Dieci Passi Indietro

“Il miracolo non è di volare in aria o di camminare sull'acqua,
ma di camminare sulla terra”

(Proverbio cinese)

 

“Family”. ROMA – 24 Luglio 2020

La Fotografia può avere fini molti alti.

È un'arma assai potente.

Eugene Smith obbligò a chiudere la Chisso Corporation dopo che le sue fotografie, su LIFE, rivelarono al mondo come i loro scarichi di mercurio stavano avvelenando e decimando il villaggio di Minamata, negli anni '70.

Alberto Korda regalerà al mondo, con due soli scatti, il volto di Che Guevera come simbolo di tutte le rivoluzioni; Don McCullin rischiò la follia per documentare gli orrori delle guerre.

 

Si fanno anche tante fotografie inutili, per carità, e queste sono la stragrande maggioranza.

 

Poi ci sono foto che hanno un loro luogo particolare.

Direi quasi un destino, se non fosse che l'uso di questa parola sublime mi sembra azzardata riferita ad un semplice gioco di luce e lenti.

Capita che una mia amica mi chiede di fare alcune foto della sua famiglia per una rivista, a corollario di una loro intervista.

Noi ci conosciamo già da molti anni, abbiamo collaborato nella realizzazione di alcuni libri qua a Roma. Condividiamo la passione per il Bangladesh e a Dhaka sono stato ospite da parenti di suo marito.

Ora lei è anche in dolce attesa del secondo figlio.

Perciò siamo andati in un parco di Roma, dove oltretutto si celebra ogni anno il primo giorno del Capodanno del Bangladesh, al tramonto.

Neanche un'ora, a passeggiare, scambiare due chiacchere e fare foto con in lontananza il profilo dell'antico acquedotto romano.

 

Poi a casa, il momento più bello per me, davanti allo schermo del computer a visionare le foto e a scegliere quelle più interessanti.

E tra le immagini più consuete, i classici ritratti famigliari in posa, emerge questa fotografia, baciato da una luce dorata che rende tutto magico.

La cosa curiosa è che voleva essere una prova di luce, per  poi fotografarli camminando davanti a me.

Invece, alla fine, è quella che è piaciuta di più a me e a loro.

 

Sulle fotografie di spalle ho già scritto, sulla loro qualità metaforica.

Ma non è solo questo.

Al di là dei fini pratici della foto, è una foto che appartiene esclusivamente a loro nel suo significato; io sono solo un tramite.

È il ricordo di un mese prima di avere un altro figlio, rendendomi partecipe a distanza delle loro emozioni. È immortalare l'amore.

 

Ogni volta che capitano fotografie di questo tipo mi emoziono. Come le fotografie dei matrimoni, dei compleanni o delle consegne delle lauree. O come quando vado a casa di una mia amica che ha ormai il rito della sessione fotografica famigliare, ogni anno: sin dal primo momento che era ancora incinta del primo figlio, poi la seconda bambina, e da allora mi chiama regolarmente per avere il ricordo stampato dei figli che crescono.

La stessa cosa fu per il matrimonio di mio fratello, sebbene io non fossi il loro fotografo ufficiale loro hanno voluto che la mia macchina fotografica immortalasse la loro felicità.

 

“Matrimonio di mio fratello”ArgentarioTOSCANA – 29 Giugno 2019 


Noi fotografi, in fondo, non abbiamo una posizione ben definita nei confronti di quello che accade oltre l'obiettivo. Ci siamo e non ci siamo. Siamo dentro l'esistenza delle persone ritratte ma anche distanti e “altra cosa”.

Oscilliamo in modo baluginante tra l'essere testimoni e creatori di attimi di vita ma anche mai parte di essi.

Le emozioni e l'amore della famiglia della mia amica, o delle tante fotografie negli anni, non potranno mai appartenermi: io sono sempre dieci passi lontano da loro. Però quell'amore diventa visibile, ed esiste, grazie alla mia macchina fotografica.

Poi ognuno torna alla propria casa, assorbito dalla quotidianità, ed io svanisco.

Noi fotografi cessiamo di esistere.

Ma le nostre immagini rimangono, e per molte persone acquistano un valore indimenticabile.

Vengono incorniciate, appese alle pareti di casa, guardate ogni giorno, e magari, a volte, con le lacrime agli occhi per le emozioni rievocate.

Sono come i romanzi che ognuno di noi legge per vivere esistenze che non ci sarà mai possibile esperire in concreto. Che una vita non è mai abbastanza.

 

Così sono le fotografie, infiniti modi di declinare la nostra vita, anche solo per un'ora o un secondo.

Con profonda gratitudine, e un poco di malinconia.

 

Dieci passi indietro.



Patrick Mahé, Didier Rapaud: “Eroi del fotogiornalismo” (Electa, 2015)

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