“Il vaso vale per ciò che può contenere.” (Proverbio
cinese)
Dublino. Irlanda, 5 Marzo 2012 |
Nel 2012 trovai, dimenticata vicino ad un
bancomat alla Stazione Termini, una piccola macchina fotografica blu; io
camminai nei paraggi per vedere se qualcuno la stava cercando, e vidi anche
alcune fotografie per capire chi fosse e magari riconoscerne il proprietario,
ma niente.
Allora la portai con me, non è che ne
avessi bisogno, all'epoca già avevo la mia macchina fotografica e quella era
solamente un piccolo modello digitale compatto.
Ricordo che provai, all'epoca, anche a
mettere alcune delle foto su Facebook della ragazza cinese che appariva in
tutti gli scatti, nel caso in cui – per coincidenza – qualcuno l'avrebbe
riconosciuta per darle indietro la sua macchina o almeno le foto.
Niente anche quello.
Io non potei fare altro che trasferire
tutte le foto in una cartella e tenerle là.
Ora, dopo otto anni, ho deciso di riaprire
quella cartella e osservarle di nuovo: 600 fotografie, dalla prima scattata il
31 luglio 2011 fino all'ultima del 7 marzo 2012, quasi un anno di vita perduta.
Io spesso ho l'abitudine e il piacere,
quando vado nei mercatini vintage, di dare un'occhiata e spesso comprare alcune
vecchie fotografie in bianco e nero, quasi sempre di gente sconosciuta.
Mi piace, forse perché fin da piccolo mi è
sempre interessato cercare di capire la vita degli altri, entrare nelle loro
teste, come quando stai ore a fissare dalla propria finestra le dozzine di
finestre dei palazzi di fronte, e vedi chi cucina, spolvera, litiga, si bacia,
guarda la tv, gioca con i figli, e cerchi di comprendere che vita c'è in quelle
case, cosa agita il cuore di chi le abita.
Lo stesso accade per le foto in bianco e
nero di persone sconosciute: le osservi e ti chiedi chi fosse, come si
chiamava, che gusto di gelato preferiva o se amava più l'estate o l'inverno, i
capelli legati o sciolti, il piano o la chitarra.
Ci sono anche molti progetti fotografici realizzati
con gli scarti di fotografie o con vecchie foto di persone sconosciute.
Non è questo il mio intento, né tantomeno
ho trovato la scatola d'oro con tutte le fotografie conservate di Vivian Maier.
Quella era solamente la piccola fotocamera
digitale di una ragazza cinese che, molto probabilmente, fece un viaggio di
studio in Europa, però non furono immagini rivenute in un mercatino, ma ben 600
fotografie.
Una differenza enorme.
Non che lei fosse una fotografa
impeccabile, erano tutte foto molto semplici e molti erano auto-scatti, però
forse è questa la sua particolarità, che mi ha portato a rivederle di nuovo e
sceglierne alcune per voi.
Perché sono il mondo visto in modo semplice
da una perfetta sconosciuta, che chiamerò Su, in onore della protagonista di
uno dei miei film preferiti: “In the mood for love” di Wong Kar-Wai, Su
li-Zhen, Ya Xing nel libro da cui è tratto il film.
Infatti, sembra veramente come osservare un
film, con la prima fotografia che è un
selfie della madre, penso data la somiglianza, in casa, prima di accompagnarla
all'aeroporto. Sono quasi certo sia cinese perché sia in casa che
nell'aeroporto ci sono le tipiche decorazioni rosse cinesi da soffitto a rombo.
Poi inizia il suo lungo viaggio, forse da
sola o con la sua migliore amica che compare in molte immagini.
A Dublino, dove frequenta dei corsi
universitari e dorme a casa di una famiglia irlandese che la ospita. Va ai
concerti rock e tra le valli verdi con gli altri studenti. Poi ad Amsterdam nel
2012, ed infine a Roma, con gli ultimi scatti proprio vicino alla zona della
stazione dove perderà la sua macchina fotografica. Ogni tanto compare anche la
data sull'immagine come era consuetudine in quelle vecchie macchine
fotografiche compatte.
Ciò che colpisce più di Su è che sorride raramente:
ogni auto-scatto o foto che le fanno lei ha sempre la stessa espressione, che è
un misto di tristezza e malinconia. Anche quando si fotografa da sola nella
stanza dell'hotel, allo specchio: non sorride mai.
Anzi, la sua amica a volte la costringe a
sorridere con le dita premute sulle labbra.
Però ama i fiori, li fotografa ovunque.
Io ho cercato il più possibile di non
ritoccare troppo le foto, di non tagliarle; a volte si, le ho editate, come se
io le avessi scattate.
E le ho lasciate qui in ordine cronologico.
Non so quanto sia in grado di spiegare
quello che provo guardando queste immagini, una dietro l'altra. Forse, solo chi
come me condivide la passione nel conoscere le vite altrui può comprendere a
fondo.
È come se ogni persona che incontriamo per
strada, nel luogo di lavoro o al mercato fosse una porta chiusa. Bene, in
questo caso la porta si è aperta e sono potuto entrare per un breve tempo, lo
spazio di un anno e 600 immagini, nella mente di questa giovane ragazza cinese
malinconica; che quando la fotografano allarga sempre le braccia, come una
croce.
Quando qualcuno osserva le fotografie di
Salgado, McCurry, di Robert Frank sta osservando un concetto artistico espresso
in forma visiva, decenni di esperienza, talento e pensiero condensati in
un'immagine.
Quando osserviamo, invece, le migliaia di
foto postate sui social network, dai nostri amici o conoscenti noi guardiamo sì
attimi di vita quotidiana, non certo capolavori della fotografia, ma quello che
noi siamo e viviamo ogni giorno.
Ma..., ma noi stiamo sempre guardando il
risultato di una scelta: è quello che è stato scelto di essere mostrato per
raccontare sé stessi.
Le fotografie di Su sono tutt'altra cosa,
sono la sua visione privata del mondo; mai avrebbe immaginato di dimenticare la
macchina fotografica a Roma e perdere tutte quelle immagini.
Lei le aveva scattate per sé stessa, per
ricordare il suo viaggio in Europa.
Una cosa è leggere una propria poesia
davanti ad un vasto auditorio, altra cosa è scrivere nella solitudine della
stanza i propri pensieri, desideri e paure in un diario.
Queste foto che ho scelto puramente ad
istinto ed emozione sono molto più prossime ad un diario privato, che purtroppo
è andato perduto.
Un diario che Su non potrà più sfogliare, e
magari ancora adesso, a distanza di anni, ogni tanto, torna a pensarci nella
sua stanza in una città della Cina, e soffre, perché avrebbe voluto veramente
tanto far vedere a sua madre come erano belli quei fiori blu a Dublino, o i
cigni nei canali di Amsterdam, o quella pizza indimenticabile a Roma.
Per questo motivo io vi mostro le foto di
Su che non sorride mai.
Affinché, almeno noi, possiamo leggere i
suoi pensieri e sapere le sue emozioni.
Sperando che questo riesca a farle
abbozzare un sorriso.
E poi chissà, magari qualcuno che vedrà
questa foto lo dirà a Su e io potrò donarle dietro tutte le sue memorie. Ma
questa è solo una fantasia romantica.
Ciao Su.
Good-bye China. 31Luglio 2011 |
Irlanda, 2011-2012 |
Amsterdam, March 2012 |
Mac mia migliore amica. Amsterdam, Marzo 2012 |
Roma. Italia, 7 Marzo 2012 |
L'ultima foto a Roma. Italia, 7 Marzo 2012 |
Liu Yichang: “Un incontro” (Einaudi, 2005)
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