“Nessuno ha mai fatto la differenza essendo come tutti gli altri.”
( P.T. Barnum)
“Indian Circus”, 1993. Mary Ellen Mark |
Qualche giorno fa stavo pensando alla parola “gemelli siamesi”.
Se le parole hanno un determinato uso è di sicuro perché hanno
un'origine ed una spiegazione.
Perciò sono andata a cercare la storia di questa parola.
Tutti voi sapete cosa sono i gemelli siamesi, quei gemelli nati uniti
in diverse parti del corpo, fenomeno dovuto alla divisione tardiva
dell'embrione, e le cui coppie di gemelli sono sempre monozigoti e dunque dello
stesso sesso.
Fino ad ora ancora non si conosce il motivo del ritardo di questa
scissione.
Nascite così sono molto rare, ne capita una ogni 120.000, e nella maggior
parte dei casi non sopravvivono a lungo a causa della malformazione degli
organi interni.
Alcuni studi ipotizzano anche che i gemelli siamesi uniti alla
corteccia cerebrale possano condividere perfino gli stessi pensieri, come se
fossero un unico individuo.
La loro comparsa è antica nel tempo: lo storico bizantino Leone Diacono
fu il primo a descrivere uno di questi casi nel 954. Ma allora non gli veniva
dato nessun nome, era un segno del diavolo o comunque di sventura.
E ciò che ci spaventa non si nomina.
Il termine gemelli siamesi entrò nel nostro vocabolario nel 1811,
grazie alla coppia di gemelli più famosi della storia; quei Chang ed Eng Bunker
nati nella provincia di Samut Songkhram, nel Regno di Rattanakosin in
Tailandia, l'antica Siam da cui deriva dunque il nome.
Ecco spiegato l'arcano.
I due gemelli nacquero uniti all'altezza dello sterno e avevano il
fegato in comune. Nonostante questo vissero fino a sessant'anni.
Si esibirono nei circhi, si trasferirono a vivere nella Carolina del
Nord, prendendo il cognome di “Bunker”, e sposarono nel 1843 le sorelle
Adelaide e Sarah Anne Yates. Cone le rispettive mogli ebbero dieci e undici
figli, e vivevano in case separate, alternandosi tre giorni in casa di una
moglie e tre giorni in casa dell'altra.
Morirono nel 1874.
Chang ed Eng Bunker |
Non è un caso che furono scritturati a lavorare nei circhi. All'epoca gli esseri deformi o strampalati erano assai ricercati per esibirsi. Famoso fu il caso del Circo Barnum, fondato da Phinaes Taylor Barnum (1810-1892), l'imprenditore circense statunitense che negli anni '30 portò in giro il suo famoso circo e museo dei “freaks” (mostri), tra cui una donna africana di 161 anni, una sirena o lo scheletro di Cristoforo Colombo.
Un coacervo di stranezze e bizzarrie della natura esposte al pubblico
godimento.
Del resto questi fenomeni hanno un chiaro effetto psicologico su chi vi
assiste che non è poi così differente dal sentimento nel vedere gli incidenti
mortali in strada. Ci fa sentire migliori, sani e vivi.
“Per fortuna non è capitato a me!”
Morire tra le lamiere della macchina, avere il corpo interamente
ricoperto di peluria come un lupo, o essere attaccato metà corpo al mio
gemello.
Eppure, racchiudere tutto ciò che è strano, deforme e spaventoso in uno
stesso luogo, ma comunque esposto alla vista – non come i manicomi o gli ospizi
che ospitano il “diverso” ma per non essere visto – ha un effetto contrario.
Non è che ci renda poi così migliori, perché ci dà l'illusione che sia
così semplice discernere ed isolare il diverso, il brutto dalla parte “sana”
che siamo noi.
Non è un laboratorio chimico in cui si estrae il lato oscuro per
renderci definitivamente sani e non bizzarri, piacevoli.
Tutto ciò rimane sempre dentro di noi.
E, quasi per una sorta di ribellione catartica, i “freaks” diventano,
in realtà, esseri senza colpa e commoventi, nel senso che muovono a tenerezza,
perché hanno il compito gravoso di sollevare le nostre coscienze con il loro
aspetto, un compito che noi abbiamo dato loro.
È indimenticabile il lavoro sui circhi indiani della fotografa Mary
Ellen Mark, uscito nel 1993, che raccoglie sei mesi di fotografie in 18 circhi
in India.
Come in tutti i suoi lavori non c'è nessun giudizio morale, ma solo
vicinanza e comprensione, come fu per le prostitute di Falkland Road a Bombay.
Lei stessa descrive la sua esperienza in questi circhi:
“Una poesia e una follia che sono ancora incorrotte, e oneste, e pure.”
Tutto questo ci dona, a volte, il viaggio nella storia delle parole.
Twin Brothers Tulsi and Basant.Famous Circus, Calcutta, 1989. “Indian Circus”, 1993. Mary Ellen Mark |
P. T. Barnum: “Battles and triumphs - Forty years of memories” (Sellerio,
2018)
“P. T. Barnum: America's Greatest Showman” (Alfred a Knopf, 1995)
Mary Ellen Mark: “Indian Circus” (Chronicle Books Llc, 1933)
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