Bogor, La Storia di un Fiore: “My Indonesia” Photo Series (7)

“Distogli l'attenzione dalla spina
e rivolgila ai fiori del giardino,
e dimentica gli scorpioni
quando guardi le stelle”
(Iliya Dahir Abu Madi)

 

Kampung Lebak Soto. Bogor, 27 Agosto 2014


Questa volta voglio raccontarvi di una fotografia, scattata sì in un kampung ma di quelli urbani, nella città di Bogor, vicino Giacarta.

Niente verde, risaie e vita rurale questa volta; ma la storia di una foto che amo particolarmente, e di cui ho accennato anche nel mio libro “Sweet Light” a proposito del “Lato Oscuro”.

In quel capitolo la protagonista era una bambina indiana di una meravigliosa fotografia di Ferdinando Scianna, scattata a Benares nel 1997. In quelle righe provavo ad esprimere il potere guaritore che hanno i bambini su di me, tanto da intitolare a loro le mie mostre fotografiche e capitoli dei miei libri.

In quelle righe accennavo alla bambina di Bogor, per alcune similitudini con quella di Scianna, tra cui la più importante era quella del contrasto tra la bellezza della bambina e in contesto povero e sporco: come un fiore che sboccia nella spazzatura.

Bene, questa foto ha una sua storia, e voglio raccontarla a voi.

 

Ferdinando Scianna“Benares” Uttar Pradesh, India, 1997


 
Spesso mi capitava in Indonesia di fare delle uscite fotografiche con i miei amici, per kampung e città. Quel mese andammo a Bogor, e fotografando per i vicoletti del quartiere entrai in questa piccola strada dove giocavano alcuni bambini di fronte una casa.

Quello che mi colpì fu che era una casa di donne, di ogni età, da appena nate fino alla donna anziana e sorda. Poi le figlie grandi e le loro figlie piccole, tutte sedute nel patio della casa, tra murre e colonne scrostate e cumuli di spazzatura per la via, con i bambini che giocavano in pigiama come è normale in Indonesia.

 

Kampung Lebak Soto. Bogor, 2 Agosto 2014


Io scattai molte fotografie quel giorno, ed una di queste fece parte di una mostra fotografica con workshop ad agosto dello stesso anno, a Giacarta, chiamata: “Capture the Beauty – Spread the Love”.

Era il ritratto di una di quelle bambine, con una espressione che sembrava vagare tra timidezza, arrabbiatura, malinconia e quel tocco di selvaggio che assorbiva l'atmosfera del luogo.

Sta di fatto che, conclusa l'esibizione, i curatori della mostra mi offrirono l'opportunità di prendere con me una sola delle foto esposte, ed io scelsi quella.

In realtà, dal primo momento che mi fu chiesto quale fotografia volessi io non ho avuto il minimo dubbio, perché vedendo quella bambina incorniciata pensai subito di donarla alla madre.

 


Kampung Lebak Soto. Bogor, 2 Agosto 2014

Le fotografie sono un dono. E il dono è un fatto molto importante.

Chiunque abbia studiato antropologia sa che uno dei testi fondamentali è quello di Marcel Mauss del 1923, in cui – comparando alcune ricerche etnografiche – afferma che lo scambio di beni è uno dei modi più comuni e universali per creare relazioni umane.

Quando noi fotografiamo qualcuno portiamo con noi la sua identità perciò a volte dobbiamo restituire in qualche modo, per riequilibrare il tutto.

 

Perciò tre settimane dopo quel primo incontro io tornai con alcuni amici fotografi e curatori della mia mostra per regalare quel quadro alla madre.

Fu in quella circostanza che accadde un evento che racconto spesso durante i miei workshop, che ha a che fare con il potere della fotografia.

Infatti, quel momento fu molto toccante per me, la madre era incredula e così felice per il regalo, ed io parlavo con le donne e intanto scattavo altre foto.

La bambina del ritratto incorniciato era avvinghiata alla gamba della madre che non smetteva di guardare la fotografia. Poi io ho salutato e andai via con i miei amici, ma accorgendomi che lei era ancora immobile con la cornice in mano mi fermai a spiare da dietro l'angolo della strada.

Vidi allora arrivare alcune donne che abitavano nella stessa via, magari intimidite prima dalla nostra presenza. La madre mostrò orgogliosa a loro quella fotografia e queste donne iniziarono ad accarezzare l'immagine, tutte come incantate, con la bambina in carne ed ossa sotto di loro, tra le gambe della mamma.

 

Kampung Lebak Soto. Bogor, 27 Agosto 2014


Qualche anno dopo comprai un libro splendido, “Lo specchio vuoto”, proprio di Ferdinando Scianna, lo stesso della foto della bambina di Benares, quasi a chiudere un cerchio.

In quel libro per spiegare la nostra relazione con la fotografia e più ancora con l'immagine in rapporto alla nostra identità, Scianna cita una storiella raccontata da McLuhan in “Understanding media: the extension of man” (1964):

Un'amica incontra una signora che ha un bellissimo bambino nella carrozzina, le si avvicina e le dice: “Oh, che bel bambino hai!”. E la mamma risponde con orgogli: “E questo è niente: non l'hai visto in fotografia!”

Può sembrare una barzelletta, ma la dice lunga sul completo rovesciamento della nostra relazione con l'immagine, che oggi viviamo. Non più immagini del mondo, immagini di noi stessi, ma immagini al posto del mondo, immagini al posto di noi stessi.

Io cito quasi sempre questa storia perché fu esattamente quello che vidi quel giorno: la bambina reale completamente ignorata per la sua copia in fotografia. La madre e le sue amiche accarezzavano, quasi con venerazione, il volto della bambina che intanto le guardava dal basso. E tutto questo semplicemente perché quel viso era stampato e messo in una cornice, si era trasformato in qualcosa di speciale. Al di fuori di quella casa dal muro scrostato e dalla spazzatura ai bordi della strada scura e angusta.

L'arte aveva redento le loro semplici vite, nelle loro menti.

 

Kampung Lebak Soto. Bogor, 27 Agosto 2014

 

E proprio sui gradini di quella stessa via era seduta lei, una delle figlie di quella famiglia di tutte donne, intenta a giocare con il berretto arancione, sempre seria, senza sorridere mai. Però capace di irradiare una luce particolare, da dentro, forse proprio per il contrasto di tonalità a superfici tra la sua pelle, il pigiama bianco e l'oscurità del degrado e della sporcizia della strada.

Come la bambina indiana di Scianna, in piedi, orgogliosa e ritta, con gli occhi puntati su di noi, a ricordarci il potere magico che solo i bambini hanno.

 



Kampung Lebak Soto. Bogor, 27 Agosto 2014

Citando anche qui, ancora una volta, uno dei versi più belli di una canzone di Fabrizio De André, che è la descrizione perfetta in poesia di tante situazioni simili:

“Dai diamanti non nasce niente,
dal letame nascono i fior.”
(Fabrizio De André, “Via del Campo”)

 

Kampung Lebak Soto. Bogor, 2 August 2014

 

Marcel Mauss: “Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche” (Einaudi, 2002)
Ferdinando Scianna: “Lo specchio vuoto – Fotografia, identità e memoria” (Edizioni Laterza, 2014)

 

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