Intervista alla Dr. Sadia Afroz – Rohingya in Bangladesh

 

Dr. Sadia. Cox's Bazar – 27 Febbraio 2020

Più di un milione di Rohingya a maggioranza musulmana vivono nei campi in Bangladesh e la maggioranza è arrivata nell'agosto 2017 dopo essere fuggita dal genocidio dei fondamentalisti buddisti in Myanmar.

Sono passati tre anni da quando il genocidio ha costretto centinaia di migliaia di Rohingya in Myanmar a fuggire per salvarsi la vita, la maggior parte nel vicino Bangladesh.

Il Bangladesh ospita circa 1,1 milioni di rifugiati Rohingya, di cui circa tre quarti in fuga nel paese nell'agosto 2017 o dopo.

Quando sono stato in Bangladesh, lo scorso febbraio del 2020, non potevo perdere l'occasione di visitare questo campo, perciò ho preso tre giorni per andare a Cox's Bazar, e poter entrare per mezza giornata nel campo.

Quando stavamo andando, il mio amico Alberto che lavorava per l'ospedale da campo mi disse: “Preparati a vedere l'inferno in terra”.

In effetti ciò che ho visto non potrò mai più dimenticarlo.

Così come è impossibile dimenticare la Clinic Manager del Health Post (la Postazione Sanitaria), la Dottoressa Sadia.

Io credo molto nei piccoli eroi che lottano ogni giorno, nell'ombra. Lei è una di loro, sempre con il sorriso sulle labbra, piccolo di statura ma con la forza di una leonessa.

Io provo una profonda stima per le persone come lei, che è cresciuta ancora di più dopo questa intervista, che sono riuscito ad ottenere dopo un anno – ma lei stessa fa fatica a trovare il tempo per respirare,

In compenso si è anche sposata ad agosto.

Io spero che potrò incontrarla di nuovo un giorno.

Questa mia intervista è dedicata ovviamente ai Rohingya, sperando che non si spengano mai i riflettori sulla loro tragedia; e poi perché spero che la vita di Sadia sia di ispirazione per chi leggerà queste righe.

Noi siamo gli artefici delle nostre vite.

Dr. Sadia

Grazie per il tempo concesso Dr. Sadia, innanzitutto raccontami un poco di te e della tua passione per la medicina.

Mi chiamo Sadia Afroz e sono nata nel 1995 nella città di Savar, un Upazila (sotto-distretto) del distretto di Dhaka in Bangladesh, che si trova a una distanza di circa 24 chilometri a nord-ovest della città di Dhaka.

Io mi sono laureata in medicina nel 2018 nel Gonoshasthaya Samaj Vittik Medical Hospital and College. Per la stessa industria, la Gonoshasthaya Antibiotic Ltd. lavorava mia madre, nella produzione di antibiotici e medicinali, e da lei ho preso non solo la passione per la medicina, ma anche il suo modo di pensare: ovvero, che è importante andare nei luoghi dove è più difficile curarsi e trovare le medicine, come faceva lei andando nelle zone rurali dei villaggi.

Noi siamo due sorelle, e mia madre ha sempre sognato che una di noi diventasse un giorno un medico. Io ho voluto avverare il suo desiderio.

 

Puoi descrivere, per chi non ne è a conoscenza, della condizione dei Rohingya, la loro tragedia umanitaria, e di come siano stati accolti nel Campo di Cox's Bazar. Come è strutturato il campo, da quanto tempo tu hai iniziato a lavorare in questo ospedale.

La zona rurale di Ukhiya ospita il campo ormai da quasi quattro anni. Io lavoro come Clinic Manager per la Postazione Sanitaria Cox's Bazar Gonoshasthaya Kendra, nel Camp 1 Est di Lambasia, per la Malteser International-Germany, dal settembre del 2019, dopo un anno di pratica nell'ospedale Gonoshasthaya Baharchara di Cox's Bazar. 

I Rohingya sono arrivati nel 2017 a Cox's Bazar fuggendo dal genocidio in atto nel loro paese. All'inizio il popolo bangladese li ha accolti con pietà ed empatia. Io stessa ho provato le stesse emozioni quando ho saputo della loro tragedia. 

Il problema più grande di questa convivenza ha due anime: la prima è legata alla frustrazione degli abitanti della zona di collina che ospita il campo, una zona molto povera e rurale. Giorno dopo giorno hanno visto arrivare le molte ONG internazionali (il campo ne ospita quasi 80), per prendersi cura dei Rohingya ma non curandosi dei loro problemi. 

Con i costi della poca terra che rimaneva lievitare in modo importante, mentre più della metà della terra di quelle colline è stata presa dal governo per ospitare il campo. Immaginate oltre 500 persone straniere che vivono ormai nelle prossimità del campo, con i costi di ogni cosa che si adeguano allo stile di vita degli stranieri, non certo della popolazione locale che però si deve adeguare. Con le strade in terra abituate ai mezzi di trasporto locali adesso battute dai suv e dai mezzi pesanti nelle NGO. 

L'altro aspetto è legato allo stle di vita degli abitanti locali, profondamente religiosi, che hanno visto le proprie figlie adolescenti passare dal velo islamico e dal burqa – in molti casi – al fascino per le t-shirt e i pantaloni attillati degli stranieri che si incontrano continuamente. 

Proprio il mio propietario terriero mi raccontava con sconforto dellle sue due giovani figlie di 18 e 19 anni affascinate dal modo di vestire all'occidentale, e di come i pettegolezzi stessero minando la loro serenità. 

Alla lunga questo stato di cose ha esasperato gli abitanti locali e fatto tracimare il loro livello di sopportazione. 

Io sono una dottoressa, posso comprendere la loro rabbia, ma per me rimane la compassione per questo popolo in sofferenza. 

Non è colpa dei Rohingya ciò che sta succedendo, loro sono solo le vittime. 

Adesso le condizioni del campo stanno migliorando, soprattutto a livello sanitario, nell'ultimo anno. 

Dopo uno dei fatti più gravi, successo nello scorso ottobre del 2020, quando due gruppi di Rohingya si sono affrontati con pistole e machete causando la morte di 7 persone, si sono intensificati anche i controlli della polizia. Adesso, oltre i normali check-point militari, ad ogni entrata del campo si sono aggiunti anche quelli della polizia, così come la loro presenza all'interno del campo stesso. 

Garantendo la sicurezza anche allo staff delle infermiere e dottori della PHC – Primary Health Care che sono gli unici a cui è concesso rimanere anche la notte all'interno del campo, mentre per tutti gli altri – compresi le ONG e i medici – è obbligatorio abbandonare il campo dopo il tramonto. 

Il governo ha lavoraato molto, in questo ultimo periodo, a garantire una maggiore sicurezza a tutti i 34 campi che costituiscono il grande campo profughi.


Attività nell'ospedale da campo

 

La situazione adesso si sta complicando: quando io sono stato là a febbraio, un anno fa, ho potuto vedere con i miei occhi il sovraffollamento dei Rohingya, e quando è scoppiata la tragedia del Covid-19 ed è arrivata anche in Bangladesh, il mio pensiero è andato al vostro campo. Puoi descriverci le condizioni attuali?

In effetti quando è comparso il primo caso di Covid-19 nel campo, e fu proprio nel mio campo il 14 maggio, tutti noi pensavamo che ci sarebbe stata una strage, con migliaia di infetti e morti, a causa del sovraffollamento. Ma la cosa sbalorditiva è che, a oggi, i casi accertati di Covid-19 risultano essere 371, con dieci vittime dalla sua comparsa.

Non a caso sono in atto test su circa 6000 Rohingya livello di anticorpi e la loro capacità immunitaria per comprendere come è stato possibile.

Comunque il campo ha circa 200 aree chiamate SARI – Sever Acute Respiratory Infection, in cui isolare i casi di Rohingya risultati in gravi condizioni dopo la quarantena.

La procedura nel nostro ospedale da campo rimane quella di indossare maschera e guanti, solo nei casi di infezione i dottori devono indossare le tute specializzate, ma il nostro è un ospedale di medicina primaria, con pazienti generici.

 


Quali sono le sfide più grandi per voi, come dottori, in questa catastrofe umanitaria e di cosa avete più bisogno nella vostra lotta quotidiana nel campo? C'è un modo, per chi volesse, di aiutarvi a distanza?

La più grande sfida rimane quella di essere distante dalla mia famiglia.

Lo sai, mia madre è malata, deve fare la dialisi ogni giorno.

Io non posso essere vicino a lei, ma so che una dottoressa si prende cura di lei. Così come io mi prendo cura di madri di altri figli.

È come una bilancia: la mancanza di mia madre e la preoccupazione per la sua salute mi spingono a dare il meglio per aiutare le altre madri.

È nello stesso tempo stress ed energia.

Chiunque può fare donazioni alla mia NGO, basta andare sui siti e quel denaro poi viene usato per finanziare le attività della Malteser International-Germany, tra cui il mio ospedale da campo.

 

Foto: Dr. Sadia Afroz. Dicembre 2020

Prima di concludere, e ringraziarti ancora, io vorrei che ripetessi qui il perché della tua scelta nel lavorare in questo ospedale piuttosto che a Dhaka, come mi avevi detto faccia a faccia.

Durante i cinque anni del mio corso di laurea c'era una regola: almeno per tre volte noi studenti dovevamo andare in zone rurali e nei villaggi ad incontrare le persone, a curare sul campo.

Il mio mito, come per tutti i medici del Bangladesh, è Zafrullah Chowdhury, il nostro eroe nazionale che ha fondato il Gonoshasthaya Kendra, dove io ho studiato e di cui anche questo ospedale fa parte. Il nome stesso significa in bengali il centro per la salute del popolo.

Lui ha portato avanti la politica delle medicine per il popolo, per chi non riusciva a permettersi le cure.

Come sognava anche mia madre.

Così io ho sempre pensato: se io voglio dare il meglio di me come medico devo andare dove le persone hanno veramente necessità di cure, dove la situazione è più difficile. A Dhaka ci sono molti ospedali, è facile accedere ai farmaci e alla cure, perciò finita la mia laurea, dopo pochi mesi ho deciso che dovevo andare a Cox's Bazar, dove i Rohingya stavano arrivando.

All'inizio non è stato facile, ho dovuto imparare la loro lingua in un mese  e mezzo.

Ma poter curare i loro bambini, vedere i loro sorrisi mi dà la forza di sorridere ogni giorno.

 

Un'ultima domanda. Ormai è su tutti i siti la notizia che da dicembre scorso è iniziato un ricollocamento di parte della popolazione Rohingya verso l'isola di Bhashan Char. A oggi pare siano già 1600. Il ministro degli Esteri AK Abdul Momen lo ha chiamato un “bellissimo resort” Bhashan Char che è un'isola del Golfo del Bengala, a 34 chilometri di distanza dalla terra, soggetta a inondazioni emersa dal mare 20 anni fa. Ma agli occhi della comunità internazionale la cosa è sembrata preoccupante perché i Rohingya sono stati portati via militarmente e senza dare il permesso alle ONG internazionali di controllare le loro condizioni di vita. Ora che sono trascorsi quasi due mesi, come è la situazione?

È vero che le ONG internazionali non possono per accedere all'isola ma ci sono le nostre ONG nazionali, e adesso sono gli stessi Rohingya che dall'isola stanno chiamando i propri famigliari per raggiungerli.

Il campo ha una capacità di 100.000 persone con migliori condizioni sanitarie e case in mattoni. Io credo che sia una condizione di vita migliore rispetto al sovraffollamento dei nostri campi.

Grazie ancora e in bocca al lupo.

P.S. Grazie alla Dott. Sadia per l'uso delle fotografie scattate da lei durante il Covid-19 nell'ospedale da campo.


Cox's Bazar – 27 Febbraio 2020

 

Per correttezza riporto un brano di un articolo di AP News sul ricollocamento dei Rohingya:

“Saleh Noman, un giornalista del Bangladesh che ha viaggiato con i rifugiati, ha detto per telefono dall'isola che ai rifugiati è stato dato riso, uova e pollo a pranzo dopo che la loro temperatura corporea è stata misurata dagli operatori sanitari come precauzione per il coronavirus.

Prima di salire a bordo delle navi, sono state anche fornite maschere per il viso per proteggersi dal COVID-19.

Le strutture dell'isola sono costruite per ospitare 100.000 persone, solo una frazione del milione di musulmani Rohingya che sono fuggiti da ondate di violente persecuzioni nel loro nativo Myanmar e vivono attualmente in campi profughi affollati e squallidi nel distretto di Cox's Bazar.”

I siti relativi alle organizzazioni dell'ospedale della Dott. Sadia:

Gonoshasthaya Kendra

Malteser International 

Per essere aggiornati sulla situazione dei Rohingya: TRTWORLD

 

Su Zafrullah Chowdhury (da Wikipedia):
Zafrullah Chowdhury (nato il 27 dicembre 1941) è un attivista per la salute pubblica del Bangladesh. È il fondatore di Gonoshasthaya Kendra (che significa People's Health Center in bengalese), un'organizzazione sanitaria rurale. Il dottor Chowdhury è più conosciuto per il suo lavoro nella formulazione della politica nazionale in materia di medicinali del Bangladesh nel 1982. Nel 1992, gli è stato assegnato il Right Livelihood Award per il “...record eccezionale di promozione della salute e dello sviluppo umano.”
Ha trascorso la sua prima infanzia a Calcutta e in seguito la sua famiglia si è stabilita in Bangladesh. Era uno dei dieci figli nati dai suoi genitori. Dopo aver frequentato la scuola Nabakumar a Bakshibazar, ha studiato al Dhaka College. Ha studiato medicina al Dhaka Medical College, dove si è occupato di ideologie politiche di sinistra. In qualità di segretario generale del sindacato degli studenti del Dhaka Medical College, ha tenuto una conferenza stampa per denunciare la corruzione in ospedale. Dopo una vita studentesca turbolenta, ha conseguito la laurea in MBBS nel 1964 ed è partito per il Regno Unito per studi post-laurea in chirurgia generale e vascolare. Nel 1971, ha combattuto per l'indipendenza durante la guerra di liberazione del Bangladesh.
È stato coinvolto nella creazione dell'ospedale Bangladesh da 480 posti letto per combattenti per la libertà e rifugiati. L'ospedale era gestito da un team di medici, studenti di medicina e volontari del Bangladesh. Le donne senza una precedente formazione sanitaria sono state addestrate in pochi giorni per aiutare i pazienti. Questa esperienza nell'ospedale da campo lo ha portato a credere che un sistema di assistenza sanitaria efficace possa essere sviluppato nelle zone rurali del Bangladesh formando le donne come piattaforma di assistenza sanitaria primaria. Ciò raggiunse la credibilità mondiale quando alla fine fu pubblicato su The Lancet.
Nel 1972 il Dr. Chowdhury ha fondato il Gonoshasthaya Kendra. In realtà l'idea è stata introdotta in un documento dal titolo “Assistenza sanitaria di base nel Bangladesh rurale” a Dhaka. Il centro si concentra sulla fornitura di assistenza sanitaria di base alle aree rurali. Il centro gestisce anche un'università, un centro di formazione professionale, cooperative agricole, un ospedale, una tipografia, scuole comunitarie e un impianto di produzione di farmaci generici. Gonoshasthaya Kendra ha avuto molto successo nel fornire servizi di pianificazione familiare, abbassando i tassi di mortalità materna e infantile. Sebbene limitato nella sua portata, ha aperto la strada all'introduzione di farmaci generici più economici. Nel 1973, Gonoshasthaya Kendra ha introdotto un sistema di assicurazione sanitaria rurale, il primo del suo genere in Bangladesh.
Le critiche hanno sottolineato che, anziché essere nazionale, la portata del centro è stata limitata ad aree specifiche. Tuttavia, Zafrullah Chowdhury crede che la salute pubblica sia una questione di Stato, non può mai essere lasciata al settore privato.

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