Il vuoto nella stanza. Da una fotografia di Fariha


Dhaka, Luglio 2022. © Fariha Jannat Mim


Vagando su Instagram mi è capitato di trovare, attraverso una pagina di donne asiatiche che fanno Street Photography, il profilo di un'interessantissima fotografa del Bangladesh, Fariha Jannat Mim.

Ho iniziato a guardare le sue fotografie in cui ci sono molto spesso figure femminili come soggetto.

Tra tutte queste immagini mi ha colpito una in particolare.

Da quella condivisione è nata una lunga discussione e direi, anche un'amicizia. Potere moderno dei social media.

È una fotografia di cui potrei parlare veramente a lungo, sotto diversi punti di vista.

Mi piace condividere con voi le mie impressioni.



È una foto scattata a Dhaka, in un interno, nel luglio del 2022.

Ritrae tre donne, o meglio tre parti di donne, in bianco e nero.

Prima di sapere la storia dietro l'immagine ho detto a Fariha cosa mi faceva venire in mente e la sua meraviglia per la descrizione precisa ha poi fatto nascere la nostra amicizia.

Prima di tutto, in modo un po' sfrontato, ho sempre pensato che esista un tocco femminile nelle fotografie; o meglio, capita raramente, però a volte è possibile capire (o sentire) che una certa fotografia è stata scattata da una donna. Sarà un fatto di sensibilità, di “essere nella scena”, che è molto femminile.

L'esempio che mi viene sempre in mente sono le fotografie scattate da Mary Ellen Mark nel bordello indiano a Falkland Road, di cui ho già parlato a lungo in questo Blog.

La vicinanza e la “nudità” dell'anima, più che dei corpi, delle prostitute a pochi metri dalla fotografa lasciano la sensazione che solo uno sguardo femminile, privo di ogni pre-giudizio, come quello della Mark, potesse raggiungere un così alto livello di prossimità.

Bene, questa stessa sensazione mi ha subito dato la foto di Fariha.

E forse il segreto sta proprio in quel piede sul letto, che si capisce essere quello della fotografa.

Lei mi ha confessato che quando l'ha visto nel riquadro avrebbe voluto toglierlo ma alla fine l'ha lasciato entrare in scena.

Scelta azzeccata.

Non solo perché aumenta la profondità dell'immagine, perché rivela la sua presenza, ci fa capire che sta scattando da seduta davanti alle due donne, ma perché ci dice che lei è una loro amica. C'è una profonda intimità.

C'è una donna seduta per terra con il volto appoggiato sul ginocchio di un'altra donna di cui si vede solo la mano che l'accarezza. La donna in terra ha gli occhi chiusi, ma si capisce che lo sguardo è pesante.

È il momento intimo di una donna che forse sta raccontando di un suo problema alle amiche che la consolano.

“Kotha”, si dice in lingua bangla, i discorsi, le chiacchere.

Quel momento puramente femminile di confessione e consolazione.



Fariha mi ha poi confermato che è esattamente quello che era successo. Due sue amiche che abitano con  lei  nella stessa casa che si sono ritrovate nella stanza di una di loro per condividere dei problemi. E grazie a quel piede sembra che noi abbiamo il privilegio di sedere alla sinistra della fotografa: si capisce la sua posizione dalla prospettiva dello sguardo e dal fatto che è il piede destro.

Ci fa assistere a questa scena che altrimenti sarebbe rimasta l'attimo privato di tre amiche.

Qualsiasi fotografo estraneo alle donne non avrebbe mai lasciato il proprio piede nella scena, così come si sta sempre attenti anche a non fare entrare la propria ombra.

Ecco, l'intimità di questa foto è molto, molto femminile. Delicata.

 

Fariha Jannat Mim. Kamalapur, 2019. © Kishor Mahmood


La seconda cosa che mi ha interessato, ed è forse la parte che ci ha fatto parlare più a lungo, è quanto questa sia un'immagine vuota.

Ci sono ben tre soggetti ma la maggio parte dello spazio è occupato dalla stanza. Ci sono frammenti di corpi.

Un braccio, parte di una gamba,  mezzo busto della donna seduta ed un piede.

Mi fa venire in mente le pièce teatrali di Samuel Beckett.

Non è poi così facile avere così tanto spazio vuoto con tre soggetti.

È allora che è uscito fuori, di nuovo, Ludwig Wittgenstein, mia nemesi.

Parlando dei linguaggi e dell'importanza dell'uso delle parole Fariha mi ha chiesto quale fosse un autore da conoscere e io non potevo che fare il suo nome.

Lei ha letto un mio articolo su di lui ed è rimasta colpita dall'affermazione di come il significato di una frase riposi proprio nello spazio vuoto tra le parole che noi riempiamo di senso.

La teoria del secondo periodo del filosofo austriaco cade perfettamente in questa fotografia. Proprio grazie al suo essere vuota.

Come se lo spazio della stanza amplificasse le preoccupazioni o le tristezze segrete della donna seduta a terra.

O meglio, ci lascia la completa libertà di riempire noi, con i nostri significati, il silenzio  e l'enigma di questi frammenti di corpi.

Questo è un potere altamente simbolico che si è studiato a lungo in antropologia, fin dall'interpretazioni delle pitture rupestri nelle caverne.

Più i segni sono essenziali e minimi, più si caricano di simbolismo.

La voce dello sciamano che canta parole incomprensibili riesce a curare il malato proprio perché quest'ultimo carica dei suoi significati quelle formule misteriose, suggestionandolo.

Ovviamente qui stiamo parlando solo di una semplice fotografia scattata in un appartamento di Dhaka a luglio.

Ma credo che proprio quel suo vuoto misterioso e silente è il fascino di questa fotografia magnetica.

Ed è anche un ottimo esempio per far capire la teoria del linguaggio di Wittgenstein.



Fariha è ancora giovane, neanche trent'anni ma già scatta da sei anni e si vede. Ha anche realizzato un corto cinematografico nel 2019, “A Question”.

Nata e cresciuta a Kamalapur, è figlia di Dhaka e ama la sua città profondamente.

Io vi consiglio di andare a vedere la sua galleria di fotografie.

Sa raccontare Dhaka in un modo molto personale.

 

FB & IG: 

Fariha Jannat Mim

@farihajannat_

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