Piccola Storia Birmana – Prima Parte


(c) Ishu Patel. Yangon, Myanmar
(c) Ishu Patel. Yangon, Myanmar

La pioggia non cessava di cadere ormai da settimane su Yangon.

Le nubi nere sembravano avvolgere le cime delle pagode d'oro.

Il periodo di Moe Yarthi, da giugno a settembre era ogni anno così, cupo e piovoso.

Daisy Kyawwin trascorreva le ore, nel suo negozio di abiti per monaci, sul ciglio della strada ad osservare la pioggia che sgranava i contorni dei palazzi e delle macchine.

Ormai si era adeguata allo scorrere lento dei giorni. Anche se non c'erano più le sommosse dei primi giorni della rivoluzione, ancora si vedeva la gente occupare le strade fino a che l'esercito non arrivava a disperdere la folla.

Una volta era un gruppo sparuto di manifestanti con i cartelli inneggianti a Aung San Suu kyi, altre era una folla immensa che occupava tutta la larga strada.

 


 

Quando le cose si mettevano male Daisy abbassava il pannello in legno davanti alla finestra del negozio, fino a quando non cessavano i tumulti.

Adesso c'era solo la pioggia e qualche monaco che camminava sul marciapiede.

La radiolina a transistor appesa ad uno spago dondolava alla sinistra dei capelli neri raccolti di Daisy, mandando vecchie canzoni.

Era stanca di ascoltare il notiziario.

Sempre gli stessi proclami aggressivi dell'esercito che intimava la popolazione a cessare le proteste, minacciando di tagliare la connessione internet.

E così accadeva, come per la corrente elettrica.

Perciò lei preferiva quella vecchio radio appartenuta a suo padre, per passare il tempo, con il gomito sulle confezioni in plastica dei sanghati, le vesti dei monaci, davanti a lei.

Ogni tanto un monaco le compariva davanti, sorridente, con le vesti arancio inumidite dalla pioggia, “Questi sono gli ultimi arrivati, saya”, gli diceva Daisy con rispetto e il suo mezzo sorriso dolce.

Non aveva molto da fare, il tempo era denso nel suo volgere verso il tramonto.

Daisy amava guardare le sue unghie dei piedi dipinte dello stesso colore del longyi, il tessuto tradizionale indossato per coprire le gambe dalle donne e gli uomini in Myanmar. Era l'unico suo vezzo: ogni mattina sceglieva il colore dello smalto abbinato a quello del tessuto.

Alle quattro in punto guardava verso il marciapiede dove un bell'uomo tornava a casa dal lavoro, sempre allo stesso orario.

Lei lo osservava con il mento sulla mano, con la sua camminata veloce e il volto gentile, elegante. Da sinistra a destra e spariva oltre i bordi della finestra del negozio; come un pappagallo.

Tornava allora ad ascoltare le canzoni della radio e a scrivere l'inventario sul grande quaderno in pelle nera sulla sua tavola.

 


Spesso sua figlia Cherry Oo l'andava a prendere al negozio per tornare a casa insieme.

Erano solo 7 miglia su Gabaye Pagoda Road, dove si fermavano nella Shwedagon Pagoda a pregare prima di arrivare.

 





Gli piaceva camminare abbracciate sotto un solo ombrello e Daisy le pizzicava sempre i fianchi, rimproverando di mangiare troppo poco, allora la giovane figlia le pizzicava anche il fianco, “...e tu mangi troppo!”

Ridevano fino al portone di casa, dove vivevano con la madre anziana e un cane. Suo marito era andato via un paio di anni fa, lei non ne sentiva la mancanza.

Cherry Oo amava prepara alla madre il lethoke, il piatto di riso, peperoncino, gamberetti secchi e cipolle preferito da Daisy. Tutte e tre le donne mangiavano guardando la televisione.

Poi Daisy andava a fare il bagno mentre la figlia preparava la thanaka, che entrambe avrebbero applicato sul volto e il corpo dopo il bagno.

Si osservava a lungo nuda allo specchio del bagno, con un misto di malinconia e tenerezza.

Era sempre stata orgogliosa del colore bianco della sua pelle, come seta.

Adesso le pelle non era più morbida e nelle braccia sopra il gomito iniziava a farsi molle.

La pioggia batteva incessante sul vetro della finestra del bagno.

Sua figlia entrò con la ciotola in legno di thanaka. Sedute una davanti all'altra si spalmavano le guance e il corpo del pigmento color crema, come un rito femminile che attraversava i secoli.

 

Corteccia per fare la thanaka 
 

Mise a dormire la madre anziana, dopo averle massaggiato i piedi, poi si distese sul divano, stanca, mentre sua figlia era seduta sul pavimento con le spalle al divano.

La televisione mostrava gli scontri avvenuti a Mandalay, Minbu, Mawlamyine e in alcune zone di Yangon. L'esercito aveva disperso i manifestanti con violenza. Molti furono arrestati, anche donne e monaci, con il volto insanguinato.

Circolavano anche avvisi dall'Ambasciata Americana a Yangon, sui telefoni della popolazione, che assicuravano dei rapporti sulla violenza dell'esercito con vittime tra i civili.

La situazione non migliorava.

Daisy prese il telecomando e cambiò canale.

“May May, perché? Volevo sentire!” La guardò con il volto imbronciato dal basso Cherry Oo. “Sempre le stesse cose!” Sbottò con un sorriso dolce Daisy, mentre le arruffava i capelli con la mano sinistra, rendendola ancora più imbronciata. Adorava quando la chiamava May May, il modo dolce di chiamare madre in birmano.

Ormai la giornata era terminata.

“Vado a dormire”, le disse mentre sua figlia, agile come un gatto, si era già impadronita del divano e del telecomando. “Si, si, tra poco arrivo”, le rispose Cherry Oo.

Prima di chiudere le tende guardò fuori dalla finestra. Le luci colorate della città sembravano imprigionate dentro le gocce di pioggia, lei seguiva con la punta dell'indice premuto sulla finestra la scia scolorata che colava zigzagando verso il basso, nell'oscurità.

Respirò profondamente e andò a fare le sue preghiere della sera, tra i fumi dell'incenso. Si sdraiò sul letto, al lato sinistro, guardò il cuscino vuoto a destra, dove aveva dormito per anni suo marito, e adesso ci dormiva sua figlia. Prima di chiudere gli occhi alzò il volto e vide le punta delle dita dei piedi, pensando a che colore avrebbe scelto domani mattina.

Questo la fece dormire con un sorriso sulle labbra.

Da fuori arrivavano i suoni ovattati della pioggia e del traffico.

In qualche parte della città l'esercito occupava le strade, mentre la punta delle pagode dorate si innalzavano sulla notte della città.

 

(c)Ishu Patel. Shwedagon Pagoda. Yangon, Myanmar
(c)Ishu Patel. Shwedagon Pagoda. Yangon, Myanmar

TO BE CONTINUED...


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