“La Luna stessa,
che sorge nella sera ardente
e nutre desideri insopportabili,
non resta senza pecca.”
Il piacere che si prova cercando, senza nessuna precisa intenzione, tra i libri di seconda mano non ha nessun paragone con gli acquisti di libri online.
È come la ricerca delle pepite d'oro durante la famosa Gold Rush del 1800.
A proposito, forse non è abbastanza nota la storia di John John.
La corsa all'oro in California ebbe inizio grazie a James W. Marshall: era il 24 gennaio del 1848 quando Marshall, che sovrintendeva alla costruzione di una segheria di cui era socio, si accorse che qualcosa luccicava sotto il pelo dell’acqua del canale adiacente. Dopo qualche verifica, ebbe la conferma che si trattava proprio di pepite d'oro.
Da quel momento migliaia di persone si trasferirono in quelle per cercare fortuna. Tra loro anche molto immigrati cinesi, chiamati tutti, con disprezzo, John John dagli altri cercatori d'oro.
Lui era lo zimbello di tutti, il quale per mesi aveva lavato i vestiti dei minatori senza chiedere alcun compenso. Ovviamente, gli scaltri cercatori ne approfittarono abbondantemente, sentendosi peraltro molto più furbi dello stupido cinese. Il quale però mise da parte una grande fortuna, in segreto, beffando tutti gli altri.
Comunque, per me, poche cose sono rilassanti quanto perdermi per ore tra gli scaffali dei libri di seconda mano, guardando le copertine, attirato giusto dai titoli o dai nomi. Si possono veramente trovare pepite d'oro.
È così che è giunto tra le mie mani un libro dalla copertina affascinante e con alcune parole chiave che mi hanno incuriosito: Principe Ilango Adigal, l'autore, e la parola tamil nella descrizione.
Mese dopo mese io sto accrescendo i volumi dedicati all'India, Induismo e letteratura sanscrita. Si può dire che è la mia più grande passione recente, eredità del mio anno in Malesia.
Mi affascina questa ricerca verso le fonte pprimitive di tutto. Forse è normale, tanto più si avverte avvicinarsi la fine tanto più si va a ritroso nel tempo. Lo fece Marcel Proust ricercando il tempo perduto, e io credo che qquesto mio interesse per la lingua sanscrita abbia anche una valenza meramente psicologica. La paura della tomba ci fa desiderare l'utero da cui siamo stati generati. Vale anche per la letteratura.
Perciò questo libro mi ha emozionato, anzi, un vero e proprio colpo di fortuna, perché questo poema-racconto può essere considerato uno dei testi più antichi della storia dell'umanità.
Non stiamo perlando neanche di sanscrito, che io consideravo come la prima pietra su cui tutto si è edificato, dalle lingue asiatiche alla religione alla cultura di tutti quei popoli che io amo.
Ma ancor più precendete.
Ovvero le lingue dravidiche, localizzate principlamente nel sud dell'India, la cui origine resta ancora oscura.
Così scrive nell'introdozione il traduttore Alain Daniélou:
“Le lingue dravidiche […] non hanno parentele con l'indoeuropeo e non hanno neppure legammi con i gruppi di lingue Munda parlate dagli aborigeni dell'India e dell'Indonesia.”
Le quattro principali lingue dravidiche di oggi sono il tamil, il telagu, il kannad e il malayalam. Il tamil è la lingua più pura e maggiormante preservata.
Le più antiche opere tamil sono i poemi del Sangam, un'accademia di poeti.
“Vi furono tre Sangam in successione. L'ultimo ebbe una durata di 1850 anni e evrebbe avuto termine verso la fine del terzo secolo della nostra era. […] Appare certo che molte di queste opere siano anteriori all'epoca cristiana. I cinque “Grandi poemi” o “Romanzi” tamil, dei quali solo tre sono sopravvissuti, hanno come datazione probabile la fine del terzo Sangam. La Cavigliera d'Oro o Shilappadikaram sembra la più antica.”
Stiamo parlando di un'ipotetica data del 171 d.C.
L'autore, il principe Ilango Adigal, rinunciò al trono a alla nobiltà per entrare a far parte del gruppo di monaci della religione jainista.
Stiamo parlando di una delle più antiche religioni dell'India, tanto che il suo ultimo profeta fu contemporaneo di Gautama, quindi antecedente al Buddhismo e Induismo, che anzi si ispirarono proprio – in ceri versi – a questa antichissima religione.
Questa opera nasce in un periodo in cui Jainismo, Buddhismo e Induismo convivevano e si mescolavano tra loro, antecedenti all'epoca Gupta, la potente dinastia che governò tutto il nord dell'India tra il quinto e sesto secolo dopo Cristo – culla di tutta la civiltà indiana.
Per certo vi è che le parti più antiche de “La Cavigliera d'Oro” risalgano al secondo e terzo secolo dell'età cristiana, mentre l'ultima parte all'ottavo secolo.
Come conclude l'introduzione: “E' uno dei romanzi più antichi della letteratura universale ed è scritto prevalentemente in versi liberi”, insieme al Rāmāyaṇa e Mahābhārata, e all'Iliade e all'Eneide, ma quelli erano poemi in metrica, mentre questi capolavoro tamil è in versi liberi, quasi un romanzo, con inserti poetici in metrica ad inizio o fine capitolo.
Ovviamente, questa affermazione va presa con le pinze; è solo una mia suggestione leggendo “La cavigliera d'oro”, che sembra un ibrido tra il poema classico e il romanzo per la sua forma libera.
Si sa che i primi romanzi in occidente nascono nel Medio Evo in lingua romanza per l’appunto, miscela fra il volgare (il linguaggio parlato) e il latino (lingua ufficiale), che continuava ad essere usato per le opere di studio, scientifiche, filosofiche, mediche ecc. Per l’esattezza la primissima produzione era in “lingua d’oïl” (XI secolo): le narrazioni in versi di questa tradizione recuperavano temi greco-romani oppure rielaboravano temi cavallereschi (cicli bretone e carolingio) e venivano indicate già allora con il termine roman.
Il primo vero romanzo della storia della letteratura occidentale – nel quale queste tendenze sono racchiuse, esaltate e parodizzate – è il Don Chisciotte di Cervantes scritto agli inizi del Seicento.
Mentre il “Genji monogatari” (“Il racconto di Genji”) è considerato dai critici letterari il “primo romanzo”, o il “primo romanzo moderno”, scritto dalla dama di corte Murasaki Shikibu vissuta nel periodo Heian nel XI secolo, ritenuto uno dei capolavori della letteratura giapponese così come della letteratura di tutti i tempi.
Madhavi |
“La cavigliera d'oro”, a suo modo ha anticipato i tempi, proprio per la sua forma ibrida di scrittura, che mescola prosa e versi liberi, anche se rimane debitrice dei testi Veda alla base di tutta la letteratura indiana, ma senza il peso religioso che ha condizionato la produzione letteraria precedente.
Ovviamente è una storia d'amore.
Che inizia con un dolce inno alla natura, in versi:
“Benedetta sia la Luna!Benedetta sia la Luna che la dolce Terra avvolge
e col velo bianco dei suoi leggeri raggi
ci protegge,
come un regale parasole
ornato di fiori ricolmi di polline.”
Si introducono i protagonisti del racconto.
Protagonista è Kannaki, deliziosa fanciulla di una nobile famiglia di mercanti, sposata al suo pari Kovalan.
Ma il marito è invaghito dalla danzatrice Madhavi, e con lei vive abbandonando la sua sposa e l'onore della famiglia.
Kannaki, da buona sposa fedele, aspetta in lacrime ogni giorno il suo ritorno.
Lei viene descritta nella sua intima tristezza, senza più nessuna voglia di abbellire il suo corpo, in attesa dei “dibattiti amorosi” con il marito,
Una volta dilapidato tutti i suoi risparmi torna a casa, accettato di nuovo dalla sposa che gli mostra le sue cavigliere d'oro come conferma della sua fedeltà, ma lui non vuole più vivere nella città in cui è diventato povero perciò si mette in marcia verso la città di Madurai, seguito in silenzio dalla sua sposa, attraversando un'oscura foresta.
Kannaki è il ritratto della fedeltà e sottomissione, sempre un passo dietro suo marito, però anche fiera e potente come ogni sposa hindu.
Perciò la coppia si dirige verso il sud dell'India.
È impossibile riassumere la bellezza dei versi, la descrizione delle essenze, dei rituali descritti nel libro.
Come in ogni trama epica si arriva al momento di rottura, dove tutto sprofonda in tragedia affinchè la storia assuma una nuova direzione.
In questo caso Kovalan viene incolpato ingiustamente del furto della cavigliera della regina di Madurai e condannato a morte.
Ed è qui che la trasformazione.
La mansueta Kannaki diventa un demonio.
Va davanti alla regina e le dice con occhi infuocati:
“Mai avrei voluto generare il male. Ma si dice che chi fa torto a qualcuno nel mattino, prima che scenda la notte mieterà la propria ricompensa.”
“Gravida di furia selvaggia e sfolgorante di rabbia”, Kannaki dimostra inequivocabilmente al re l’iniquità della sentenza: la cavigliera era sua, colma di pietre preziose, non adorna di perle com’è invece quella della regina. Il sovrano muore, sopraffatto dal senso di colpa di avere dato la morte ad un innocente, e la regina lo segue nello stesso destino.
Ma ciò non è sufficiente. Descritta come una demonio, sporco, dagli abiti laceri, con la cavigliera spezzata in mano, compie l'atto estremo e altamente simbolico – radicato nei culti erooici e divini del suo paese – di estirpare il suo seno sinistro, quasi a sacrificare quella maternità che non ha più possibilità di essere dopo la morte del marito.
In questo modo cammina nella città scangliando il suo seno reciso e maledicendo quel luogo, al punto da far apparire Agni, il Dio del Fuoco, il quale porta a compimento la vendetta di Kannaki distruggendo l'intera città con i suoi templi, salvando solamente i brahmani, le donne fedeli, le sacre vacche, o inermi, come i vecchi e i bambini. L'intera Madurai brucia nel fuoco.
Gli dèi riconoscono il potere della sposa hindu fedele fino al sacrificio estremo e alla sua rabbia. Così viene eletta in cielo con la nuova sembianza della dea Pattini, la dea della fedeltà coniugale, dove incontrerà suo marito Kovalan.
"Gli dèi stessi onorano la donnadevota unicamente allo sposo suo.
Kannaki perla tra le donne della terra
adesso è una dea altissima,
venerata dagli dèi del Paradiso.”
Kannaki |
Così si conclude la parte centrale del racconto, che ha mostrato i due generi del dramma – come è scritto – ovvero la tragedia umana (arapati) e il dramma mitologico (shattuvadi), accompagnato da canzoni e danze.
L'ultimo capitolo narra la formazione del regno Tamil e delle gesta dei suoi sovrani.
La conclusione ci ricorda che in queste terre gli uomini e glli dèi convivono, cercando di raggiungere i tre obiettivi della vita: virtù, ricchezza e piacere.
E che tutta la storia non è altro che il dipinto di amore (aham) e guerra (puram), come lo furono i versi di Omero o di Publio Virgilio Marone,in greco e latino.
Ovviamente non pretendo che chi legge queste parole possa condividere il mio stesso entusiasmo. La mia intenzione era farvi partecipi di qualcosa raro da trovare, e che – in ogni differente parallelo del mondo, tra culture totalmente diverse – i temi dell'umanità sono sempre gli stessi, come le passioni. Le tragedie greche non sono da meno nei gesti estremi e passionali come quello di Kannaki. Così come l'intima relazione tra esseri umani e divini.
Né tantomeno è nuova l'immagine della danzatrice che ruba il cuore di chi la guarda. Famosa in Occidente è Salomè, principessa giudaica del 14 d.C. Narrata nel Vangelo di Matteo:
“La figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle tutto quello che avesse domandato. Ed essa, istigata dalla madre, disse: “Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista.”
Passata alla storia come la danzatrice seducente, il male sotto forma di incanto.
Quello che affascina di questi racconti è che offrono una visione dei riti e delle culture dei popoli narrati.
Si comprende come certe ritualità sopravvivono ancora adesso dopo secoli e secoli; come per l'utilizzo di piante e elementi della natura nei rituali induisti. E quanta importanza abbia da sempre la danza in India.
Io sono stato veramente emozionato nel trovare questo libro e proseguire il mio cammino a ritroso, come un cacciatore di salmoni sulle acque della cultura.
Poi magari non prenderò nessun salmone, mi basta portare a casa qualche pepita, sogghignando come John John il cinese.
Principe Ilango Adigal: “La Cavigliera d'Oro – Shilappadikaram” (CasadeiLibri Editore, 2011)
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