Un'Antica Storia d'Amore

“Come una luce d'una fiaccola che si muove nella notte
a ciascuno passi avanti lei che sceglie lo sposo:
come una torre di guardia sulla strada del re, sbiadendo
impallidisce ciascun principe.”
(Kālidāsa)

Raja Ravi Varma. “Hamsa Damayanti”, 1899
Raja Ravi Varma. “Hamsa Damayanti”, 1899

Ultimamente mi sento romantico, forse perché per alcuni giorni di seguito ho partecipato e fotografato giovani coppie di sposi durante i loro matrimoni.

Perciò voglio raccontarvi una meravigliosa e antica storia d'amore.

Perché ciò che è meraviglioso va condiviso.

Colui che tiene per sé centinaia di fiori bellissimi, nel chiuso della serra, per non farli ammirare da nessuno, un giorno si sveglierà e troverà tutti suoi fiori aridi e giacenti al suolo, senza vita, per l'assenza di luce e calore.

 

Uno dei miei fiori, per voi, è una storia d'amore che si perde nei tempi.

La storia di Nala e Damayanti, narrata nel libro Vana Parvan, del grande poema epico indiano Mahābhārata, sviluppato nei secoli a partire dal IV secolo a.C., raggiungendo il suo completamento nel IV secolo d.C., poi ripreso anche in altri testi hindu, come il “Nishadha Charita”, uno dei cinque grandi poemi “Mahakavyas”, scritti in sanscrito da Sriharsha nel 12° secolo.

 

Damayanti era la virtuosa figlia di Bima, Re di Vidarbha, la cui bellezza superava la perfezione, al punto che anche gli dèi erano innamorati di lei. E la madre, la potente regina, voleva che proprio un dio sposasse la figlia quando sarebbe giunto il momento, e non certo un dio qualsiasi, bensì Indra, il re di tutte le divinità.

Perciò la madre spedì in volo un hamsa (in sanscrito è un uccello acquatico, alcune traduzioni lo descrivono come un'oca, ma altre – così come nell'iconografia classica – si dice fosse un cigno) contenente un messaggio e l'invito alla cerimonia della scelta dello sposo proprio al dio Indra.

Damayanti, dal canto suo, ascoltò proprio quel cigno reale decantare le lodi di Nala, sovrano di Nishada. Nala , oltre la sua bellezza, era famoso per la sua onesta, la forza, la sua abilità con i cavalli e l'esperienza culinaria: fu infatti lui a scrivere il primo libro di cucina della storia – il “Pakadarpanam”.

Il messaggero alato che doveva raggiungere Indra fu sorpreso da una tempesta e fu costretto ad atterrare nel regno di Nala, che si prese cura di lui, così il cigno raccontò al sovrano della bellezza di Damayanti e della sua ricerca di un marito. A quelle parole Nala si innamorò della splendida figlia di Bima e decise che lui sarebbe diventato il suo sposo.

 

Al compimento dell'età per il matrimonio, il padre organizzò lo svayamvara, ossia la cerimonia nella quale la principessa avrebbe scelto il suo sposo, tra i candidati, mettendo al suo collo una ghirlanda di fiori.

Giunsero al regno principi e re da ogni luogo, tutti attratti dalla bellezza folgorante di Damayanti.

Persino quattro divinità: Agni, Indra, Vayu e Varuna.

Fu durante il suo viaggio verso Vidarbha che Nala incontrò le quattro potentissime divinità vediche; il giovane sovrano si prostrò ai loro piedi, mostrando rispetto, e dicendo che avrebbe fatto qualsiasi cosa in loro onore, allora le quattro divinità ordinarono a Nala di convincere la principessa a sposare uno di loro.

Con il cuore infranto Nala obbedì e, grazie ad un potente mantra offertogli dai deva, divenne invisibile per entrare nella stanza di Damayanti per consegnarle il messaggio.

La principessa ascoltò le parole di nala e rispose: "Onorerò in maniera degna quelle potenti divinità, ma sceglierò come marito soltanto quell'uomo che da tempo alberga nel mio cuore!”

 

Unknown. "Nala and Damayanti"
 

Quando le quattro divinità seppero della risposta di damayanti, grazie ai loro poteri, assunsero le sembianze di Nala, così quando il cerimoniere annunciò il sovrano di Nisada ben cinque Nala, identici, entrarono a corte, tra lo stupore di tutti.

Al termine del svayamvara giunse il momento della scelta del marito per Damayanti, e senza nessuna esitazione pose la ghirlanda di fiori al collo del vero Nala, tra gli sguardi sbigottiti degli dèi.

“Come hai fatto a riconoscerlo?” le chiesero.

Così Damayanti rispose: “Ho visto che Nala batteva le ciglia, che il suo corpo faceva ombra e che poggiava i piedi per terra. Tutte cose che voi, essendo esseri divini, non fate. E così non ho avuto difficoltà a scegliere lui, l'unico uomo che amo.”

 

Il pantheon delle divinità indiane è estremamente complesso e numeroso.

Tutto è scritto e raccolto nei igveda che sono l'origine, come scrittura primaria, delle credenze indiane e induiste, con il Dio Creatore e Unico  Prajāpati e il cosmo tripartito: cielo, atmosfera e terra, con tutte le principali divinità superiori, dalla trimurti Brahma, Vishnu e Shiva, fino ai deva e gli asura, per un totale di trentatré divinità (Tridaśā), divenute più di un milione nell'induismo moderno.

Deva ed asura, sono gli “esseri luminosi” di contro gli “esseri spirituali”, molto spesso demoni in lotta con i primi. Gli stessi deva sono antropomorfizzati e, come gli esseri umani, provano emozioni, hanno desideri, brama di potere, vogliono sposarsi. Ciò che però li contraddistingue dagli umani, in qualità di divinità, è che amano ciò che è segreto, misterioso, sono immortali, non dormono mai, non proiettano alcuna ombra, non sbattono le palpebre e non toccano terra con i piedi.

 

Damayanti lo sapeva bene e questo fu il segreto della sua scelta, alimentata dal profondo amore per Nala.

La storia continua, dopo il matrimonio i due reali ebbero due figli e furono felici.

Ma come in quasi tutte le storie dell'epica indiana e induista, così come anche in quelle greco-latine, i due protagonisti hanno un avversario che trama alle loro spalle, in questo caso è Kali (pronunciato come Koli), il demone maschile considerato il decimo e ultimo avatar di Vishnu, considerato come fonte di ogni male, niente a che vedere con la terribile dea guerriera Kali, emanazione di Durga, la Dea Madre.

Invidioso e arrabbiato del fatto che Damayanti ha preferito sposare un mortale invece che una divinità, il demone volle tentare la rettitudine di Nala, deviandolo dal dharma, il percorso della virtù. Impegnò 12 anni per trovare una sua debolezza, trovandola infine nella sua passione per il gioco dei dadi. In questo modo che, sfidando suo fratello Pushkara ai dadi, lui perse tutto il suo regno, costretto a vivere con la sua famiglia per tre anni nella foresta.

Camminando in quei luoghi Damayanti si ferì un piede, ed una mattina, mentre dormiva, Nala si allontanò nella foresta dove incontrò un Kakotaga Naga, un demone serpente che stava bruciando, mettendolo in salvo. Come ricompresa il Naga lo trasformò in Bahuka, un orribile nano, consigliandogli di farsi assumere – in queste sembianze – come cuoco personale del Re Rituparna, abilissimo giocatore di dadi, in modo da imparare a fondo questa abilità e poter avere il suo regno indietro.

Questa fu la felice conclusione della storia, con Nala che ottenne il suo regno, sfidando ai dadi nuovamente suo fratello, e vi tornò con Damayanti e i suoi figli.

 

Raja Ravi Varma“Nala and Damayanti”, 1909
 

La storia di amore di Nala e Damayanti è tra le più note del Mahābhārata.

Molteplici sono le versioni e le interpretazioni nel tempo. Fu molto apprezzata anche dal Sufismo, soprattutto nella figura di Abu al-Fayz Faizi’, poeta laureato di Akbar, poiché il Sufismo è l'attualizzazione della Verità per mezzo dell'amore e della devozione, e in questa “romance” (nel triplo senso etimologico di romanza, racconto e romanticismo) il sufi trovò tre potenti opposizioni: l'amore verso l'intelletto (aql), l'amore verso la bellezza (husn) e ishq verso frenesia (junnun).

Ishq è parola araba, specialmente usata nel sub-continente indiano, non presente nel Corano ma che fa riferimento al desiderio irresistibile di ottenere la possessione dell'amata affinché l'innamorato possa raggiungere la perfezione (kamal), contrapposta a junnun, che in urdu significa “ossessione”.

È la sfida dell'amore puro di due innamorati contro l'ossessione e l'amore esaltato delle divinità, che nell'ottica sufi è considerato un male. Poiché l'amore per raggiungere la perfezione deve necessariamente usare anche l'intelletto, la misura, per raggiungere il suo obiettivo di assurgere alla verità, come Damayanti fece, non essendo solamente accecata d'amore per Nala, ma rimanendo astuta e vigile nella sua scelta.

 

Ma il motivo per cui io sono affascinato da questa storia è un altro.

Innanzitutto per la sua bellezza in sé.

Quella era un'epoca in cui grandi epopee ed epiche erano scritte per definire il cosmo, in ogni cultura.

Si narrava di divinità, amori e passioni, e spesso umani ed essere divini si fondevano, amavano, sfidavano, raccontati con uno stile così alto che non è mai stato più raggiunto in letteratura. Ed il tema delle trasformazioni tra umano e divino era caro anche alla poesia greco-latina.

Nella nostra tradizione è indimenticabile e insuperabile per bellezza il poema latino le “Metamorfosi” di Ovidio, composto nell' 8 secolo d.C., in cui si narra della creazione del cosmo, e delle metamorfosi di divinità, fauni, ninfee, eroi, uomini, minerali, piante, in un vortice continuo di passioni ed infelicità umane:

“In nova fert animus mutatas dicere formas
corpora. Di, coeptis – nam vos mutastis et illas –
adspirate meis primaque ab origine mundi
ad mea perpetuum deducite tempora carmen.”

“L'estro mi spinge a narrare di forme mutate
in corpi nuovi. O dèi – anche queste trasformazioni furono pure opera vostra –
seguite con favore la mia impresa e fate che il mio canto
sì snodi ininterrotto dalla prima origine del mondo fino ai miei tempi.”

Carlo Saraceni. “The fall of Icarus”, 1605-1608
Carlo Saraceni“La caduta di Icaro”, 1605-1608


Ciò che mi ha profondamente colpito è la visione dell'amore che ammanta Damayanti.

Solitamente, nelle nostre esistenze, nelle arti e nella letteratura, l'amore è sempre vissuto come quella forza superiore e sovrannaturale che spinge l'uomo verso i cieli – la passione ci esalta ed innalza, ci rende “divini”.

È come una sorta di mantra magico che cambia le nostre sembianze quotidiane e ci rende superiori agli occhi di chi ci ama.

Almeno questo è il nostro desiderio e, troppe volte, illusione.

 

Ma in questo racconto è il contrario.

Damayanti è in grado di riconoscere il vero Nala grazie alle sue imperfezioni di essere mortale, o come diceva graniticamente Nietzsche, di essere “umano troppo umano”.

È grazie alla sua ombra, alle sue ciglia obbligate a battere, ai suoi piedi costretti al suolo che lei è riuscita a riconoscerlo tra gli dèi, astuti e potenti, ma comunque pur sempre incapaci di essere definitivamente “umani”, con le nostre imperfezioni e debolezze – con le nostre ombre proiettate al suolo.

Eppure Damayanti, nella sua impareggiabile bellezza, è proprio questo che ama di Nala, e la sua scelta forse dovrebbe renderci più consapevoli delle nostre debolezze e imperfezioni.

Il sogno dell'amore come formula magica che ci trasforma in esseri divini e ci innalza nei cieli è buono per i libri rosa o per le nostre adolescenze dei primi baci e lacrime.

In realtà, l'amore è una passione come tutte le altre, e non è in grado di far sparire nessuna ombra dal suolo, né di far lievitare in aria i nostri piedi.

Ma chi ci ama veramente è proprio in queste imperfezioni che deve trovare la sua forza.

Mettere la ghirlanda di fiori al collo delle nostre debolezze e difetti, della nostra “umanità”.

Questo, io credo, sia la lezione splendida della storia d'amore tra Nala e Damayanti.

 

E questo è il mio fiore per voi. 




Diego Manzi: “Incanto. Le divinità dell'India” (Le Lettere, 2019) 
Ovidio: “Metamorfosi” (Einaudi, 1994)
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