Sui corsi di lingua italiana agli stranieri



“Chi regala le ore agli altri
vive in eterno.”
(Alda Merini)

Casetta Rossa. Ottobre 2022

A giugno sarà un anno che insegno lingua italiana agli stranieri.

Il tempo è volato. Tutto è iniziato per caso e ormai insegno mattina e pomeriggio in due luoghi diversi di Roma, sempre alle persone del Bangladesh.

Molti amici mi hanno chiesto di questa esperienza, e c'è curiosità anche in chi vive in paesi lontani dell'Asia, perché – mi dicono – questa attività non c'è ad esempio in Malesia, che è poi una nazione ad alto tasso d'immigrazione, soprattutto lavorativa, e la mia scuola è vista con molta invidia.

Perciò credo valga la pena scriverci sopra due parole.

 

Tutto è cominciato alla scuola di Italiano a Casetta Rossa, a Garbatellla.

Una fortuita coincidenza ha voluto che, ad una mia presentazione sul Bangladesh in una Biblioteca, c'erano tra il pubblico degli insegnanti di questa scuola, tra cui la cara Maria Vittoria, che è il volto e il cuore dietro questa scuola. In un secondo evento, sempre con delle mie fotografie raccontate dal mio viaggio in Bangladesh, ho conoscuto altri insegnanti della stessa scuola e, alla fine, parlando mi hanno chiesto di passare a trovarli anche per fare magari insieme dei progetti fotografici.



Era la fine di giugno quando entrai per la prima volta tra i tavoli in legno del ristorante dove si tengono le lezioni “destrutturate” di gruppi di insegnanti e studenti di diverse nazionalità ed età. La magior parte sono del Bangladesh.

Io mi sedetti a fianco di una giovane mamma bangladese mentre era in corso una lezione, provai ad aiutarla e da allora ci sono andato ogni settimana. All'inizio erano solo due giorni a settimana, anche perché non è proprio vicino a casa mia – 40 minuti di metropolitana.

Ma la mia classe si era formata, tutte giovani mamme bangladesi che venivano (e vengono) a scuola con i loro bimbi piccoli nei passeggini, e mi pregarono di venire tutti i giorni, perché due non erano abbastanza e volevano fare lezione solo con me. Così da due giorni sono arrivato a quattro e devo dire che, nonostante alcuni abbandoni, il nucleo della mia classe è rimasto sempre lo stesso. Ci siamo chiamati “Amar Shundor Class”, che in lingua Bangla vuol dire “La Mia Bella Classe”.

 


Casetta Rossa. 2022\2023


Non contento di questo impegno che occupa molte delle mie mattine, ho iniziato ad insegnare anche vicino casa mia, due pomeriggi a settimana, sempre in una classe di primo livello di bangladesi. Anche qui c'è una giovane mamma con il figlio piccolissimo.

Lo stesso per loro: un solo giorno non era sufficiente e, dopo molte insistenze, ho ceduto a venire due volte a settimana.

La fatica mentale è doppia ma come è doppia anche la soddisfazione.

 

Casal De'Pazzi. Marzo 2023

Al di là delle amicizie che nascono tra gli insegnanti, credo che la gioia più grande sia proprio nel legame tra insegnante e studente.

Non mi mancano di certo amicizie bangladesi, dato che sono 14 anni ormai che convivo con loro per il mio lavoro; ma queste amicizie hanno un sapore diverso. Sopratutto perché so bene quanto sia importante l'apprendimento della lingua italiana per loro.

Non a caso, quando mi chiedono durante le lezioni o gli interventi nelle biblioteche o nelle scuole, quale sia stato il fattore di maggior cambiamento nella comunità bangladese in tutto questo decennio cito sempre le scuole di lingua italiana.

Secondo me non c'è un altro fenomeno, se non forse l'esplosione dei social  media e degli smartphone, che ha mutato radicalmente la mentalità di questa comunità quanto i corsi di italiano. È stata proprio una trasformazione ontologica. Da dentro.



Riporto le parole della cara amica Sara Rossetti, con cui condivido da molti anni l'amore per la cultura bangladese, l'insegnamento e i libri, che in “Kotha. Donne bangladesi nella Roma che cambia” (EDIESSE), il libro scritto con Katiuscia Carnà nel 2018, ha scritto a proprosito dell'insegnamento della lingua italiana alle donne del Bangladesh:

“Soddisfare chi studia non vuol dire assecondarla e dare adito ad accuse di esagerato assistenzialismo, ma vuol dire permetterle di seguire un corso efficace. Avere uno spazio per i bambini e quindi consentre alle madri di prender parte alle lezioni, scegliere orari che rispettino gli impegni delle partecipanti... […] Non ghettizzare, non assistere aprioristicamente, ma tutelare, accompagnare e includere.” (pag. 164)

 

Casetta Rossa. Ottobre 20, 2022



Insegnare loro la lingua italiana significa munirle di un'arma invisibile e potente: L'indipendenza. La fiducia in se stesse. La cultura.

Io che ho vissuto sulla mia pelle l'incontro di altre culture e paesi lontani ho sempre creduto che lo studio della loro lingua fosse la porta principale d'accesso alla comprensione. E molte delle sfaccettature delle diverse culture le ho capite proprio dalle terminologie della lingua madre.

Se, come si diceva nelle teorie femministe degli anni Novanta, il controllo della società passa attraverso il controllo del corpo, prima di tutto quello della donna, sono fermamente convinto che il controllo che si attua all'interno delle stesse comunità migranti avviene attraverso il controllo del linguaggio. Se io non ti consento di imparare la lingua del paese che ci ospita allora non sarai mai in grado di muoverti liberamente, sarai sempre legata a me, totalmente dipendente.

E così era quando ho inziato a lavorare con la comunità bangladese nel 2009. Allora non c'erano così tanti corsi gratuiti di italiano e le famiglie che viveno qui erano composte da uomini che parlavano un italiano stentato, appreso per lo più sul luogo di lavoro, e donne che anche in molti anni non sapevano pronunciare una singola parola.

Relegate in casa o in una cerchia ristretta di sole amicizie bangladesi.

Era veramente difficile. Soprattutto la comunicazione.

A Torpignattara il grande del lavoro lo ha fatto l'Associazione ASINITAS ONLUS della Scuola Pisacane.

Poi sono aumentati i corsi gratutiti, nelle Biblioteche di Roma, nei circoli associativi, nelle scuole, nelle chiese, con il lavoro importante svolto dalla Rete Scuole Migranti a Roma.

E la qualità della loro vita è notevolemente migliorata.



Anche gli uomini, i mariti, hanno inziato a capire che una moglie che conosce l'italiano non è solo una minaccia per il loro matrimonio ma è anche una garanzia di autosufficienza dal dottore, dal pediatra, dalla ginecologa, a scuola, nei colloqui con gli insegnanti.

È anche una forma di resistenza al razzismo, alle intolleranze, perché non puoi chiedere alle persone di cambiare la loro religione o i loro abiti, ma è necessario comunicare nella stessa lingua.

L'integrazione passa principalmente attraverso l'uso della lingua.


Dicevo prima che i rapporti che si creano in classe sono più di semplici amicizie.

Cito ancora le parole di Sara Rossetti nello stesso libro che esprimono bene questa sensazione:

“Come per gli insegnanti, anche per le studentesse, quello che si respira nelle classi d'italiano rimane impresso a lungo, entra in un bagaglio personale di lunghissima durata. La scuola, per chi riesce a frequentarla, resta un ricordo e un momento intenso di scambio con compagne e insegnanti che, nell'epopea del racconto migratorio personale di ognuna, assume spesso un ruolo di primo piano, un elemento tra il romantico e il concreto, che non manca quasi mai nelle narrazioni.” (“Kotha”, pag. 165)

 

Infatti, spesso queste piccole classi sono come dello micro famiglie, con gli insegnanti che spesso sono pensionati, ex insegnanti delle scuole, tirocinanti, comunque tutte e tutti volontari che lo fanno per passione, per passare il tempo o come dovere morale verso chi viene a vivere nelle nostre città. E quello che si ha in cambio è a volte più di un semplice rapporto alunno-insegnante.

Come mi raccontava qualche giorno fa una delle mie amiche insegnanti, le sue alunne del Bangladesh spesso le portano dei doni, da vestiti al pranzo cucinato per lei. Anche le mie studentesse mi regalano del cioccolato e cucinano dolci per me. Chi parte per il proprio paese torna con dei piccoli souvenir, e se qualcuno di loro celebra il compleanno capita di festeggiarlo tutti insieme a scuola.

Perciò quello che leggi nei loro occhi non è solo rispetto, amiciza, ma riconoscenza. Che è poi la principale spinta emotiva che mi porta a venire ogni giorno, a non arrabbiarmi troppo se non capiscono, ad avere pazienza se non vengono a lezione senza avvisare.

Perchè loro lo sanno quanto è importante imparare, studiare. E lo fanno anche quando piove, l'inverno che fa freddo, durante il digiuno del Ramadan.

 

Casetta Rossa. Ottobre 2022


Ognuna di queste classi, piccola o grande che sia, strutturata o destrutturata, a base volontaria o a pagamento, è un avamposto dell'autostima e dell'indipendenza di ognuno dei studenti e delle studentesse. Dovrebbero essercene ad ogni angolo delle nostre città, e tenute a maggior conto dalle istituzioni governative, perché quando la richiesta d'iscrizione è così alta vuol dire che la loro esigenza di integrazione è molto più forte di quanto si pensi in modo generico.

 

Ultima cosa. Non poco importante.

Non sono solo le allieve e gli allievi ad imparare.

È sempre un cerchio. Noi diamo e riceviamo.

Come ho già scritto in un altro articolo, in-segnare vuol dire lasciare un segno, ed è sempre un segno reciproco.

 

Casetta Rossa. Ottobre, 2022

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