La Voce Dei Colori – Parte Seconda

Mandala
Mandala


Abbiamo visto nella Prima Parte come i colori siano stati associati a determinati stati d'animo in Occidente, con spesso vere e proprie funzioni sociali. Ovviamente questa non è prerogativa di questa parte del globo, ogni cultura ed epoca ha letto i colori in modo proprio.

 

Premetto un aneddoto, che consente di capire come le informazioni possano arrivare da ogni direzione ed è sempre bene rimanere con i ricettori aperti.

Io ho sempre posto molta attenzione ai colori delle bandiere, tenendoli a mente mentre fotografo, proprio perché so bene quanto i colori possano essere dei veicoli aggiuntivi di emozioni in chi osserva le fotografie.

Bene, per lungo tempo non mi spiegavo l'amore e la quasi ossessione che la gente thailandese hanno per il colore giallo.

In ogni cerimonia, funzione ufficiale, anche nei fiori usati, il giallo è predominante, eppure non appare in nessun modo nella loro bandiera che è blu, rosso e bianca. Perciò, un giorno ho chiesto ad una mia amica, e lei mi ha mandato una fotografia, in cui è rappresentato il calendario della settimana: “In Thailandia, ogni giorno ha un colore, e il giallo è il colore del Lunedì, che fu il giorno della nascita del nostro amato Re”.

Poiché l'amore che il popolo Thai aveva per l'ex re defunto Bhumibol Adulyadej era incredibile e sentito, il colore giallo ha assunto un'importanza superiore anche a quelli della bandiera.

Questo è uno di quei casi in cui certe nozioni possono aiutare a dare spessore alle nostre fotografie.

 

I giorni della settimana in Thailandia
I giorni della settimana in Thailandia


Torniamo al nostro viaggio nei colori.

Le tradizioni induiste e cinesi sono di certo tra le più antiche la mondo, ed è interessante capire la loro interpretazione dei colori.

 

“Il sistema cosmologico cinese che era stato adottato in Giappone durante il VII secolo, attribuiva a ciascuna direzione un colore particolare e una stagione particolare, secondo il complesso sistema geomantico che influenzò grandemente la vita quotidiana del popolo giapponese nei periodi Nara e Heian, attraverso la complicata impalcatura dei tabù direzionali, kataimi e un apparato di superstizioni di varia natura:

alla primavera si attribuivano i colori blu e verde e la direzione era l’oriente,

all’estate si attribuiva il colore rosso e la direzione era il meridione,

all’autunno si attribuiva il colore bianco e la direzione era l’occidente,

all’inverno si attribuiva il colore nero e la direzione era il settentrione,

il colore giallo contraddistingueva il centro.”

Scrive Rossella Marangoni su “Giappone in Italia.”

 

In Giappone, così come in Cina, i colori hanno una forte valenza simbolica, forse in modo maggiore di quanto accada in Occidente.

Il blu, rosso, bianco, nero e giallo avevano una connotazione morale positiva, mentre gli altri colori, il viola per esempio, venivano considerati negativi e portatori di sventura. Ai colori venne quindi attribuita un’importanza particolare, un significato che andava ben al di là della mera preoccupazione decorativa, legandoli a un concetto etico. Come afferma il celebre designer Tanaka Ikkō:

 “In Giappone i colori, siano essi intensi o delicati, sono identificati non sulla base della luce riflessa o dell’ombra, ma in termini di significato e sentimento associati ad essi. Gli aggettivi utilizzati per descrivere i colori, come iki (sofisticato o chic), shibui (misurato, mitigato) o hannari (gaio e allegro) tendono a essere quelli che sottolineano i sentimenti, piuttosto che i valori dei colori confrontati.”

 

Katsushika Hokusai. “Mount Fuji in Clear Weather”, 1830
Katsushika Hokusai“Mount Fuji in Clear Weather”, 1830
 

Nelle epoche successive, l’importanza attribuita ai colori crebbe, come risulta evidente dai capolavori letterari del periodo Heian, epoca in cui il colore svolgeva un ruolo essenziale – culturale, spirituale e sensuale – nella cultura classica del Giappone. I colori dei kimono, ad esempio, seguivano combinazioni codificate che erano strettamente legate al rango di corte dell’individuo che li indossava e appropriate alla stagione in cui ci si trovava: non rispettare queste regole di etichetta sarebbe valso a meritare l’esclusione sociale.

La simbologia del Verde fu perciò mutuata in Giappone dalla tradizione cinese, come tutta la simbologia cosmica. Il verde (绿色) è associato al colore della giada i cui significati nella cultura cinese sono purezza, sincerità, affidabilità e salute.

Il Rosso (红色) in Cina è immediatamente associato al Capodanno, ricorrenza di estrema importanza. Il rosso simboleggia felicità, fortuna e ricchezza. Ma anche amore. Nell'antichità era il colore, insieme al nero, associato alla morte; più tardi entrò a far parte del sistema di influenze dei cinque elementi, associato al fuoco, all'estate e a Marte.

Il Giallo (黄色) è considerato il colore più bello e importante in Cina: è associato ai concetti di buon gusto, purezza, ricchezza e autorità, era infatti il colore dell’imperatore, tanto che una sua tonalità è passata alla storia come “Giallo Imperiale”, con una legge che proibiva alla gente comune di indossare abiti dai tessuti gialli. Ma il giallo può anche indicare qualcosa di volgare. I film “gialli” 黄片 (huáng piàn) sono i film pornografici.

Il Blu (蓝色) in Cina incarna il significato di primavera e buon auspicio, fiducia e longevità. È inoltre legato al concetto di qualità. Peraltro è percepito come un colore femminile, mentre in molti altri paesi occidentali è legato al genere maschile.

 

Veniamo alla coppia Bianco-Nero.

Il Bianco (白色) è il colore che indica il lutto, ponendosi all'opposto del rosso che è quello della “nascita”. Mentre il primo è il colore che si veste per onorare i defunti, il secondo è vietato ai funerali e preferito delle celebrazioni più felici, come i matrimoni.

In questo senso il Nero (黑色) non ha necessariamente un carattere negativo, come da noi in Occidente, anzi è parte fondamentale del bianco  con il quale compone l’unità di Yin e Yang. Associato ai concetti di eleganza e qualità, è una tinta frequente nell’abbigliamento di tutti i giorni. A differenza degli occidentali, i cinesi non legano il nero alla morte, però può anche voler dire irregolarità o illegalità, segreto. Il termine “malavita” è infatti tradotto in cinese con le parole nero+società, “società nera”, (黑社会, hēi shèhuì).

 

Questo è per quanto riguarda la tradizione nippo-cinese, ma esiste anche un diverso sentimento legato ai colori relativo al Buddhismo Tibetano, molto affascinante e complesso.

In questo caso la lettura dei colori è profondamente connessa all'aspetto spirituale, così come vedremo poi per l'induismo.

Una lunga riflessione è ovviamente quella relativa alla dualità Bianco-Nero.

Il Bianco è il veicolo della conoscenza, perché in esso tutto è rivelato, essendo la somma dell'intero spettro della luce. Perciò Saraswati, la dea della Conoscenza, è rappresentata in bianco, perché in Lei niente deve essere nascosto, bensì la conoscenza deve essere di tutti e deve distruggere il buio dell'ignoranza. Così come la dea Tara, in bianco,  la quale rappresenta anche la purezza, la santità e la pulizia, ed e “colei che conduce oltre il buio della schiavitù dell'ignoranza”.

Il bianco ha qualità fredde come la neve o molto caldo come un metallo che brucia.

È un elemento fondamentale nella storia di Buddha, legato alla sua nascita. La leggenda dice che la regina Maya, madre di Buddha, sognò di essere toccata dalla proboscide di un elefante bianco, che è simbolo di fertilità, associato alla pioggia. Lo stesso Buddha, in altre vite precedenti fu un elefante, come scritto nel Jataka, i racconti delle sue vite precedenti.

La purezza di questo sogno convinse la regina che la sua nascita sarebbe stata benedetta dalla spiritualità.

Il Nero al contrario è il buio primordiale, dove non esiste nessuna luce, ma in cui esiste un suono che nessun essere umano può percepire, perché nelle massime altezze della scala armonica e irraggiungibile ai sensi umani. È quando le vibrazioni armoniche rallentano e diminuiscono che le forme materiali diventano tangibili dalla loro realtà di pura energia: il buio perciò diventa luce, i colori le ombre, il suono e il suono la forma o materia.

 

In questo senso sono esemplari le cosiddette “pitture nere” del Buddhismo.

È un genere chiamato “Thangka Neri”, ovvero “i Potenti”, dipinti tibetani altamente mistici dal valore esoterico, molto usati nel XVII secolo.

Erano dipinti con linee d'oro scintillante su un cupo fondo nero, spesso rappresentanti demoni feroci, e il loro scopo era quello di far raggiungere durante una profonda e difficile contemplazione, la consapevolezza che il nero dell'odio e dell'ignoranza, il male in sé, potessero essere conquistati: no annientati, bensì trasformati in bene, l'odio tramutato dalla saggezza in compassione.

 

Dipinto tibetano
Dipinto tibetano


Mi limito a questo perché altrimenti ci dilungheremmo troppo.

 

Voglio concludere con una parte che ho approfondito proprio in queste settimane, dopo la lettura di alcuni testi sulla spiritualità induista.

Il che ci condurrà di nuovo in Occidente, per un raffronto finale su un argomento che ha affascinato, a lungo, anche i nostri filosofi.

In un precedente articolo, sul sanscrito, ho accennato alla teoria dei “navarasa”.

La teoria dei Rasa è spiegata da Bharata nel Natya-sastra che è un antico trattato indiano sulle arti dello spettacolo. Si pensa che sia stato scritto nel II secolo a.C., ed è probabilmente il quinto Veda. Nel Natya-sastra, Brahma dice:

“Lo scopo del Natya-sastra è di rivelare al genere umano la tecnologia con cui si può arrivare a comprendere la natura del mondo attraverso la sua drammatica rappresentazione.

Ci sono nove rasa: umorismo (hasyam), amore (srngara), rabbia (raudra), compassione (karuna), paura (bhayanaka), stupore (adbhuta), eroismo (vir), odio (bibhatsa) e tranquillità (santa). Bharata descrisse otto rasa ma Abhinavagupta, che è l'autorità principale sulla teoria del rasa, sostenne che i rasa sono nove, aggiungendo la tranquillità come nono,  perché la tranquillità è alla base e spinge in avanti gli otto rasa originali.

 

Che c'entra questo con i colori, vi chiederete.

C'entra, perché ad ogni rasa è associato un colore e una divinità.

umorismo (hasya) – bianco – Shiva
amore (srngara) – blu\ nero – Visnu
rabbia (raudra) – rosso – Rudra
compassione (karuna) – tortora (marrone) – Yama
paura (bhayanaka) – nero – Kala
stupore (adbhuta) – oro – Gandharva
eroismo (vir) – giallo – Indra
odio (bibhatsa) – blu – Mahakala
tranquillità (santa) – argento – Narayana


Abbiamo già visto come, anche nell'induismo, alcuni colori siano legati a leggende e tradizioni. Dall'importanza del giallo associato a Krishna, simbolo di pace e conoscenza, al blu della terribile Kali, la dea guerriera che rappresenta la forza femminile – non a caso il blu è espressione di odio nei navarasa.

Quello che mi colpì fu questa associazione tra i colori e i sentimenti, e la loro mescolanza che genera le espressioni e i caratteri umani.

Qui torniamo, e concludiamo, in Occidente.

La stessa idea balenò per primo ad Ippocrate, con la sua “teoria dei quattro umori”. Il medico greco teorizzò che il corpo umano fosse composto da quattro sostanze di base (i cosiddetti “umori”) e che gli equilibri e gli squilibri nella quantità di queste sostanze in un organismo determinasse la sua salute.

Questi umori corrispondevano agli elementi aria, fuoco, terra e acqua , che alcuni anni prima era stato indicato dal filosofo Empedocle come la materia prima di tutto ciò che esiste. Tutta la realtà cosmica del mondo era una combinazione di diverse quantità di questi quattro elementi, e da lì sorse la teoria dei quattro umori. Le proprietà di questi quattro elementi, a loro volta, si riflettevano nelle caratteristiche dei quattro umori che secondo Ippocrate fluivano attraverso il corpo umano.

Bile nera:
Sostanza collegata all'elemento terra, le cui proprietà erano fredde e secche.
Bile gialla:
Umorismo corrispondente all'elemento del fuoco. Le sue qualità erano calore e secchezza.
Sangue:
La sostanza legata all'elemento dell'aria, le cui proprietà erano calore e umidità.
Flemma:
La sostanza relativa all'acqua , le cui proprietà sono fredde e umidità.

Questa teoria fu ampliata da Galeno (131-201) corroborandola attraverso studi scientifici. La possibilità infinita di combinazione tra questi elementi origina i diversi caratteri dell'animo umano, a cui corrispondono quattro temperamenti (melanconico, collerico, flemmatico, sanguigno).

 

Oltre ad essere una teoria eziologica della malattia, la teoria umorale divenne così anche una teoria della personalità: la predisposizione all'eccesso di uno dei quattro umori definirebbe un carattere, un temperamento e insieme una costituzione fisica detta complessione:

il malinconico, con eccesso di bile nera, è magro, debole, pallido, avaro, triste;
il collerico, con eccesso di bile gialla, è magro, asciutto, di bel colore, irascibile, permaloso, furbo, generoso e superbo;
il flemmatico, con eccesso di flegma, è beato, lento, pigro, sereno e talentuoso;
il sanguigno, con eccesso di sangue, è rubicondo, gioviale, allegro, goloso e dedito ad una sessualità giocosa.

Questo ci fa capire di quanto siano stati diversi gli esiti delle ricerche filosofiche e spirituali in Occidente e in Asia, però non dissimile è stato il relazionare l'influenza profonda che hanno i colori nella nostra psiche e sulle nostre vite.

“Indossare i colori” potrebbe divenire un bel modo di descriverci.

Poi, ognuno di noi, può seguire una o l'altra interpretazione, o esserne affascinato da tutte, come me. Quello che non bisogna mai sottovalutare è quanta potenza abbiano i colori nelle nostre vite.

Per questo amo concludere questo lungo viaggio con uno dei più bei versi di una poesia di Cesare Pavese:

“Ogni mattina uscirò 
cercando colori” 
(Cesare Pavese)

Yin and Yang
Yin and Yang

 


https://www.giapponeinitalia.org/i-colori-in-giappone-fra-etica-ed-estetica/
“India – Arte oltre le forme” a cura di Giovanni Torcinovich (VAIS – Il Cerchio, 2013)


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