“Anche un albero non è mai solitario per Strand,
lui è l'altro albero.”
Torniamo a parlare di Fotografia.
Grazie ad un regalo che mi è stato fatto per il mio compleanno. La
versione appena ristampata di una classico degli anni Cinquanta, in una
meravigliosa edizione dell'Einaudi: “Un Paese”, di Paul Strand e Cesare
Zavattini.
Paul Strand, nato a New York nel 1890 e morto a Orgeval nel 1976, è stato – insieme a Alfred Stieglitz ed Edward Weston – tra i maggiori esponenti della straight photography, la quale nei primi del Novecento recuperava il valore del fattore tecnico e manuale della fotografia piuttosto che quello estetizzante del pittorialismo che vedeva la fotografia più vicina all'arte in sé, alla pittura. Il suo ampio lavoro copre una sessantina d'anni attraverso America, Europa e Africa, ed è considerato tra i Maestri fondatori della fotografia moderna al pari di Cartier-Bresson in Europa.
Paul Strand © Martine Franck |
Cesare Zavattini, nasce a Luzzara, un piccolo comune in provincia di
Reggio Emilia, il 20 settembre del 1902, da Arturo Zavattini e Ida Giovanardi.
Morì a Roma il 13 ottobre del 1989. Dal talento multiforme, è stato uno sceneggiatore,
giornalista, commediografo, scrittore, poeta e pittore italiano, non anche
sceneggiatore di fumetti.
Anche se per molti rimane lo sceneggiatore di capolavori
indimenticabili del Neorealismo italiano, con oltre ottanta film all'attivo.
Nel 1934 si avvicinò al mondo del cinema, dedicandosi con passione come
soggettista e sceneggiatore, e nel 1939 incontrò Vittorio De Sica, con cui
realizzò una ventina di film, tra i quali capolavori del Neorealismo come
“Sciuscià” (1946), “Ladri di biciclette” (1948), e “Miracolo a Milano” (1951),
ma collaborò anche con Antonioni, Fellini, Germi, Risi, Monicelli, Rossellini e
altri indimenticabili registi italiani.
Dopo gli anni liceali nel Lazio, tornò in Emilia dove si iscrisse alla
Facoltà di Legge dell'Università di Parma; il suo primo lavoro fu quello di
istitutore nel convitto nazionale Maria Luigia di Parma: fu insegnante di
Giovannino Guareschi, Attilio Bertolucci e Pietro Bianchi.
Agli inizi degli anni Trenta iniziò la sua carriera di prolifico
scrittore tra romanzi e poesie, diresse riviste satiriche e collaborò con case
editrici come la Rizzoli e la Mondadori.
A Luzzara istituì nel 1967 il Premio dei Naïfs e diede origine al primo
e unico Museo Nazionale delle Arti Naïves.
Solamente per fare una sintesi della sua carriera e del peso che
tuttora ha nel patrimonio culturale italiano e mondiale.
Cesare Zavattini © Arturo Zavattini, 1988 |
La prima volta che Zavattini incontrò Strand fu nel 1949 a Perugia al
congresso dei cineasti, ma non scambiarono una parola perché intimorito dal suo
silenzio, poi a Roma nel 1952. Ad accomunarli era proprio quel neorealismo, di
cui Zavattini fu teorico, e il cui spirito è così ben descritto in queste
parole che raccontano anche il libro: “Una vera carità di tempo di occhi di
orecchie data ai fatti, alla gente del proprio paese.”
A proposito di “Un Paese” è stato scritto molto. Della sua genesi e della sua
importanza. Lo stesso Zavattini ne scrive nell'introduzione.
All'inizio doveva essere un film, poi il primo volume di una serie che
portava lo stesso titolo di quel progetto cinematografico mai realizzato,
“Italia mia”, ma alla fine rimase un singolo volume che fu anche il primo libro
fotografico edito in Italia, dalla Einaudi, nell'aprile del 1955, poi tradotto da Aperture nel 1997, in
concomitanza con la versione italiana di Alinari, tutt'ora introvabili o con
prezzi alle stelle.
Come racconta Maria Antonella Pellizzari nel bell'articolo “Un Paese
(1955) et le défi de la culture de masse”, lo storico dell'arte Milton Brown
aveva già accompagnato l'amico Paul Strand e sua moglie Hazel in un tour
iniziale dell'arte italiana
nel 1952, facendo loro ammirare
le pitture di Caravaggio e Piero della Francesca, che era il suo pittore
preferito.
Dal 1949 si era trasferito in Francia per fuggire dagli attacchi della
politica anticomunista del senatore McCarthy, ma fin da quando viveva in
America aveva iniziato a progettare un lavoro intitolato “A portrait of
village”, sull'anima pura americana, concepito durante un suo viaggio nel New
Mexico nei primi anni Trenta, ispirato all' “Antologia di Spoon River” di Edgar
Lee Masters.
Il suo primo libro fotografico, “Time New England” (1950), era
incentrato proprio sulla ricerca dei valori tradizionali di democrazia della provincia
americana.
Perciò l'incontro con lo scrittore italiano fu l'innesco di una
perfetta esplosione creativa, accomunati dal comune afflato sociale e di amore
per la gente dei propri luoghi.
Il critico cinematografico Viriglio Tosi, che conosceva bene l'impegno
politico del fotografo americano, li mise in contatto e da quel momento nacque
l'idea di “Un paese”.
Come scrive lo stesso Zavattini, all'inizio – quando Strand gli chiese
da quale paese partire – avrebbe voluto chiudere gli occhi e puntare il dito a
caso su un punto della cartina geografica dell'Italia, poi penso che era meglio
partire da un paese che conosceva bene (così credeva), ovvero Luzzara, piccolo paradiso
comunista dell'Emilia-Romagna, focolaio di Resistenza partigiana tra 1943-1944,
sulle rive del Po.
Strand,
con sua moglie, ci lavorò per un mese, accompagnato da Valentino Lusetti, un
contadino che sapeva l'inglese perché era stato prigioniero in America.
Così
scrive Zavattini:
“Strand e sua moglie, lei è del Massachusetts e lui della Nuova
Inghilterra, consultavano spesso la carta di Luzzara, gliel’ha regalata il
sindaco, io non l’avevo mai consultata e cominciai con loro a conoscere il mio
paese, i nomi delle contrade di campagna, delle cascine: la Bruciata, La
Samarote, il Cornale. Prima non sapevo, che cosa amavo allora? Se vedevo
passare un boscaiolo che andava a Po, dicevo sbrigativamente: va a Po, e invece
va tagliare il bosco di prima o il bosco di seconda o il bosco di terza e i
suoi interessi e pensieri sono diversi nell’un caso e nell’altro.”
(da “A Po
lungo l’alzaia 18”, dal volume “Io. Un’autobiografia” a cura di Paolo Nuzzi
(Einaudi, 2002).
Paul
Strand consegnò a Zavattini 88 fotografie di grande formato, utilizzando una
telecamera Deardorff 8x10, un Graflex 5x7, e, in alcuni casi, per alcune
panoramiche sul mercato Luzzara, un Rectaflex 35mm.
“Il montaggio
di “Un Paese”
assomiglia a un
film, con una
sequenza di ottantotto
fotografie magistralmente selezionate da Strand, e i testi che riportano
le parole nude e crude degli abitanti del
villaggio che raccontano le
loro storie. Zavattini
scrive l'introduzione in
prima persona, ripercorrendo la
genesi del libro e il suo coinvolgimento personale. Due foto che introducono al fiume Po ci conducono
a Luzzara”, così scrive la Pellizzari.
All'epoca
a Luzzara, racconta Zavattini, c'erano 100 analfabeti e 140 automobili. Nel
1952 emigrarono in 205 e contava 209 immigrati. Nei cimiteri ognuno aveva la
sua bella fotografia in porcellana e sembravano, ai suoi occhi, tutti anziani
anche se morivano a 40 o a 50 anni, o a 48, come suo padre che lo aveva sempre
considerato vecchio ma che ora lui era più anziano del proprio padre defunto.
Il connubio tra le fotografie potenti di Strand e le parole essenziali di Zavattini è struggente.
“La Famiglia”. Luzzara, 1953 © Paul Strand Archive / Aperture Foundation |
Alla
storia è passata la foto intitolata “La Famiglia”, che è diventata icona di
tutto questo lavoro – non a caso è anche la foto copertina della versione
tedesca, in mio possesso, di Aperture – Masters of Photography dedicato a Paul
Strand, pubblicato da Konemann nel 1997.
Un'immagine
potente e rigorosa che, come scrive lo
stesso Strand in una lettera a Nancy Newhall, rimane il suo primo grande
ritratto di gruppo e il culmine delle
sue preoccupazioni sociali e formali, dalla forte simmetria, con la madre
anziana al centro e il particolare dei piedi scalzi dei figli.
A parlare è la madre: “Mi sono sposata a 18 anni ho fatto 15 figli di cui 4 sono morti piccoli. Nel '21 mio marito Lusetti venne bastonato poi fu battuto ancora nel 1926, non ho mai saputo il perché di tutto queto, so solamente che è stata la causa della sua morte. Nel '33 per la vigilia di Natale è morto mio marito lasciandomi in miseria con 8 figli maschi e 3 femmine.”
Finanziariamente
il libro fu un fallimento, dovuto agli alti costi di produzione che furono una
richiesta esplicita di Strand: delle mille copie stampate solo poche di esse
furono vendute.
“Nel giugno 1955, subito dopo l’uscita di “Un Paese”, Lusetti inviò una
lettera a Strand, dove descriveva la reazione entusiasta degli abitanti e il
loro accesso al libro presso la biblioteca locale. “Si tratta di un buon
libro per la propaganda comunista,” scrisse, ma “c'è una brutta cosa: il
libro è troppo costoso”. Il costo di
3.000 lire corrispondevano a una bicicletta usata, e uno stipendio annuo
oscillava tra le 30.000 e le 40.000 lire. Se il contenuto è apparso 'comunista'
per l’impianto e la sua attenzione alle classi lavoratrici, il libro non era
finanziariamente accessibile.” (Maria Antonella Pellizzari)
Nonostante il forte impatto il libro non ebbe vita facile, e la foto
“La Famiglia” fu anche scartata nella celebre esibizione “The Family of Man”
del 1955.
Però, come aggiunge la Pellizzari, a proposito della parte scritta da
Zavattini: “Il suo
testo in “Un
Paese” ha permesso
ai problemi e
alle frustrazioni delle persone di emergere. Le giovani donne hanno
espresso il desiderio di non sposarsi ad un agricoltore o contadino, e i
bambini hanno chiesto di andare a scuola, invece di badare alle oche. La
descrizione idilliaca della vita in
campagna, le cooperative dei
lavoratori, e le gioie dell’agricoltura
erano intervallati da commenti sulla disoccupazione, la necessità di industrie
locali, l'odio e la diffidenza che gli abitanti dei villaggi poveri
sperimentavano contro i ricchi, e le paure di morire anonimamente in un ospizio
per anziani.” (Maria Antonella Pellizzari)
Poi
ognuno legge questo libro seguendo il proprio gusto e stato d'animo, fa le
proprie riflessioni.
Di certo
è stato un vanto ed un onore per tutta la popolazione di Luzzara. Nell'ottobre
del 2014, una delegazione del paese è stata ospite del Philadelphia Museum of
Art per la più grande retrospettiva dedicata a Strand che sia stata mai fatta,
che aveva proprio in quelle 88 fotografie il suo cuore, a coronamento di una
collaborazione nata un anno prima tra i curatori della mostra, il giornalista e
fotografo americano David Maialetti e la Fondazione Un Paese.
La
potenza di far riconoscere un intero
popolo, per generazioni e generazioni, in una singola foto che ritrae una
famiglie come tante.
A me
hanno colpito alcune foto-storie più di altre, come è normale.
© Paul Strand Archive / Aperture Foundation |
Comune a
questa c'è la donna anziana seduta sulla sedia che racconta di come lei abbia
iniziato il mestiere di cuoca a 14 anni e sia stata al servizio dei più grandi
signori di Luzzara. “Era come se fossi a casa mia, volevo più bene a loro che ai miei, poi se
dovessi dire come sono andate le cose, non lo so, uno muore, un altro va via da
Luzzara e così da quando ho compiuto gli 80 sono finita al ricovero, dove sono
trattata bene, ma per soprannome mi chiamano la contessa.”
O il
marito che racconta della moglie, di fianco, che ha sempre lavorato la terra
con lui, entrambi di 75 anni e quattro figli.
“Mia
moglie è molto economica, non ha quasi mai usato le scarpe, neanche d'inverno;
avrà consumato nella sua vita quattro paia di scarpe, anche in paese va con le
scarpe in mano. Non è mai stata al cinema, le piace il ballo e ballerebbe
ancora.”
© Paul Strand Archive / Aperture Foundation |
Queste
sono tra le mie preferite, ovviamente secondo la mia sensibilità e gusto
personale. Anche se in assoluto, quella che mi ha completamente rapito e fatto
viaggiare lontano con l'immaginazione è una delle prime immagini.
“Era una
delle ragazze più belle e più buone, mia zia mi ha detto che lei l'ha
incontrata e ha detto: Ciao, Paolina, dove vai? ma la Paolina non ha risposto a
nessuno, mia zia pensava che andava a un appuntamento anche se pioveva. Stavamo
sotto Natale, verso sera, e lei andava a buttarsi nel Po per amore, non l'hanno
più trovata e pare che sia nell'anca della Paolina, che si chiama della Paolina
da allora, ma con dei metri di sabbia sopra perché la sabbia anche in un giorno
arriva e fa un isolotto.”
© Paul Strand Archive / Aperture Foundation |
Questa è
una rara fotografia scattata con una Rolleiflex T dalla moglie di Paul Strand
dalla macchina durante un sopralluogo per quella che diverrà la fotografia della
storia di paolina.
© Hazel Kingsbury Strand, 1953. ©Patrimonio fotografico della Fondazione Un Paese. |
Il
racconto che fa Zavattini della sua terra è veramente struggente, non esiste
termine migliore. Cesella ogni personaggio e scena come piccoli acquarelli, con
il suo talento da sceneggiatore: come le donne che vanno a fare il bucato
cercando i punti del Po dove l’acqua è più chiara e si tirano su la sottana per
non bagnarla, ma tanto si bagna sempre.
Mi ha
ricordato le poesie di Cesare Pavese, i versi raccolti in “Lavorare stanca”,
“Vedo solo colline e mi riempiono il cielo e la terra...”
Ma anche
uno dei miei libri preferiti di Ferdinando Scianna, “Visti&Scritti”, uscito
nel 2014 per la Contrasto, dove – anche lui – dialoga e fa dialogare le sue
fotografie.
Ecco, ho
letto spesso di come le immagini di Strand della gente di Luzzara siano
simboliche. Di come diventino lo specchio di un intero popolo, dell'Italia, se
non delle classi povere e contadine che lui già portava in cuore dall'America.
Allora
penso alla “Donna col bambino” ritratta a Licata da Scianna nel 1967.
Anche in
questa immagine c'è un richiamo alla pittura, come accade per alcuni dei
ritratti di Strand.
Scianna
parte da quella foto associandola alle centinaia di Madonne con Bambino che
hanno nutrito, con la loro iconografia, i nostri occhi fin dal catechismo,
obbligandoci – come fotografi – ad associare a quella immagine l'iconografia
pittorica della Madonna.
“Ma la
fotografia non è la pittura; si coniuga sempre al singolare, non è buona a
produrre simboli.
Io la
vedo così. Anche per me le fotografie si coniugano sempre al singolare. Sono le
singole storie delle persone ritratte.
È
Luzzara, con la sua gente.
Questo
non toglie niente, non è una regressione di valore, da simbolo a semplice
significante. Anzi.
Qui,
secondo me sta tutto il fascino e la potenza di questo libro.
La sua gloria,
come dice Scianna.
La capacità
di Strand di aver mostrato a Zavattini ciò che era da sempre davanti a lui. Perché
ciò che è più difficile da conoscere è proprio ciò che è nei nostri occhi ogni giorno, fino a sparire
proprio perché non ci sorprende più.
Attraversare
miglia e oceani per raggiungere luoghi esotici e lontani è la scorciatoia per
stupirsi ad ogni passo, per meravigliarsi ad ogni angolo.
Altra
cosa è provare stupore per luoghi, volti e colori che ci accompagnano dalla
nostra nascita.
Zavattini
ha conosciuto il suo paese grazie alle fotografie di Strand; tutto ciò che ha
vissuto prima lo ha chiamato ante-Strand.
Quei
volti di anziani, di bambini, di contadini si sono rivelati per la prima volta
allo scrittore, proprio come una epifania, direbbero i critici
letterari.
Non come simboli ma per sé stessi, per ciò che erano, e a cui lui ha dato la voce a completamento dell'epifania poiché è proprio la voce che manca alla fotografia.
La
tentazione di ergersi a simbolo è sempre forte, fa parte della vanità e
dell'aspirazione umana.
Il
fascino di “Un paese”, a mio parere, è invece il suo invito ad amare le cose
così come sono, ad essere vicini e conoscere ciò che è ormai banale
quotidianità. Ad ascoltare quelle voci che un giorno andranno perse e nessuno
ricorderà più.
Ad essere
quell'albero che rende l'altro albero non solitario.
Con l'amaro rimpianto di non sapere mai come era il volto di Paolina.
Ringrazio
Simone Terzi, della Fondazione Un Paese che gestisce il patrimonio culturale
del Comune di Luzzara, per i documenti e le informazioni legate alla genesi del
libro.
Per saperne di più: http://www.fondazioneunpaese.org/
L'articolo, citato, di Maria Antonella Pellizzari: “Un Paese (1955) et le défi de la culture de masse”, uscito nel dicembre 2012 su “études photographiques n. 30”
https://iphf.org/inductees/paul-strand/
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