Orang Asli

 "La tradizione non è l'adorazione delle ceneri, ma la conservazione del fuoco." (Gustav Mahler)

     

I due giorni a Johor, nel fine settimana, sono stati per me tra i più belli di un anno in Malesia. Io lo sapevo che dovevo visitare il kampung degli Orang Asli, ma non è stato facile, per un anno. Io ho letto tanto su di loro, la loro storia e come vivono, ma vedere con i propri occhi non ha eguali. 

Dopo un lungo tragitto in macchina tra strade in mezzo alla vegetazione abbiamo raggiunto il Kampung Salam Rakit, nell'area Ulu Tiram, un piccolo villaggio di pescatori con poche case tra un grande fiume immenso e bianco, immobile, ed un lago splendido dal blu accecante.

Uno è bravo a leggere ma poi fa errori stupidi; appena sceso dalla macchina io ho iniziato a fotografare e salutare le persone con “Assalamualaykum” facendo subito arrabbiare un uomo dei loro, e le sue figlie, che mi hanno subito sgridato dicendo “Noi non siamo musulmani!”; ecco, bravo idiota, e ne ho letti di libri e articoli su di loro. Tu sei venuto per “kacau orang” (disturbare le persone). Allora bisogna respirare, smettere di fare le foto, guardare. Camminare lungo le rive fangose del fiume bianco immobile, respirare, vedere, respirare.

Andare a parlare con Shima che pulisce il pavimento del patio fuori casa perché la sera prima ha piovuto e si è allagata la casa. “Che devi fare con queste foto? Noi siamo orang asli”, come a dire: noi siamo i reietti, i freaks della Malesia.

No, Shima. Io penso che voi siete i primi e gli originali abitanti della Malesia, che questa terra è la vostra, e che voi meritate di essere rispettati e felici come tutti gli altri; forse di più, perché voi siete le origini della Malesia. E io non sento nessuna distanza tra me e voi, e lei mi fa una smorfia buffa, e  inizia a farsi fotografare.

Poi mi portano a conoscere Mak Mih, 120 anni, la più anziana abitante, nata prima ancora dell'arrivo dei giapponesi, e mi fanno vedere una foto di lei a 10 anni. Poi gli uomini iniziano a raccontare, sono arrabbiati, gli hanno preso le terre, li costringono a vivere in questo posto sperduto e senza acqua potabile, i bambini per andare a scuola devono prendere la barca ogni mattina, e spesso i maestri non ci sono. Quando il fiume è secco e fangoso loro non possono andare a pescare.

Mi ricordano per alcuni versi i Rohingya, con un'identità in bilico, senza diritti.

Poi io esco e vado verso il lago, e finalmente io vedo quello che stavo cercando da un anno qui: le donne che si lavano nel lago, giocano con i figli piccoli, nuotano. E io guardo il lago, grande, bellissimo, dai riflessi blu e verdi. Ci giro intorno, con i bambini che ormai si sono abitutai a me, specialmente la piccola Johana.

Sembra di essere in Paradiso, e io invidio i bambini che si tuffano e nuotano, senza pensieri, selvaggi e liberi. Loro hanno questo, hanno la bellezza della natura, ma gli hanno rubato i diritti. Dovrebbero essere l'oroglio della tradizione, le radici della Malesia, ma sono emarginati e arrabbiati.

Io vorrei spogliarmi e nuotare con i bambini, ma preferisco fare quello che so fare meglio, spogliare i miei abiti e nuotare con gli occhi.

E sentirmi più vicino a loro di quanto possano mai immaginare.

Io racconto solo quello che vedo, e nel mio cuore loro ci saranno sempre.

Shima, Mak Mih, la piccola Johana... Per me siete la Malesia, e voi me la fate amare profondamente.


Kampung Salam Rakit, Ulu Tiram,  Johor, Malaysia, 26 May 2019


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