La Ferita di Soma – Seconda Parte


“Non si può toccare l'alba
se non si sono percorsi i sentieri della notte.”

(Gibran)

© Roland Michaud
© Roland Michaud

 

Nei giorni seguenti Soma non uscì di casa; aiutava sua madre a macinare le salse per la cena. Guardava dalla finestra, in penombra, il padre curare gli alberi che crescevano alti.

Parvati, in quell’orario, si affacciava dietro il muro di casa per scorgere quel ragazzo sconosciuto sostare a lungo nell'angolo per poi andare via mestamente.

 

Il padre interrogò, dopo la preghiera, il brahmano del tempio sulle sorti di sua figlia.

Egli rispose: “Ogni essere materiale e umano ha tre qualità, o virtù, chiamati guna: sattva, la luce, rajas, l'agitazione e tamas, l'oscurità. Ognuna di queste qualità è radicata dentro di noi e l'essenza del nostro cammino è sempre quella di raggiungere la felicità, sukha, facendo esperienza dell'infelicità, duhkha.

Non temere, tua figlia troverà la pace e la luce, attraverso l'oscurità e l'agitazione.”

 

© Abbas
© Abbas

Parvati si avvicinò a Soma, mentre stava preparando gli stoppini per la dupa, le accarezzò i capelli neri raccolti sul collo.

“Tuo padre ama tanto le tue poesie. Perché non vai...? Gli alberi hanno bisogno di acqua come della tua arte.”

Soma guardò la madre, annuì e copertasi il volto con il velo ocra uscì nell'aia.

Suo padre accortosi della sua presenza fece un profondo sorriso. Soma andò a sedersi su di un tronco d'albero reclinato vicino al padre.

“Crescono robusti e alti, e tendono uno verso l'altro”, disse l'anziano mentre batteva con le mani sull'umido terreno nodoso delle radici.

Parvati fece il giro della casa e giunse alle spalle del ragazzo, il quale, spaventato, si coprì d'istinto il volto con le braccia; poi vide che la donna non brandiva nessun ramo e abbassò le mani.

“Vai a sedere là!” Disse la madre con voce ferma mentre indicava una panca dove sedevano alcuni bambini, al lato dell'aia.

 

Appena Soma si accorse del ragazzo che andava a sedersi tra i bambini si alzò di scatto e si avviò verso la porta di casa con passo spedito, ma Parvati la fermò.

“Torna indietro jhia, recita la tua poesia, non temere: rendi felice tuo padre.”

La ragazza celò il volto con il velo lasciando solamente liberi gli occhi e raggiunse il tronco.

Il giovane non riusciva a distogliere lo sguardo da quella misteriosa fanciulla: dalle payal* che tintinnavano argentate ad ogni suo passo al colore bruno della mani, dal sari ocra che le modellava il corpo sottile ai capelli neri che si intravedevano dal velo trasparente dietro il collo.

Soma, adagiata sul tronco, iniziò a recitare:

    “A suo piacere si muove nel cortile di casa, ma si ripara dalla mia vista,
    i fortunati fissa negli occhi, me guarda solo a metà,
    con altri chiacchiera e chiacchiera, quando io arrivo si chiude nel silenzio:
    colei che amo m'ha fatto uscire pure dal mondo degli uomini comuni.”

 

“Woman putting on makeup”. (Sheet, Mankot, circa 1710)
“Donna che si trucca”(Foglio, Mankot, 1710 circa)

 

“Splendida, figlia mia, ma che significa?”

Domandò il padre mentre accarezzava la corteccia degli alberi rugosa come il suo viso.

“Questi versi sono di un poeta anonimo, bapa”, rispose Soma con la mano sinistra che reggeva il bordo del velo a coprire le guance.

“Descrive l'amore che ancora non sboccia, l'anuraga, tra una fanciulla che è spavalda in compagnia d'altri ma si nega all'amato, guardandolo solo quando lui non ne ha consapevolezza. È una poesia sul pudore e il desiderio.” Concluse Soma, arrossendo.

Parvati, dalla finestra, vide il giovane alzarsi e dirigersi verso il sentiero del ritorno. L'anziana donna lo seguì e quando furono fuori dal villaggio lo fermò.

“Perché vieni a sentire mia figlia ogni giorno?

Anche quando lei non usciva tu eri all'angolo della casa in attesa. Chi sei?”

“Il mio nome è Namdew, vengo da Anandapur. Al mio villaggio è giunta voce della bravura di sua figlia, del suo talento per la poesia; e queste lodi non sono in grado di descrivere la rasa* che provoca l'ascolto della sua voce. Se fosse possibile vorrei con me il divino Ananta* affinché il tempo non fosse così fugace. Perdonatemi, devo tornare al villaggio, la strada è lunga”, disse Namdew: “Tornerò domani, se non è un problema.”

Parvati annuì e si accomiatò dal ragazzo.

La sera, dopo la cena, la madre comparve sulla porta della stanza di Soma che era sul punto di addormentarsi.

“Sì, maa?”

“Niente, figlia mia”, le rispose con un sorriso dolce.

“Volevo solo dirti che oggi hai recitato dei versi stupendi anche per me che sono ignorante.”

Soma sorrise e si poggiò la testa sul cuscino, guardando la luna fuori dalla finestra.

 

Gaudi Ragini: “Woman with flowers and peacocks”. (Sheet, Mewar, late 17th century)
Gaudi Ragini: “Donna con fiori e pavoni”(Foglio, Mewar, fne del XVII sec.)



Il giorno seguente Soma fece notare al padre che i rami degli alberi erano prossimi a toccarsi. L'anziano annui – era felice.

Soma indossava un sari bianco con i bordi dorati. Prima di sedersi guardò con la coda dell'occhio il giovane sconosciuto seduto sulla panca. Parvati era seduta in terra davanti l'uscio di casa con il khal batta.

Senza proferire parola alcuna di preavviso la voce di Soma cantò:

    “Quanto più il viandante, con gli occhi in su
    verso di lei, aperte le dita lento beve,
    tanto l'acquaiola rende
    ancora più esile il filo, già esile, d'acqua.”

 

Il padre seduto a terra davanti a lei la guardò in modo confuso: “Jhia, questi versi sono oscuri.”

Soma, sempre con la mano a celare il viso rivolto verso il suolo, disse.

“Questa poesia di Hala si intitola “Alla fonte” e con pochi versi descrive l'amore improvviso tra uno sconosciuto viandante che si ferma a bere ad una fonte, dove una donna lo aiuta versando l'acqua con le sue mani a quelle dell'uomo. Quando lo sconosciuto rivolge lo sguardo sul suo viso esplode l'amore che apre le mani ad entrambi – l'acqua diventa esile tra le dita aperte così come il loro amore ingrossa i loro cuori.”

Parvati entrò in casa per poi uscire con la kalash per l'acqua.

“Per favore, figlia mia, vai a prendere l'acqua al fiume”.

Nel frattempo il ragazzo scomparve alla loro vista senza che Soma se ne fosse accorta.

“Ora, maa?” Chiese Soma stupita.

“Vai”, rispose la madre, “fa presto, prima del tramonto.”

Soma coprì il volto fasciando il collo con un lato del velo, guardò suo padre e si incamminò verso il fiume.

Il suo cuore pulsava come una tabla e le mani erano sudate. Era la prima volta che percorreva quel sentiero dopo anni ed era impossibile dimenticare il luogo che fu l'origine della sua infelicità.

Mentre camminava scrutava di continuo a destra e sinistra.

Quando raggiunse la riva del fiume si sedette su una pietra ed iniziò a riempire la kalash con l'acqua che scorreva.

 

“Girl holding a gazelle on a leash”. (Painted by 'Ali Ja'far, Bijapur, 1620-1630)
“Fanciulla che tiene al guinzaglio una gazzella”(Dipinto firmato da  'Ali Ja'far, Bijapur, 1620-1630)


Sentì un fruscio alle sue spalle e si alzò urlando.

Davanti a lei c'era il giovane uomo sconosciuto.

“No, non aver paura. Scusami, non volevo spaventarti.” Disse lui con voce tremante leggendo il terrore negli occhi della ragazza.

Soma alzò il velo fino a coprire metà del viso, che piegò di lato come sua abitudine.

“Chi sei? Perché sei qui? Che vuoi da me?”

“Il mio nome è Namdew e vengo dal villaggio di Anandapur. Ogni giorno percorro oltre dieci chilometri per ascoltarti recitare poesie.”

Soma si calmò ma con il cuore che continuava a colpirle il petto in modo violento.

“Ogni giorno? Da così lontano?” Chiese lei con voce sottile.

Il giovane annuì con vigore.

“Sì, è lontano, lo so, ma non ho mai ascoltato nulla di così meraviglioso nella mia vita.”

“Avrai sete...”, rispose Soma.

“Quando vengo da te mi dimentico anche della fame e della sete”, rispose Namdew sorridendo, dopo aver preso coraggio, con il volto scuro e delicato.

Soma poggiò a terra l'otre e andò verso la riva del fiume, vi immerse le mani chiuse a coppa e, sempre con il viso coperto, disse al ragazzo di avvicinarsi. Namdew si accovacciò ai piedi di Soma e alzò il volto verso di lei con le mani chiuse pronte a ricevere l'acqua.

Lei fece cadere piano il nettare fresco e dolce del fiume sui palmi delle mani del ragazzo mentre lui con le labbra succhiava ogni goccia.

Poi la guardò negli occhi ed esclamò sorridendo:

“Sembriamo la coppia della poesia che hai recitato oggi.”

Soma si irrigidì e rivolse la schiena a Namdew.

Lui si asciugò le labbra e andò davanti a lei.

“Scusami”, disse cercando di guardare oltre il velo che celava il suo volto.

Poi la sua voce scese di tonalità, divenne profonda e calda.

“Per favore, posso vedere il tuo volto?”

Soma tremava dai piedi alla cima dei capelli, con le lacrime che già le rigavano il viso.

“Perché? Vuoi prenderti gioco di me?” Disse con le labbra serrate e vibranti di rabbia e vergogna.

“Per nulla al mondo. Per favore, non devi temere.”

Soma con uno scatto di orgoglio lo fissò dritto negli occhi: “Quello che vedrai non ti piacerà: il mio viso non è come la mia voce.”

Namdew prese tra le dita i bordi del velo e lo fece scivolare lentamente lasciandolo cadere sulle spalle di Soma.

Il ragazzo fu estasiato dalla grandezza dei suoi occhi scuri come la notte, dal naso sottile con il piccolo nakchhabi* argentato, le labbra carnose, la pelle come seta scura ad incontrare le cicatrici che increspano tanta bellezza.

Con un filo di voce tra le lacrime, Soma piegò il viso di lato.

“Ecco, adesso hai visto che orrenda ragazza ami venire ad ascoltare ogni giorno, percorrendo chilometri. Di sicuro domani non tornerai”, disse Soma tremando in tutto il corpo per l'imbarazzo e la tristezza

Lui le accarezzava il viso volgendolo verso il suo sguardo, “Venisse anche Varuna e Mitra* a spegnere il domani, io non vorrei che esalare l'ultimo mio respiro seduto su quella panca, ad ascoltare la tua voce.” Sussurrò Namdew con un sorriso.

Soma pianse per la prima volta nella sua vita lacrime non amare.


© Anderlini, Gia
© Anderlini, Gia

Il giorno dopo Namdew parlò con il padre e la madre di Soma che stava nella sua stanza, seduta sul letto mentre accarezzava la copertina dei suoi libri di poesie.

Il padre disse che Namdew era stato mandato dagli dèi e che avrebbe trovato la dote per sua figlia, avesse dovuto vendere l'intera casa.

La famiglia del ragazzo era in buone condizioni, esperti commercianti, perciò si accordarono solamente con del bestiame.

Il giorno del matrimonio fu festa grande nel villaggio di Tarimul, durò per tre giorni.

Al termine del primo giorno, alla sera, prima che Soma dovette andare con il suo sposo nella casa del suo villaggio fu colta da una tristezza lancinante.

Non faceva che piangere nel suo sari rosso – i bracciali e le collane la facevano sembrare una principessa.

Namdew le aveva chiesto di non coprirsi il volto e che da quel momento non ce ne sarebbe più stato bisogno.

Soma abbracciò fortissimo sua madre.

“Non devi essere triste, figlia mia, anche se vai via. Il tuo destino è compiuto. Non dovrai mai più soffrire.”

Le disse mentre le accarezzava il viso con entrambe le mani.

“Tuo marito è un uomo buono che vede oltre la superficie.”

poi con l'indice della mano destra le accarezzò la fronte e sfiorò il bindu* rosso in mezzo all'attaccatura dei capelli.

Poi si accostò al suo volto e le sussurrò.

“Era destino che ti sposassi un giorno: lo sai che bindu è un nome della luna, come il significato del tuo nome”.

Soma sorrise e la abbracciò. Prima di andare via con suo marito andò a salutare l'anziano padre.

“Bapa, stai sempre in salute e non ti preoccupare per me”, gli disse con le lacrime agli occhi.

Allora lui le afferrò la mano e la trascinò con sé.

“Prima di andare devi vedere una cosa”, le disse mentre facevano il giro della casa nella parte dell'aia.

“Guarda...,” esclamò l'anziano indicando i due alberi di cui si vedeva solamente il contorno dorato dipinto dalla luce lunare.

Ormai erano diventati alti e robusti, piegati ad arco uno verso l'altro e i rami intrecciati nel centro.

Poi si volse verso sua figlia e le disse con voce roca.

“Questa è la mia poesia per te, figlia mia. Adesso puoi andare. Dimentica le ferite del passato e vivi serena. Noi ci saremo sempre per te. Possa tu essere madre di cento figli.”

  

“Women looking out the windows of a building”. (Painting, Kishangarh, 18th century)
“Donne affacciate alle finestre di un palazzo”(Dipinto,Kishangarh,XVIII sec.)


*Payal sono le cavigliere usate dalle donne in India.
*Rasa è un termine complesso: nell'estetica indiana è usato per riferirsi all'esperienza emozionale nell'arte drammatica e nella poesia. Solitamente vengono elencati nove rasa: amore erotico, riso, compassione, rabbia, irritazione, eroismo, paura, meraviglia e tranquillità.
*Ananta, nome del serpente (Sesa) su cui riposa Visnu; simboleggia il tempo infinito.
*Anello piccolo al naso.
*Varuna è colui che governa la notte e Mitra il giorno.
*Bindu è il segno rosso al centro della fronte di una donna induista che indica il suo stato di donna sposata.

POST SCRIPTUM


Non è stato facile scrivere questo racconto perché, come per la Birmania, non sono mai stato in India. Però è di certo uno dei luoghi immaginari che più amo e di cui molto ho letto e visto.

L'ispirazione è venuta dal toccante e terribile reportage fotografico fatto da Ugo Panella sulle donne sfregiate dall'acido in Bangladesh, era da molto tempo che volevo usare quelle fotografie e questo mi ha dato la spinta per la storia di Soma, perché come lei tante sono vittime sia in Bangladesh che in India. Le fotografie sono per quasi sempre la prima ispirazione, così come la magnifica fotografia di Raghu Rai scattata in Rajasthan: la donna in piedi assorta nei suoi pensieri.

Mai come in questo caso ho costruito la storia con l'aiuto delle immagini, e anzi è stato anche il mio personale omaggio a tutti coloro che hanno raccontato l'India, da Luigi Primoli che fu tra i primi italiani a visitare e descrivere l'India nei primi del Novecento fino all'incredibile diario di Edmondo Anderlini e Luigi Gia, due soldati italiani fatti prigionieri dagli inglesi durante la Seconda Guerra Mondiale e condotti nei campi di prigionia in India nel 1941, da cui riuscirono a fuggire per restare in questo immenso paese descrivendone la lingua, gli usi e documentando con fotografie semplici ma ricche di amore.

Fino ad arrivare al grande Raghu Rai che è il sommo cantore dell'India.

Sono stati molti i libri che mi hanno aiutato, soprattutto relativi all'induismo e all'arte indiana, per i quali ho iniziato uno studio che dura da oltre due anni.

Perciò ho voluto che questa storia fosse il mio sentito omaggio all'India e alla sua gente, cercando di scriverlo in uno stile diverso dal solito, ispirato ai poemi classici indiani o ai romanzi antichi: dal “Shilappadikaran” tamil del Principe Ilango Adigal, alla “Cortigiana Umrao jan Ada”, tra i primi romanzi indiani scritti in hurdu da Mirza Muhammad Hadi Ruswa. Impossibile citare tutti i libri usati come ispirazione ma di certo non posso non citare questi:

Ugo Panella: “I volti negati – Reportage dal Bangladesh” (Federico Motta Editore, 2000)
Klaus K. Klostermaier: “Piccola Enciclopedia dell'Induismo” (Edizioni Arkeios, 2001)
“Tesori della lirica classica indiana” (Strenna UTET 1994)
Edmondo Anderlini – Luigi Gia: “In India – Dell'India” (Cappelli Editore, 1978)
“L'istante ritrovato – Luigi Primoli fotografo in India, 1905-1906” (De Luca Editori d'Arte, 2004)
Diego Manzi: “Incanto – Le divinità dell'India” (Le Lettere, 2019)
Raghu Rai: “India” (IdeaLibri, 2001)
Nathaniel Gaskell – Diva Gujral: “Photography in India – A visual History from the 1850s to the Present” (Prestel, 2018)

Un ringraziamento speciale ad “aunty” Sumita per avermi aiutato in alcune informazioni e terminologie.

English version

Comments

Post a Comment