Rime e Assonanze: Due Fotografi allo Specchio

“La fotografia è per me il riconoscimento nella realtà di un ritmo di superfici, di linee e di valori. L'occhio ritaglia il soggetto e alla macchina non resta che fare il suo lavoro, cioè imprimere sulla pellicola la decisione dell'occhio.” (Henri Cartier-Bresson)

Henri Cartier-Bresson, “Hyères.” France, 1932

In poesia io ho sempre amato di più le assonanze rispetto alle rime. La rima è la ripetizione pedissequa di suoni e lettere, mentre l'assonanza è diversa, è una forma di rima imperfetta che si ha quando, in due o più versi, le parole terminali contengono le stesse vocali a cominciare da quelle accentate, mentre le consonanti sono diverse, ma con un suono simile.

In fotografia difficilmente esistono rime, ma è stimolante cercare le assonanze. Soprattutto se lontane miglia e miglia.

Un fotografo che è nell'Olimpo, se non nello scranno più alto, è di sicuro Henri Cartier-Bresson. È inutile scrivere su di lui, perché tutto è stato scritto e detto, e io di certo non ho la superbia  di poter dire qualcosa di nuovo. Io posso solamente sfogliare i suoi libri, leggere i suoi scritti, ed ammirare estasiato, come chi è assetato e trova una sorgente d'acqua fresca e beve a mani unite: questo sono le sue fotografie.

Ognuno ha delle foto preferite dei vari fotografi e di sicuro ognuno ha la sua a proposito di Cartier-Bresson.

Uno degli ultimi libri che ho comprato su di lui era proprio su questo tema, Immagini e Parole, in cui diverse personalità della cultura hanno scelto una sua foto e hanno spiegato il motivo della scelta. Molto interessante.

Io adoro questa foto del 1932, “Hyères”, pubblicata in quello che è stato il suo manifesto e uno dei libri più importanti nella storia della fotografia, Images à la Sauvette, edito nel 1952 da Simon e Schuster in Francia e America, dove fu appunto tradotto con il titolo The Decisive Moment (L'Attimo Decisivo). Il libro raccoglieva le due fasi del fotografo francese quella pre-Magnum ossessionato dalla forma, con le fotografie dal 1932 al 1947 scattate in Occidente e poi quelle post-Magnum dal 1947 al 1952, fatte soprattutto in Oriente, con uno stile più sociale e politico.

Questa è una fotografia scattata con la sua Leica 50mm che rientra nel classico stile di “fishing technique”, ovvero, dopo aver trovato una buona location si rimane in attesa, dall'alto, che un buon soggetto entri nell'inquadratura per completare la perfetta composizione.

Ed ecco il ciclista che schizza da destra a sinistra e viene fermato, nell'attimo decisivo, nello spazio vuoto, mentre le linee a spirale della scala guidano l'occhio, seguendo linee e patterns, proprio verso il ciclista.

Cartier-Bresson è un maestro indiscusso in questo: immagine dalla composizione perfetta come una partitura di musica classica ma con quel tocco jazz che la rende più dinamica; la silhouette un poco sfocata del ciclista sembra un colpo di spazzola di una batterista jazz.

È un'immagine nota e stranota, usata nelle copertine dei libri e nelle lezioni sulla fotografia. È classe, composizione, occhio e velocità.

Inevitabilmente l'arte della fotografia è sempre stata identificata con i maestri occidentali, europei e americani. Ma è vero che, per esempio, la fotografia approdò in Giappone appena dieci anni dopo che Daguerre la inventò in Francia nel 1839, grazie ai mercanti olandesi che portarono il nuovo strumento nel porto di Nagasaki.

Senza dimenticare la famosa "Scuola di Yokohama" (Yokohama Shashin) che nella seconda metà dell'Ottocento amalgamava la tecnica fotografica con la maestria dei pittori locali, creando quello stile famoso che in Europa era chiamato Pittorialismo.

AnonymousNel Parco Satake a Mukojima,” 1880-1900

Non è mia intenzione fare qui la storia della fotografia giapponese anche se è un argomento che mi interessa molto. È un paese sicuramente affascinante, che è rinato dopo il terribile terremoto del 1923 e i bombardamenti americani.

L'anno in cui Cartier-Bresson scattava quella fotografia, nel 1930, in Giappone Domon Ken inaugurava il realismo fotografico, diventando il fotografo giapponese per eccellenza, che rappresentava una realtà scevra dalla propaganda pre-bellica. Questa prima scuola fotografica conosceva bene il lavoro del fotografo francese, grazie alla mostra “Group Photo” del 1951.

Ishimoto Yasuhiro“On a Tokyo street”, 1953

E quando la famosa mostra fotografica itinerante The Family of Man arrivò a Nihonbashi nel 1956 c'erano ben sei fotografi a rappresentare il Giappone tra i 68 paesi partecipanti.

Quindi non è così scontato il predominio occidentale sulla visione fotografica. Da Domon Ken fino a Daido Moriyama e Araki, il Giappone ha marcato profondamente il discorso globale fotografico, fin dalla sua nascita.

Narahara Ikkō,  nel 1956, a 24 anni tenne la sua prima mostra fotografica, intitolata Human Land, in cui raccontava i suoi tre anni vissuti in un villaggio di Nagasaki sotterrato dalla lava del vulcano. Il  suo lavoro gli diede notorietà fino a diventare uno tra i fondatori di VIVO, nel 1959, una dei collettivi fotografici più forti in Giappone.

Narahara Ikkō“Island without green. From the Human Land seriesNo. 41.
Gunkanjima, Nagasaki, 1954-57

Una di queste foto, della serie Human Land, è scattata dall'alto, sopra un cortile con delle scale, e in fondo c'è una via stretta dove sta camminando una signora; pochi passi ancora e la donna svanirà dietro il muro a sinistra.

A differenza della foto di Cartier-Bresson non c'è un movimento a spirale ma per linee  solide diagonali, orizzontali e verticali, ma è la donna in alto, nella piccola porzione di spazio tra le pareti che colpisce: è là solamente per breve tempo, poi scomparirà come il ciclista del francese.

Ecco l'assonanza, consonanti diverse ma vocali e suono uguali. A distanza di venti anni e miglia e miglia, geograficamente parlando. Due mondi completamente diversi: Parigi e Nagasaki. L'attimo decisivo che fa tremare gli occhi di piacere.

Non sto qui a paragonare la bravura tra questi due fotografi, Cartier-Bresson è immenso, e la mia è soltanto una suggestione, il mio personale punto di vista.

Ma credo che queste due fotografie ci stanno dicendo qualcosa: la bravura è possibile ovunque, noi dobbiamo estendere al massimo il ventaglio del nostro conoscere. Più sono larghi i cerchi sulla superficie dell'acqua più la pietra è andata in profondità.

Capovolgiamo le nostre certezze, lasciamoci travolgere dalle vertigini, godiamo nel perdere il nostro equilibrio.

Scoviamo l'attimo decisivo dovunque esso si presenti, anche in un villaggio sperduto di Nagasaki.

Questa è la meraviglia dell'esistenza, per me.

E poi, le rime sono così noiose...


 

Henri Cartier-Bresson: “L'Esposizione / The Exhibition" (Contrasto / Center Pompidou, 2015)

Henri Cartier-Bresson: “Cartier-Bresson: Images and words” (Contrasto, 2015)

“Secret Japan – Masterpieces of 19th century photography” (Giunti, 2016)

“Japan: A self-portrait. Photographs 1945-1964” (Flammarion, 2004)

Domon Ken: “The Master of Japanese Realism” (SKIRA, 2016)

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