2015)
Ferdinando
Scianna: “Lo specchio vuoto – Fotografia, Identità e Memoria” (Editori Laterza,
2014)
“Ferdinando
Scianna” (FotoNote\Contrasto, 2008)
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