Jodi Cobb. Tempio di Jogyesa, Seoul. |
“È in quei momenti che ricordi il motivo per cui hai scelto il giornalismo:
cambiare il mondo, anche solo in piccola parte, gettando una luce nei suoi angoli più oscuri.”
(Jodi Cobb)
Con mio grande piacere torno a parlare di fotografia, in particolare continuo la serie delle fotografie che più amo, con una nuova serie di dieci.
In questo caso, spesso saranno veramente singole fotografie, dei cui
autori magari conosco poco o nulla.
Partiamo questa volta con una donna: Jodi Cobb.
Anche lei, come Mary Ellen Mark, una donna inarrestabile, testarda e
con una grande abilità nel raggiungere i suoi obiettivi, anche quando
sembravano impossibili da realizzare.
Nata negli Stati Uniti ha trascorso tutta l’infanzia all’estero,
collezionando ben 28 indirizzi diversi nel mondo e un soggiorno di cinque anni
in Iran, dove il padre lavorava per una compagnia petrolifera texana. A 12 anni
aveva già fatto il giro del mondo due volte.
Appassionata di fotografia già dai tempi della facoltà di giornalismo
in Missouri, scelse comunque la carriera di scrittrice per una rivista di
giardinaggio di New York.
Ma il suo amore per la fotografia non la abbandonò e un anno dopo si iscrisse ad un master in fotografia in
Missouri. In seguito ha lavorato per il News Journal di Wilmington, nel
Delaware, dove era l’unica fotogiornalista donna, e per il Denver Post,
accettando qualsiasi incarico i redattori le affidassero, dalla musica allo
sport.
“Dovevo dimostrare che sapevo fare tutto, altrimenti avrebbero detto
che quello non era un lavoro per donne.”
La svolta venne quando provò ad entrare nel National Geographic. Dopo
una lunga serie di incarichi di prova, Cobb riuscì ad essere assunta dalla
rivista nel 1977, unica fotografa della redazione.
Ha viaggiato per lavoro in 60 paesi.
La Cobb è stata una delle prime ad attraversare la Cina, come
fotografa, quando ha riaperto all'Occidente, percorrendo 7.000 miglia (11.000 chilometri)
in due mesi per il libro “Journey Into China”. È stata la prima fotografa ad
entrare nella vita nascosta delle donne dell'Arabia Saudita, accolta nei
palazzi delle principesse e nelle tende dei beduini per un articolo importante
nel 1987. Ed è stata la prima donna ad essere nominata Fotografa dell'anno
della Casa Bianca.
E, forse il suo lavoro più famoso, è stata l'unica fotografa donna ad
entrare nelle case delle Geishe in Giappone, nel 1994, durante il suo anno
sabbatico.
“Conquistare la fiducia di una geisha è stato difficile. Nessun
fotografo era mai stato ammesso nell'intimità della casa delle geishe e le
donne erano molto sospettose. Così ho deciso di stabilirmi a Kyoto per un po' e
mi sono presentata alla loro porta ogni giorno fin quando si sono abituate alla
mia presenza. […] Quando ho ottenuto la loro fiducia, è stato come se fosse
esplosa una diga”, racconta la Cobb.
Da quel viaggio nasce il libro “Geisha: The Life, The Voices, the Art”,
che le valse premi e il riconoscimento internazionale.
Credo che più della metà dei romanzi pubblicati con protagoniste le
geishe usino le sue fotografie come copertina.
Jodi Cobb. “Geisha” |
Ma la sua fotografia che più mi affascina non ha niente a che vedere
con la Cina o il Giappone, bensì ci troviamo in Corea.
A Seoul, precisamente.
Questa è una fotografia che ben conoscono tutti gli studenti dei miei
corsi, o della classe sui Maestri della Fotografia.
Perché ha diversi livelli di lettura.
In primo luogo va capita.
Solitamente inizio chiedendo di leggere l'immagine, cosa vedono...
Che rappresenta? E vi assicuro che raramente c'è qualcuno che ci arriva
senza qualche suggerimento.
È una foto misteriosa, evocativa.
Bisogna entrarci dentro.
Jodi Cobb è stata meravigliosa nel modo in cui ha centrato il volto
riflesso della maschera di Buddha, nel vetro della finestra, precisamente nel
tronco dell'albero: solamente sfruttando lo sfondo scuro dell'albero il
riflesso della maschera è intellegibile, limpido.
Noi siamo naso alla finestra, al suo fianco, a guardare fuori dal
tempio e il volto di Buddha ci appare nel riflesso. Se fosse stato nel vuoto
del cielo si sarebbe perso, i colori chiari si sarebbero mescolati e non
avrebbe risaltato nel suo oro come nel tronco nero.
Ma questa fotografia non è eccezionale solamente nella sua
realizzazione.
Però adesso noi dobbiamo fare un passo indietro nel tempo, e non di
poco.
Esattamente nel 530 a.C., quando a 35 anni, dopo anni di meditazione e
viaggi, Siddhartha Gautama – meglio conosciuto come Gautama Buddha – raggiunse
la città indiana di Bodh Gaya, nello stato federato del Bihar, e dopo sette
settimane di profondo raccoglimento ininterrotto, in una notte di luna piena
del mese di maggio, si sedette sotto un albero di fico a gambe incrociate nella
posizione del loto: in questa posizione meditò una notte intera fino a
raggiungere la perfetta illuminazione del Nirvāṇa.
“Il Buddha conseguì, con la meditazione, livelli sempre maggiori di
consapevolezza: afferrò la conoscenza delle Quattro nobili verità e dell'Ottuplice
sentiero e visse a quel punto la Grande Illuminazione, che lo liberò per sempre
dal ciclo della rinascita (da non confondersi con la dottrina induista della
reincarnazione, che fu esplicitamente rigettata con la dottrina del “non Sé”,
anātman).
La prima settimana dopo l'illuminazione Gautama Buddha rimase in
meditazione sotto la Ficus religiosa. Altre tre settimane le passò meditando
sotto tre altri alberi: la prima sotto un ajapāla (Ficus benghalensis o Ficus
indica), la seconda sotto un mucalinda (sanscrito: mucilinda; Barringtonia
acutangula), la terza sotto un rājāyatana (Buchanania latifolia).”
In questo modo sono narrate le geste del Buddha.
Io non so quanti di voi come me, ma quando io ero un adolescente non
c'era compleanno senza che venisse regalato il libro “Siddharta” di Herman
Hesse. Veramente un classico.
Anche la mia copia fu il regalo di una ragazza ai tempi delle scuole
superiori.
Perciò, fin da ragazzo, prima ancora di approfondire gli studi sulle
varie religioni leggendo libri e guardando fotografie, nella mia immaginazione
tutto era ben definito.
Poi vennero i libri di Aśvaghoṣa e altri testi sul Buddhismo.
Jodi Cobb. “Donna beduina, Riyadh” |
Tutto questo rende incredibile questa fotografia, e penso sia una delle più potenti delle centinaia scattate relative al Buddhismo, perché in un semplice scatto vi è racchiusa la storia intera di questo potente pensiero mistico.
È quello che poi cercavo di spiegare spiegando questa foto: ogni
immagine ha vari livelli di lettura, si parte da quello superficiale
dell'estetica, di ciò che rappresenta e come.
Poi si scende ad un livello più profondo, quello del simbolismo.
Ma a questo livello si accede solamente se si dispongono di certe
nozioni.
Non è un caso che la Cobb ha centrato il volto di Buddha nel tronco
dell'albero, sia per l'espediente tecnico di renderlo ben visibile, ma anche
perché Gautama Buddha ha raggiunto l'illuminazione proprio seduto sotto un
albero.
È parte fondamentale di chi crede nel Buddhismo.
La conoscenza carica questa immagine di una potenza incredibile, anche
se tutto in modo apparentemente semplice, proprio come fu l'illuminazione del
Buddha.
A volte, le fotografie sono finestre aperte su sentieri lunghi e pieno
di ricchezza. C'è molto di più oltre a quello che semplicemente vediamo.
“Insight” viene chiamato in psicologia il concetto di “intuizione”,
nella forma immediata ed improvvisa.
Guardi qualcosa, a lungo, e poi tutto diventa chiaro, si “illumina”,
accedi al Nirvāṇa del suo significato e della sua bellezza.
Questa è una fotografia che non mi stanco mai di guardare.
E quando mi chiedono i giovani
studenti a che serve leggere tanti libri, di poesia o letteratura, per
apprezzare una buona fotografia, io rispondo che se ho potuto godere dolcemente
di questa immagine di Jodi Cobb è anche grazie al capolavoro di Herman Hesse.
Noi vediamo solo l'albero in superficie, ma dobbiamo imparare a saper
vedere anche la ragnatela di radici sotto il suolo.
Jodi Cobb. "Mumbai Street, India." |
Jodi Cobb Website: https://www.jodicobb.com/index
“Jodi Cobb - I Grandi Fotografi” (National Geographic, 2010)
Herman Hesse: “Siddhartha” (Adelphi, 1990)
Aśvaghoṣa: “Le gesta del Buddha” (Adelphi, 2000)
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