è quanto bene riesci a camminare attraverso il fuoco.”
(Carl Jung)
Thiruvila “Fire-walking”. Sri Veerama Kaliamman Devasthanam Temple. Gelugor, Penang. MALESIA – 9 Agosto 2019 |
Torniamo a parlare del nostro caro fuoco.
Dopo aver visto come il suo simbolismo sia stato associato alla
conoscenza, grazie ai miti greco-romani, e agli studi di antropologia
culturale, mi voglio concentrare ora su due rituali completamente opposti ma
che chiudono il cerchio (di fuoco).
Abbandonato Prometeo, spostiamoci verso l'India.
Ovviamente anche l'Induismo ha tenuto in altissima considerazione il
fuoco come divinità, con il nome di Agni, radice sanscrita comune
dell'etimologia originale in latino per fuoco – ignis – sostituita poi
dal termine più comune focus, che era invece il “focolare”.
Torniamo all'Induismo.
Agni, il dio-fuoco, non è solo una delle divinità principali, ma come scritto
nel Primo Libro dei Ṛg Veda, è anche uno dei nomi con cui i saggi chiamano il
reale: è il principio della nutrizione contenuto nella sfera dell'esistenza
della “Terra” Prithvi.
Comunque sia, insieme ad Indra, il Re degli dèi, Agni è una delle
divinità più importanti e venerate del periodo vedico, a cui sono dedicati
circa 200 inni dei Ṛg Veda.
Una delle sue principali caratteristiche è che, come elemento igneo,
Agni è presente simultaneamente nella sfera celeste (il sole), in quella
atmosferica (il fulmine) e in quella terrestre (nelle sembianze dei due
bastoncini di legno dell'albero sami, detti araṇi). Ed è proprio
in questa sua ultima forma che è conosciuto come il migliore amico dell'uomo,
poiché grazie alla produzione del fuoco sacro che i fedeli sono in grado di
alimentare le divinità e ricevere favori da esse.
Agni, il dio-fuoco. |
“Agni rivestiva, detto altrimenti, quella funzione mediatrice e catalizzatrice in grado, da una parte di consumare le offerte in nome delle divinità, e dall'altra di trasmettere i meriti rituali agli uomini che ben eseguivano il rituale sacrificale.” Scrive Diego Manzi nel suo bel libro sulle divinità dell'India.
Il fuoco è perciò mediazione con il mondo divino e mezzo catartico per
l'eliminazione dei propri peccati – come abbiamo visto in precedenza anche per
il Purgatorio cristiano e l'abluzione islamica.
Anche Sita, nel Rāmāyaṇa, deve affrontare la prova di Agni per
dimostrare la sua purezza.
Come ultima particolarità, che sarà poi utile come ponte per una dei
festival di cui vi voglio parlare, è che Agni è spesso frammentato in dieci
declinazioni, cinque naturali come gli incendi, i fulmini e i vulcani e cinque
rituali: il fuoco prodotto dallo sfregamento dei bastoncini durante il
sacrificio, quello dei progenitori, del focolare domestico, quello degli avi e
infine quello crematorio che pone fine all'esistenza.
Ricordiamoci questo particolare degli avi.
Diventa ora palpabile come il fuoco sia vissuto come porta di
connessione tra l'umano e il divino.
Prometeo ruba il fuoco alle divinità per donarlo agli uomini.
Ora gli uomini, tramite il fuoco, rendono onore e preghiera agli dèi.
Di questo ho avuto modo di farne esperienza visiva in Malesia, dove la
presenza induista è molto forte e completamente diversa da quella di Roma.
Mentre questi ultimi sono prevalentemente della zona comune del Bengala
Occidentale, indiano e bangladese, di tipo Hare Krishna, gli induisti che sono
in Malesia, e nella città di Penang in cui vivevo, vengono dall'area
meridionale del Tamil Nadu, con un tipo di ritualità completamente diverse e
più estreme, come vi ho già raccontato a proposito del Thaipusam.
Bene, un festival che mi impressionò molto fu quello chiamato Thiruvila
o Thimithi (Kundam in Tamil) o la cerimonia “Fire-walking” che si celebra una
settimana prima di Deepavali, durante il mese di Aipassi (Ottobre o Novembre).
L'usanza di compiere rituali che includono il fuoco, come appunto
camminare sulle braci ardenti (in greco: pyrobasia) è presente in molti
popoli.
In questo caso i fedeli induisti lo fanno in onore della dea Draputi
Amman, considerata l'incarnazione della dea Mariamman.
Il festival inizia con una lunga camminata a piedi nudi con carri e buoi, con davanti il religioso che ha effettuato in più anni questo rituale, mi dicono le persone durante la camminata, e a cui i fedeli ai bordi della strada e dalle case vanno a versare del latte tinto di giallo (il colore di molti rituali induisti Tamil) ai suoi piedi per rispetto: il latte è considerato capace di mondare i peccati umani e viene offerto sempre alle divinità.
Il prete che guida la processione sarà il primo a camminare sulle braci
roventi, con in testa il karakattam, la pentola piena d'acqua sacra. Compilerà
questa camminata più volte, e dopo di lui ogni fedele intenzionato a dimostrare
la stessa devozione e coraggio, anche ragazzi, donne e uomini con in braccio
bambini piccoli. Molti di loro falliranno piegati dal dolore.
Non sono pochi i casi, si dice, in cui i fedeli hanno riportato ferite
ed ustioni e sono anche caduti nelle braci, ma questo rientra nel rituale e
provoca euforia da trance più che dolore fisico.
Quando ho assistito a questo rituale non ero ancora in grado di capire
a pieno il suo valore, o meglio, so bene come il fuoco abbia un profondo
significato e di come il sacrificio e il dolore siano veicoli di fede, se non
di fanatismo religioso; ma dopo avere approfondito il potente legame tra
divinità, esseri umani e il fuoco, da Prometeo o Agni sino ai giorni nostri,
diventa più chiaro come tutto sia una ruota che gira incessantemente.
E come sia necessario un equilibrio per cui il fuoco, che dalla sfera
divina si fa materia e consente agli uomini salvezza e cultura, debba poi
tornare alle divinità portando con sé le preghiere e i sacrifici degli esseri
umani.
Le piaghe e le ferite delle fiamme sui piedi non sono altro che
preghiere fatte carne dolente.
Il fuoco diventa mediazione tra umano e divino attraverso la ferita, il
dolore e il coraggio.
La lista di festival che si muovono in questa stessa direzione di
dolore, sangue e preghiera è lunga, andate a vedervi le immagini del 9 Emperor
Gods Festival in Thailandia, l'Ashura mussulmana in India, i Vattienti del Sud
d'Italia o i flagellanti del Venerdì Santo nelle Filippine.
Non dimentichiamo che Prometeo, come punizione per aver sottratto il
fuoco a Zeus, fu punito incatenato ad una roccia con un'aquila che gli
squarciava il petto e dilaniava il fegato.
Quindi, in questo caso, il fuoco è la porta dimensionale dalla terra
alla sfera celeste divina e superiore.
Ma può esserlo anche verso gli abissi dell'oltretomba.
Come accade per il festival buddhista chiamato “Hungry Ghost”.
Anche questo festival l'ho seguito per due anni a Penang, proprio per
il mio amore per imparare il più possibile e per il fuoco.
Il festival religioso è legato ad una tradizione orale dei villaggi del
Buddhismo taoista cinese e vietnamita, nella quale si crede che ai fantasmi
degli avi sia concesso, durante un certo periodo dell'anno, di tornare nel
regno dei vivi per prendere con sé tutto ciò che spetta loro e che non è stato
sufficientemente offerto dai famigliari ancora in vita: perciò sono
rappresentati come fantasmi dal collo lungo e sottile, proprio perché
trascurati dai loro parenti.
Il festival dei “Fantasmi Affamati” si celebre durante il settimo mese
del calendario cinese, e solo dalla corrente taoista del Buddhismo.
Si dice che, durante questo mese, le porte dell'inferno siano di nuovo
aperte e i fantasmi affamati vaghino per la città razziando tutte le bevande e
il cibo che i loro famigliari viventi lasciano, come offerta, fuori dalle
abitazioni vicino a delle candele.
Le famiglie devono inoltre offrire preghiere scritte e monete in carta
chiamate “Hell money”, ovvero joss-paper stampati per sembrare monete
vere da usare solamente durante questo festival, come moneta – appunto – per
l'inferno.
“Hungry Ghost” Festival, Sungai Dua, Penang, MALESIA – 9 Settembre 2018 |
Le preghiere e le offerte vanno avanti per tutto il mese, fino all'ultima
notte in cui, dopo la preghiera con il monaco, viene smontato l'altare in
carta, il Bodhisattva Ksitigarbha seduto sul trono, raccolte tutte le preghiere
e le monete in grossi sacchi di plastica e accumulate sulla strada a formare
una grossa pira in attesa della mezzanotte.
Allora tutti i fedeli in circolo lasciano cadere gli incensi accesi
sulla pira finché tutto quanto esplode in un grandissimo e potente fuoco alto
metri.
Le porte dell'Inferno si chiudono di nuovo, per un anno, con la
preghiera per i fantasmi che si spera non siano più affamati e arrabbiati.
Ma tornino nel loro regno oscuro, in pace.
Tutti quanti rimangono fino a tarda notte a vedere il fuoco che si
spegne lentamente, e si chiude al suolo, come un senso veramente di misticismo
e rispetto.
Io credo che questa sia una giusta conclusione per parlare del fuoco.
Dall'Olimpo divino fino alle porte dell'Inferno, ma non quello classico
pieno di urla e dolore di tipo cristiano-islamico, ma più malinconico e
poetico, con i fantasmi dal collo sottile che tornano nella propria landa con
il cuore un po' meno triste per avere incontrato di nuovo i propri famigliari
in vita, e ottenuto ciò che era la doverosa pretesa: ricordo ed affetto.
Con il fuoco a bruciare le dimenticanze degli esseri umani.
Non dobbiamo e non possiamo mai dimenticare il nostro debito con la
sfera divina, e il fuoco è qui a ricordarcelo.
Con la carne arsa del carbone ardente, o con le preghiere in volo nella
notte.
Prima di diventare cenere.
“Encyclopedia of symbols” (Garzanti, 1991)
Diego Manzi: “Incanto – The divinities of India” (Le Lettere, 2019)
Comments
Post a Comment