(Glenn Gould)
Ultimamente ho riascoltato le “Variazioni Goldberg” di Johann Sebastian
Bach interpretate da Glenn Gould, e ho visto dei suoi vecchi video mentre le
suona.
Le Variazioni Goldberg (BWV 988) sono un'opera per clavicembalo
consistente in un'aria con trenta variazioni, composte da Johann Sebastian Bach
fra il 1741 e il 1745 e pubblicate a Norimberga dall'editore Balthasar Schmid.
E sono tra le opere per tastiera di musica classica più famose e difficili da
eseguire.
L'amore per la musica classica risale agli anni a cavallo tra le scuole
superiori e i primi anni dell'università, dopo gli anni adolescenziali in cui
ascoltavo solo Heavy Metal.
Furono anni in cui avevo bisogno di far respirare l'udito e coincisero
anche con la scrittura assidua di poesie.
Lo chiamerei il mio periodo “classico”, fatto di pomeriggi ad ascoltare
musica classica, serate ai concerti a Santa Cecilia, fine settimana al circolo
di scacchi. Mi fa sorridere ripensare a quel periodo, un po' troppo superbo.
Però mi ha permesso di conoscere alcune opere e artisti che tuttora
amo.
Alcune di esse sono opere di assoluto valore, vero e proprio patrimonio
culturale dell'umanità, in saecula saeculorum, dicevano i latini – fino
alla fine dei secoli.
Come, appunto, le Variazioni Goldberg.
L'opera è stata concepita come un'architettura modulare di trentadue
brani, disposti seguendo schemi matematici e simmetrie che la rendono tra le
più affascinanti e complesse nella storia della musica per strumenti a
tastiera.
Il conte Hermann Carl von Keyserling, grande estimatore di J. S. Bach,
all'epoca della pubblicazione di quest'opera era ambasciatore russo presso la
corte di Dresda. Essendo un grande appassionato di musica prese sotto la
propria protezione il giovane promettente Johann Gottlieb Goldberg (nato nel
1727 a Danzica) in modo che potesse studiare con il figlio maggiore di J. S.
Bach, Wilhelm Friedemann. Nel 1740 il conte, fiutando il talento del giovane
Goldberg, lo mandò a Lipsia affinché studiasse con lo stesso J. S. Bach. Ben
presto si diffuse la sua fama di virtuoso: si narrava che potesse leggere
qualunque spartito a prima vista, persino se posto al rovescio sul leggio. Il
primo biografo di Bach, Johann Nikolaus Forkel, racconta le circostanze in cui
il compositore compose l'Aria con diverse variazioni per clavicembalo a due
manuali:
In cattiva salute, il Conte soffriva sovente
d'insonnia, e Goldberg che viveva in casa sua, doveva distrarlo, in simili
occasioni, durante le ore notturne, suonando per lui in una stanza attigua alla
sua. Una volta il Conte disse a Bach che gli sarebbe molto piaciuto avere da
lui alcuni pezzi da far suonare al suo Goldberg, che fossero insieme delicati e
spiritosi, così da poter distrarre le sue notti insonni.
Bach concluse che il miglior modo per accontentare questo desiderio fosse scrivere delle Variazioni, un genere che fino allora non aveva considerato con molto favore per via dell'armonia di base, sempre uguale. Sotto le sue mani, anche queste Variazioni divennero modelli assoluti dell'arte, come tutte le sue opere di quest'epoca. Il Conte prese a chiamarle, da allora, le “sue” Variazioni. Non si stancò mai di ascoltarle e, per lungo tempo, quando gli capitava una notte insonne, chiamava: “Caro Goldberg, suonami un po' le mie Variazioni”.
Così è riportata la storia di quest'opera.
Fu stampata dall'editore Balthasar Schmid di Norimberga, amico di Bach.
Solamente diciannove copie della prima edizione sono giunte fino a noi,
conservate in musei e in biblioteche di testi rari. Tra queste, la più preziosa
si trova a Parigi, presso la Bibliothèque Nationale e riporta correzioni e
aggiunte autografe del compositore.
Molti sono stati i pianisti che si sono avventurati nell'incisione di
questa opera.
Le Variazioni furono composte per un clavicembalo a doppia tastiera, pertanto
le difficoltà esecutive erano amplificate sul piano, a causa della meccanica
più pesante e impegnativa e dei funambolici passaggi con le mani incrociate o
sovrapposte resi necessari dalla tastiera unica.
Glenn Gould |
La versione di Glenn Gould rimane un capolavoro insuperabile, osannato
a livello quasi mitico dagli estimatori del pianoforte e della musica classica,
in generale.
Glenn Herbert Gould nacque a Toronto, in Canada, il 25 settembre 1932
dove vi morì il 4 ottobre 1982, ed è stato un pianista, compositore,
clavicembalista e organista.
È stato definito il “James Dean della musica”, per la sua bellezza, il
genio e la follia che scombussolò il mondo composto e un po' anchilosato della
musica classica.
Fin da bambino aveva l'orecchio assoluto e a cinque anni già componeva
i suoi primi pezzi per piano.
Al conservatorio sbaragliava tutti gli altri studenti, vincendo
concorsi, al punto che anche il famoso scrittore austriaco Thomas Bernhard gli
dedicò il primo libro della trilogia sulle Arti (musica, teatro e pittura) che
l'autore scrisse tra il 1983 e il 1985: “Il soccombente”. Una delle sue opere
più note che racconta del fittizio rapporto tra il pianista canadese e due suoi
giovani compagni di studio al Mozarteum di Salisburgo negli anni cinquanta.
Il narratore e il suo amico Wertheimer (di ricca famiglia ebraica)
abbandonano gli studi di pianoforte appena si rendono conto del genio superiore
di Glenn Gould, quando lo sentono suonare le Variazioni Goldberg di Bach.
Annoverato tra i più grandi pianisti mai vissuti grazie alla tecnica
eccezionale, alla sensibilità e all'assoluta modernità nella rilettura e
interpretazione dei classici, è ricordato soprattutto per le registrazioni di
musiche di Bach, Beethoven e del repertorio pianistico del XX secolo.
Smise di esibirsi in concerto nel 1964, con un ultimo concerto pubblico
a Los Angeles in California, dedicandosi completamente alle registrazioni in
studio per il resto della sua carriera.
Morì nel 1982 a Toronto in seguito ad un ictus, dove è sepolto nel
cimitero di Mount Pleasant.
Era celebre per la velocità funambolica e la pulizia delle note, con
una postura ribassata sul pianoforte su una sedia pieghevole, con gambe
regolabili singolarmente, che suo padre, Bert Gould, aveva fatto costruire, e
continuò ad utilizzarla anche quando era quasi completamente consumata.
Glenn Gould registrò due versioni, a distanza di anni, una prima più
dinamica e veloce, e l'ultima più introspettiva. Entrambe sono considerate due
capolavori. E dire, che all'inizio, la casa editrice non voleva registrarle
perché già ne era stata fatta una versione molto famosa dalla celebre Wanda Landowska nel 1933 e nel 1946.
Ciò che lo rese famoso, oltre alla sua insuperabile tecnica, era anche
la curiosa abitudine di canticchiare tutto il tempo mentre suonava. Cosa che
faceva impazzire i suoi tecnici del suono, i quali non sempre sono stati in
grado di escludere la voce dalle sue incisioni. Gould affermava che il suo
canto era qualcosa di involontario, e che cresceva proporzionalmente
all'incapacità del pianoforte di realizzare la musica esattamente come egli la
intendeva.
È sufficiente vedere un video mentre suona: le labbra seguono le dita,
o meglio, le dita seguono le sue labbra che cantano.
Non è stato il solo ad avere questa peculiarità.
Il pianista jazz Keith Jarrett non è da meno. “The Köln Concert” è una
sua registrazione, si tratta di un'improvvisazione solista eseguita all'Opera
di Colonia nel 1975. È considerato il più famoso album di jazz solo, con 3
milioni e mezzo di copie vendute. Durante questo concerto Jarrett, per tutto il
tempo, nei momenti di crescente intensità, ansima, grida, batte i piedi sulla
pedana.
Si sentono i respiri e gli sbuffi dal naso.
Ma nel jazz questo è già più normale, a differenza della musica
classica dove tutto è più formale e conservativo.
Rivedendo i video di Glenn Gould mi ha fatto pensare alla peculiarità
della musica classica.
La creazione dei maestri, le opere di Bach, Mozart, Beethoven, sono
spartiti musicali – io ne comprai anche
alcuni di Beethoven all'epoca, senza un motivo sensato, perché non ero in grado
di leggere la musica.
Ma, in effetti, quei libri fitti di note nel pentagramma sono le loro
creazioni artistiche. Equivalenti al “Don Chisciotte” di Cervantes, alle “Ninfee”
di Monet, ad “Amore e Psiche” dello scultore Antonio Canova o alle fotografie
di Cartier-Bresson .
Ma in questo caso non abbiamo bisogno di “altri occhi” che ci fanno
vedere le forme della statua, o i colori della tavolozza di Monet, o la voce
che ci legge le pagine di Cervantes.
Non esiste mediazione.
Compriamo il libro, andiamo al museo, vediamo le fotografie.
Semplice e banale verità.
Perciò, era sì stupido comprare la partitura della Quinta Sinfonia di
Beethoven, a fianco dei cd delle varie versioni, ma mantiene anche un suo
significato romantico.
Perché, in effetti, quella fitta rete di note per pagine e pagine, sono
la reale creazione scaturita dalla mente del genio tedesco.
Ma, così come è, scivola via dalle nostra dita, al di fuori di ogni
comprensione e godimento, a meno che non si è in grado di leggere e suonare la
musica. E comunque sia una sinfonia non è una sonata per pianoforte o viola.
Rimane inespugnabile anche a chi conosce la musica, nella solitudine della
propria stanza.
Immaginavo come sarebbe se questa magia dei suoni della voce che
accompagnano al piano Glenn Gould fosse possibile anche per le altre arti.
Pensandoci bene è malinconico non avere altro che il risultato finale:
che sia un romanzo, un dipinto, una fotografia, una scultura, non vi nessuna
traccia di chi le ha create.
Come sarebbe sfogliare le pagine di Moby Dick e poter ascoltare gli
sbuffi di Melville mentre scrive della balena che si dimena nelle acque, magari
con il suono dell'acqua infranta come fanno i bambini quando giocano.
O i sospiri di malinconia di Giacomo Leopardi seduto al di là della
siepe.
Magari anche Cartier-Bresson canticchiava mentre camminava per le vie
di Parigi.
Anche a me è capitato tante volte di parlare da solo, o sbuffare impaziente
oppure gridare esaltato durante momenti di foto che non arrivavano oppure colte
nel momento giusto.
È come se fosse un eccesso di vita, che prolassa nell'arte, e la rende
“umana”.
Io credo che sia quello il fascino della voce di Glenn Gould, bisbigliata
tra le note, e che i tecnici audio pensavano fosse una pecca da eliminare.
Un difetto nella perfezione.
Mentre è proprio ciò che lo ha reso riconoscibile, unico e
distinguibile da ogni altra versione di quel capolavoro.
Glenn Gould, 1956. The LIFE Pictures Collection - Getty |
In realtà, proprio quell'errore, quella voce “da fuori”, ci restituisce una dimensione dell'opera che altre forme d'arte non possono.
Mi viene in mente giusto alcune vecchie registrazioni dei nostri poeti
che recitavano le proprie poesie alla radio.
L'immagine di Glenn Gould, piegato su sé stesso, ondeggiante leggiadro
quasi in estasi placida davanti al pianoforte senza neanche lo spartito,
cantilenando come una nenia uno dei capolavori più difficili e complessi da suonare,
è da brividi.
Che fa il paio a quella più antica, da giovane, in vestaglia da camera,
più selvaggio e aggressivo mentre percuote i tasti del pianoforte e ci grida
sopra.
La differenza tra vomitare la musica fuori con irruenza da giovane
genio bizzarro e noncurante di niente, alla ormai raggiunta maestria illuminata
che lo fa dondolare e canticchiare godendone appieno, senza necessità di
velocità e aggressività: la musica è completamente dentro di lui, più nella
voce appena accennata quasi, che nelle dita che appena accarezzano il piano.
È grazie a lui che noi possiamo godere del genio di Bach, e allo stesso
tempo al suo di genio.
Non sarebbe male se ogni opera che amiamo, ogni dipinto, poesia,
fotografia, romanzo, avessero quella sacca pulsate di vita di chi l'ha creata o
realizzata.
Non fosse altro che per sentirle più vicine a noi.
Glenn Gould 1/4 Goldberg Variations (HQ audio - 1981)
Thomas Bernhard: “Il soccombente” (Adelphi, 1999)
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