Fotografo sconosciuto. “Walter Miller Shooting from Woolworth Building”. New York, 1912-13 |
L'altra sera, a cena in un ristorante, parlando di cani con un mio caro
amico mi raccontò di come scoprì Erik Satie grazie ad una coincidenza: molti
anni addietro incontrò una sua amica che aveva un cane, lui chiese il nome del
cane e lei rispose “Satie”, allora il mio amico si stupì dello strano nome e
lei gli rispose che era un famoso compositore. Da quel momento Satie divenne
uno dei suoi musicisti preferiti – e miei, dato che il mio amico abita sopra la
mia stanza, è più grande di me e fu colui che mi iniziò alla musica e ai libri.
Di queste, che chiamiamo coincidenze, è piena la vita di ognuno di noi.
Piccole o grandi che siano.
Se io non avessi scelto di seguire Songa, la prima volta che visitai la
sua scuola nello slum di Plumpang a Giacarta, non avrei mai visto la sua casa
in legno pericolante e non sarei mai riuscito a costringere il governatore
della città a rinnovarla con una casa solida in mattoni.
Lo stesso, fu una coincidenza la volta in cui fui ospite
dell'Università USM a Penang, nel mio mese in Malesia, che ci fosse proprio la
cerimonia della casa editrice davanti al Rettore e a tutto lo stato generale
dei decani dell'università: mi diedero 15 minuti per parlare del potere
letterario della fotografia e l'anno successivo vissi e lavorai per due anni in
quella stessa università.
Si potrebbe andare avanti a lungo ed ognuno di noi può stilare la
propria lista.
Io, sinceramente non ho mai creduto alle coincidenze.
Troppo spesso noi facciamo coincidere coincidenza e caso, ma non
sono la stessa cosa, tanto che dobbiamo aggiungere – spesso – le coincidenze
del caso.
Etimologicamente coincidenza è un co – incidere, ovvero un
avvenimento insieme, un accadimento nello stesso istante, ma non si fa nessun
riferimento alla casualità; anzi, sono chiamati coincidenze i treni o altri
mezzi di trasporto che attendono l'arrivo di altri per portare verso un altro
luogo.
C'è più esattezza che casualità in questo termine.
Più che l'incontro fortuito di due accadimenti a me piace citare sempre
un proverbio cinese che, su per giù, dice che le coincidenze sono come isole
del mare: in superficie separate ma un tutt'uno nel fondo dell'oceano.
Come sempre ce tutta a saggezza cinese in queste poche parole, ma che
rende bene quel senso di profonda connessione che è difficile vedere sulla
superficie delle cose.
A me questo proverbio ha sempre ispirato e lo condivido completamente.
Non ci leggo nessun disegno divino superiore, ma più una legge terrena
che regola le nostre esistenze, che ama mascherare le sue trame come il famoso
Velo di Maya. Questo ci porta a chiamare casualità ciò che è una coincidenza.
Ci fa confondere i termini.
Pensando alla Fotografia, credo che valga lo stesso discorso.
Le fotografie di Street, o i ritratti fatti a gente incontrata per
caso, sembrano sempre delle coincidenze.
Ma come disse un famoso fotografo: non è il fotografo che cerca la foto
ma la foto che trova il fotografo.
Oppure Ansel Adams, in modo più mistico: “Delle volte arrivo in certi
luoghi proprio quando Dio li ha resi pronti affinché qualcuno scatti una foto.”
Forse con quel “pensiero magico” che spesso mi caratterizza, penso che
certe fotografie siano delle belle coincidenze – anzi, siano sempre delle
coincidenze.
Sono la compresenza di due avvenimenti, l'incontro esatto di due treni
che vanno verso direzioni opposte.
Poi aggiungiamoci la casualità, la fortuna e tutto gli ingredienti che rendono
la ricetta più deliziosa, ma alla fine rimane quell'attimo che sembra esserci
stato prima che accadesse, e di cui diventiamo solamente testimoni con la
nostra lente e l'indice della mano.
Ancora una volta la Fotografia ci racconta delle nostre esistenze.
E lo fa nel suo modo leggero.
Di tutte quelle isole che amiamo collezionare, come attimi separati nel
tempo ma che sono un'unica trama nel fondo dei nostri oceani.
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