Non si tratta di colore o composizione, ma di vita e condivisione.”
(Steve McCurry)
Steve McCurry. “Venditore di fiori”. Lago Dal, Srinagar, Kashmir, 1996 |
La terza scelta non può che cadere su Steve McCurry.
È innegabile che per me, come per molti come me credo, le sue immagini
siano state la porta aperta al mondo e al fascino della Fotografia.
Lo so che è fin troppo facile come scelta e – ad essere sinceri – so
che il suo nome a volte getta un'ombra lunga sul valore effettivo del suo
percorso.
A volte bisogna essere spietati anche con i propri miti, e non provo
imbarazzo nel confessare che le sue ultime fotografie non mi fanno impazzire,
principalmente quelle scattate in Italia; alcune di esse, privandole della sua
firma, le trovo banali e senza forza. Che poi, negli ultimi anni, si sia messo
a realizzare calendari e vada in giro con un team di persone che gli prepara i
set non mi stupisce. L'ho incontrato a Roma, nel 2016, mentre autografava la
sua ultima biografia; la sua mano destra tremava e non riusciva a muoverla.
Con McCurry. Roma – 22 Giugno 2016 |
Tolto questo, continuo a ritenere che le sue prima fotografie in Afghanistan e India siano dei capolavori. Così come i suoi ritratti.
Si sarà anche addomesticato adesso e sopravvive grazie alla sua
legenda, ma non si è certo tirato indietro negli anni migliori.
La sua biografia sembra un viaggio picaresco, tra camuffamenti in shalwar kamiz per valicare in confini afghani, pallottole, quasi morto affogato quando un aereo che lo trasportava cadde in un lago in Jugoslavia, è stato assalito dalle sanguisughe in India. Si potrebbe continuare a lungo – è sufficiente leggere la sua biografia.
“Sono nato negli Stati Uniti, a Filadelfia,
nel 1950, vivevo nei sobborghi della città, che potevo sognare di essere?”
E così divenne il fotografo icona del National Geographic, grazie al
suo impegno, alla tenacia e ad alcuni scatti passati alla storia che non serve
ricordare.
Steve McCurry è meticoloso, studia a lungo i luoghi in cui va, si documenta prima, si muove con gente del posto, si apposta per giorni per studiare le variazioni della luce e cosa accade, per ottenere la foto che ha in mente.
“È necessario molto tempo per sviluppare una
propria visione e avere un proprio stile, non bastano settimane o mesi ma
servono anni.
Ci vogliono pratica, disciplina e
perfezionamento per riuscire: le foto sono una cosa così immediata e scattare è
un gesto così veloce che la gente pensa che si possano fare in fretta.
È qui che sbagliano: se vuoi essere un
fotografo devi guardare molto e provare molto. Io ho guardato tantissimo
soprattutto Henri Cartier-Bresson, nessun altro è arrivato così vicino
all'eleganza, alla completezza e alla perfezione.”
““Donne durante una tempesta di sabbia”. Rajasthan, India, 1983 |
Nel bel libro “Ad occhi aperti”, Mario Calabresi gli chiede di scegliere quale sia la sua foto preferita e McCurry sceglie questa scattata in Rajasthan, nel 1983, durante una tempesta di sabbia.
La mia preferita, se possibile sceglierne una, è sempre in India: il
venditore di fiori nel Kashmir.
Anche per questa foto, McCurry, non si limita ad un singolo scatto, ma
accompagna l'uomo in barca al mercato di fiori per diversi giorni, in piedi
alle sue spalle.
Atteggiamento simile in un'altra celebre foto, sempre a Srinagar nel
Kashmir, stesso anno della foto da me scelta; ma in quella immagine c'è lo
sguardo dolce di una bambina alle spalle, forse, del padre.
“Bambina con il padre a bordo di una Shikara”. Srinagar, Kashmir, India, 1996 |
In questa foto, invece, lui è solo. Sono le 8 di mattina. McCurry ha
anche una disciplina negli orari in cui fotografare: sempre dalla mattina
all'alba fino alle 10, 11 e poi nelle ore precedenti al tramonto fino alla
sera, mai nelle ore di picco del sole.
Sente che questa volta è la foto perfetta, per i cerchi dell'acqua e
per come il corpo del venditore sia magicamente incorniciato dai riflessi
sull'acqua.
Io ho amato le foto di McCurry, fin dall'inizio, per la potenza dei
suoi colori.
Questa foto non mi stanca mai, proprio per l'armonia dei colori
contrastanti dei fiori rossi e dell'acqua verde-blu.
Quell'acqua poi mi ricorda i quadri impressionisti, la tavolozza delle
ninfee di Monet, per grana e sfumature.
Infine, per la posizione del fotografo americano, che ci porta ad
essere là con lui, alle spalle dell'uomo, e sembra di sentire il frangersi del
remo nell'acqua, il canto degli uccelli tra gli alberi.
Del resto, è grazie alle sue immagini che ho iniziato ad appassionarmi
alla fotografia. E lo ringrazio per sempre.
Oman, 2014 |
“Solo se sei disposto a correre il rischio,
solo se sei completamente convinto, allora sei pronto. Le belle foto sono in
quell'acqua sporca, non puoi proteggerti, stare ai margini, un po' fuori e un
po' dentro: se la gente è sommersa fino al collo devi essere dentro con loro,
non c'è separazione, non puoi stare sulla sponda a guardare ma devi diventare parte
della storia e abbracciarla fino in fondo.”
(Steve McCurry)
Steve McCurry: “Ritratti” (Phaidon, 2003)
Steve McCurry: “Sud Est” (Phaidon, 2004)
Steve McCurry: “Looking East” (Phaidon, 2006)
Steve McCurry: “India” (Electa, 2014)
Steve McCurry: “From these hands: A journey along the coffee trail” (Phaidon, 2015)
Steve McCurry: “Sensational Umbria” (Umbria – SuEst57, 2014)
“Steve McCurry” (National Geographic, 2010)
Gianni Riotta: “Il mondo di Steve McCurry” (Mondadori, 2016)
Mario Calabresi: “Ad occhi aperti” (Contrasto, 2013)
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