Makcik. Kampung Alor Ganu, Anak Bukit, Alor Setar. Kedah, Dicembre 2017 |
Dopo aver pranzato Mak Saodah lavò i piatti e si preparò per la
preghiera.
Quella era l'ora che suo marito, Pak Mohammed schiacciava un pisolino.
Terminata la preghiera in sala, per non disturbarlo, si tolse il
telekung e uscì in giardino.
Si inoltrò nella fitta vegetazione dietro casa con una busta di
plastica rossa in mano. Raccolse tanti rambutan da riempire la busta, mentre
con le dita cacciava le formiche che correvano anche sulle sue braccia.
Rambutan |
Non avevano mai avuto grandi litigi. Mak lo aveva sempre assecondato e
lui l'aveva rispettata e amata.
Beh, se avesse dovuto descrivere cosa fosse l'amore forse non sarebbe
stato in grado.
Ovvero, non era di certo l'amore travolgente che vedeva nei film.
“Non siamo mica Saloma e P. Ramlee*,” pensava a voce alta
sogghignando mentre camminava verso casa con la busta pesante di lato.
“Giusto? Sono Saloma?” chiese scherzando al gatto che la guardava
senza espressione.
“Però non che esista solo quel tipo d'amore,” continuava a riflettere
mentre in cucina iniziava a preparare la cena prima di andare a pescare.
“Ci sono tanti tipi d'amore; il rispetto è uno di questi, per me.”
Pensava quasi a far uscire le parole dalla bocca, mentre la radio
mandava a basso volume un brano di Sudirman.
“Secondo me ci sono persone che nascono per vivere quegli amori tipo film, ma tante altre si amano come me e abang. Con semplicità, con pudore.”
Pensò quando fosse stata l'ultima volta che lui le aveva dato un bacio
sulle labbra e iniziò a sorridere come una bambina, con la mano rugosa e piana
di vene spesse a coprirsi la bocca, con vergogna, come se qualcuno potesse
leggere i suoi pensieri.
“Ma che vai a pensare, mak!?” si disse a rimproverarsi da sola.
Comunque non lo ricordava.
Ma andava bene così.
Il loro amore aveva generato l'amore dei suoi figli e dei suoi nipoti.
Questo era il dono più importante.
“Del resto, i film servono proprio a far vivere storie che la maggior
parte della gente comune non potrà mai provare.”
Disse tra sé e sé, sorridendo mentre metteva il pesce sul fuoco.
Intanto vide suo marito camminare verso la porta con il tappetino sotto
il braccio.
Andava a pregare nel surau.
“Stasera cucino il pesce, abang. Tra poco vado a pescare con mak
Rokiah, hai guardato la bicicletta?” disse lei a voce alta, sporgendosi dall'uscio della
cucina. Vide pak da dietro fare sì con la testa mentre inforcava i sandali neri
e si avviava fuori il viale di casa.
Il volto rugoso dell’anziana donna si illuminò di un sorriso calmo.
Spense la radio, raccolse le lische del pesce e andò verso la porta,
prendendo il solito hijab con l'altra mano.
Appena fuori la porta laterale lanciò le lische al gatto che corse zampettando
e miagolando.
Indossò il velo, lo sistemò bene ai lati del viso, spingendo dentro i
capelli bianchi e andò a prendere la canna da pesca nel capanno degli attrezzi.
Afferrò la bicicletta, provò i freni, e soddisfatta si istradò verso il fiume.
L'aria era profumata. Era la sua aria, poteva riconoscerla ad occhi chiusi, senza vedere in che luogo fosse.
“A che serve girare il mondo? Tutto il mio mondo è racchiuso in questa aria che profuma di fiume, rambutan e legno delle assi di casa,” pensava pedalando.
Da lontano vide mak Rokiah che la stava aspettando con la canna da
pesca in mano e il suo cappello largo mimetico.
“Assalamualaykum,” si salutarono e andarono a sedersi sul bordo del
piccolo corso d'acqua. Più avanti si congiungeva al grande fiume d'acqua
marrone che arrivava al bordo del mercato.
Vicino casa di mak c'era ancora il pontile in legno trainato dalla
funi, a mano, che la portava, quando era ancora una bambina, dall'altro lato
del fiume per andare a scuola.
All'epoca quella le sembrava l'avventura più grande che le potesse
accadere. Gli occhi dei bambini vedono le cose in una dimensione diversa, poi
crescendo lo sguardo si adegua a quello della realtà.
Ogni tanto ci torna, e con mak Zaleah che abita proprio là, vanno
ancora da una sponda all'altra solo per ricordare l'infanzia e darsi manate
sulle braccia ridendo.
Le due amiche pescarono per un'ora, prendendo solo qualche piccolo ikan
sepat, ma parlando tanto di cucina e dell'ultimo caso sulla bocca di tutti:
ossia della figlia di pak Irfan, il venditore di frutta, che pare sia rimasta
incinta prima del matrimonio che si celebrerà tra poche settimane.
Mak salutò l'amica.
“Torno che stasera ho cucinato del buon pesce ad abang,” disse salendo
sulla bicicletta. Mak Rokiah annuì mentre si voltava per camminare verso casa.
Saodah si avviò verso casa che il sole stava già calando.
Si sedette un attimo sulla panca in bamboo del marito e ammirò la gande
casa e il sole che si irradiava tra i rami degli alberi. Il gatto si strusciava
sulla caviglia; lei lo accarezzò con una mano mentre sentiva una morsa al
cuore.
Nessuno può capire la bellezza di questo luogo se non ci ha vissuto,
pensava mentre con l'altra mano si toccava il petto sulla blusa.
Sospirò profondamente e tornò dentro casa con la luce che lasciava
spazio alle ombre.
Andò in camera da letto. Sentiva lo sciacquio dell'acqua nel bagno, era
pak che si stava facendo la doccia.
Iniziò ad accarezzare il cuscino lentamente.
Lo aveva fatto lei, tutti e due.
Ancora con il metodo tradizionale del kampung.
Utilizzando il cotone dalle foglie secche dell'albero kapok, che loro
chiamavano pokok kekabu. Mak ne faceva scorte nei sacchi affinché fosse
ben essiccato, conservandolo anche per anni; poi si sedeva nel retro
dell'abitazione, protetta dal vento, con parte del velo a coprire la bocca e il
naso e iniziava a separare i semi dal cotone. Lo batteva ben bene e ci riempiva
le fodere fatte con i tessuti di kain che non usava più, dopo averli cuciti.
Ogni tre, quattro anni sostituiva il cotone che si era ormai indurito.
Adesso i giovani preferiscono comprarli, nessuno ha più pazienza di
conservare per anni il cotone e lavorarlo.
Il tessuto del cuscino era ingiallito dall'umidità e dal sudore, ma su
quei cuscini loro si erano amati, pensava, osservando le lunghe dita dalla
nocche grosse e le vene che bombavano la pelle secca delle mani.
Andò in cucina e preparò i due piatti con riso, pesce arrosto, alici
essiccate, verdure e sambal. Si sedette nella penombra della cucina, con la
piccola lampadina bianca appesa sopra al lavandino e la radio che suonava una
canzone di Saloma.
“Ah, Istana Cinta! Questa sì che è una bella canzone!”, esclamò a voce
alta, felice, mak mentre dondolava la testa battendo il tempo con la punta
delle dita del piede sul pavimento, bofonchiando le parole del testo con la
bocca piena, mentre terminava il cibo a piena mano.
Kau sentuh runtuh jadi pusara
Cahaya hidupku jadi gerhana
bisa jiwa memandang gembira...”*
Poi si voltò verso la radio e disse sorridente: “Questo è il mio
Palazzo dell'Amore, Saloma!” Poi ebbe una fitta al petto e si toccò il torace
con una smorfia.
“Abang! Abang! Vieni a mangiare!” Urlò alzandosi mentre andava a lavare
il suo piatto.
Mak diede un'occhiata al posto del marito con il piatto ricolmo e il
bicchiere di acqua e quello del caffè con un piattino a coprirlo per tenerlo
caldo.
Spense la radio e la luce, camminò nel corridoio buio. Si affacciò in
sala e vide pak seduto sulla poltrona a fumare guardando in televisione un
vecchio film in bianco e nero.
“Vai a mangiare, abang, il pesce si fredda. È saporito, ti piacerà
tanto...,” disse.
Lui la guardò, le sorrise annuendo e si voltò a guardare la
televisione.
“Testa dura,” borbottò Saodah con un filo di voce camminando verso la camera da
letto.
Andò in bagno a lavarsi, fece l'abluzione, pregò di fianco al loro
letto matrimoniale.
Ripose il tappeto piegato in due con il telekung sopra, si sciolse i
capelli corti e si sdraiò lentamente sul letto con una smorfia e il cigolio
delle molle.
Ebbe un'altra fitta più forte proprio nel mezzo del seno.
Mak Saodah corrucciò la fronte, pose la mano sinistra sul lato vuoto
del letto al suo fianco, chiuse gli occhi ed esalò il suo ultimo respiro.
Morì da sola, come aveva vissuto gli ultimi quattro anni della sua
vita.
Pak Mohammed era morto di infarto quattro anni prima.
“TIl segreto di una buona vecchiaia
è semplicemente un patto onorevole con la solitudine”
(Gabriel García Márquez)
*P. Ramlee e Saloma sono stata una celebre coppia nel cinema e nella musica alla fine degli anni 1950\60 in Malesia, e anche sposati.
*“Con l'amore ho costruito un palazzo
Se lo tocchi lo fai crollare in una tomba
La luce della mia vita è diventata un'eclissi
può l'anima sembrare felice...”
(Saloma, “Istana Cinta”)
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