“Gaye Holud”. Torpignattara. ROMA – 19 Settembre 2020 |
Il matrimonio è uno tra glli eventi più
sfarzosi a cui si possa assistere nella cultura bengali, intesa come India e Bangladesh.
Ovviamente i matrimoni che hanno luogo in
Italia sono dei condensati di quelli che si celebrano nei paesi di origine.
È comunque uno dei modi di “tenere in vita” la
propria tradizione anche nei paesi di emigrazione.
Si dice che in Bangladesh essi possano durare
anche una settimana, coinvolgendo interi villaggi, o comunque centinaia di
invitati.
Le parti fondamentali rimangono quelle della
cerimonia di Nikah (ovvero la registrazione ufficiale e notarile in
moschea o in presenza dell'imam, con l'offerta della dote in denaro da parte
dello sposo, il mahr), il Gaye Holud e il
ricevimento di matrimonio.
Vi racconterò due matrimoni a cui sono stato
invitato, per quattro giorni, per farvi entrare nel vivo di questa tradizione.
Non è tuttavia semplice comprendere bene
questa pratica, anche per le variabili che entrano in gioco.
Perché, innanzitutto, questi sono matrimoni sì
celebrati da persone di cultura bengali, ma comunque in un contesto non loro,
perciò con inevitabili restrizioni legate al luogo e all'aspetto economico.
Inoltre, sono tradizioni che vengono da
mescolanze di culture musulmane e induiste che nel tempo si sono contaminate e
contrastate, per di più sono matrimoni celebrati da giovani che spesso hanno
vissuto più anni della loro vita in Italia che non nei paesi d'origine.
Il primo matrimonio è quello di Nadia e Sayeem, una ragazza di Roma e il
ragazzo che vive a Milano.
In Bangladesh i matrimoni sono stati per lungo
tempo combinati, e tuttora rimangono l'unione di due famiglie piuttosto che di
due individui.
Il “Ghotoks” è colui che combina il matrimonio
presentando alla famiglia della sposa in candidati uomini, il cui requisito
fondamentale è che abbiano un lavoro.
Ma ormai i matrimoni d'amore sono una realtà
comune, specialmente tra le nuove generazioni.
Anche se non sono stati pochi, in questi oltre
dieci anni che ho frequentato e fotografato la comunità bangladese, i matrimoni
avvenuti a distanza, senza che le coppie di sposi si fossero mai incontrate
prima; a volte il matrimonio avveniva addirittura con l'imam che lo celebrava
per telefono.
Io stesso ho fotografato dei ragazzi qui a
Roma le cui foto sono poi state spedite in paese per essere usate dalla
famiglia per trovare la sposa.
Il rituale del matrimonio lo vedremo meglio
nella Seconda Parte.
Per ora ci fermiamo alla prima giornata che è
quella del Gaye Holud (Bengali: গায়ে হলুদ, preceduto – in questo caso –
dalla cerimonia del mehendi, ovvero la decorazione con henna naturali
alla sposa per il matrimonio.
Quest'ultimo è un rito tutto al femminile,
avuto luogo in un parco di Roma, che è stato anche un modo per la famiglia e le
amiche della sposa per stare insieme.
Anche la tradizione del mehendi non è così certa. Una volta, un mio amico
bangladese osservante musulmano mi confessò che era contrario a questa pratica
e comunque non era cultura musulmana bengali, bensì appartenente più alla
tradizione indiana induista.
Ma anche una mia amica indiana, del Bengali
occidentale, mi ha detto che nei loro matrimoni non si usa il mehendi.
Sembra più una tradizione della cultura araba,
poi portata in auge dal cinema di Bollywood, per cui adesso è una tendenza comune nei
matrimoni indiani che in quelli del Bangladesh.
Cerimonia
del Mehendi. Tor Tre Teste. ROMA – 18 Settembre 2020 |
Di certo il Gaye Holud (“rendere giallo il
corpo”), è uno dei cardini del matrimonio, con la curcuma usata dai parenti
e gli amici sulla pelle del viso degli sposi in senso propiziatorio.
Anche questa pratica ha avuto delle mutazioni
nel tempo. Alle origini avveniva lo stesso giorno del matrimonio, al mattino,
con l'alternarsi della famiglia dello sposo (senza lui presente) in visita alla
famiglia della sposa e poi viceversa, al termine del quale la sposa si fa un
bagno.
Ma per motivi pratici, nel tempo si è
preferito farlo nei giorni precedenti al matrimonio: il primo giorno con la
sposa come protagonista, il secondo giorno lo sposo (nel matrimonio induista
questo ordine è invertito).
Adesso, per ovvi motivi economici si sono
accorpati i due giorni in un unico giorno di celebrazione.
Solitamente i genitori della coppia sono i
primi ad iniziare a colorare il viso con la curcuma con le dita o, come in
questo caso, con una poetica margherita gialla.
Anche gli abiti sono tutti rigorosamente in
giallo, per tutti gli invitati al rito.
Nel paese di origine si offre anche il rohu,
una grossa carpa pescata nei fiumi dell'Asia del Sud. L'offerta dei pesci era
una parte importante del rito, e poteva essere cucinato solo da cinque donne sposate
chiamate “Eyo-stree”. Qui non si usa.
Questo è il Gaye Holud di Nadia e Sayeem.
“Gaye Holud”. Torpignattara. ROMA – 19 Settembre 2020 |
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