Come ti potrei chiamare? – Prima Parte


"यी आँखाका गहिरा ताल बिच

नसकि तर्न डुबे-डुबे म"

“Tra i laghi profondi di questi occhi

altrimenti annegherò.”

(Narayan Gopal)


Nepal. ©Alberto Spalletta



Prie* Nuhu,

spero che questa mia lettera ti trovi in salute.

La notte è tersa e dalla finestra della nostra stanza riesco a vedere bene i monti e la terra che ha la forma del vento. La luna piena sembra una ciotola di riso riversa sul tavolo nero del cielo e le stelle sono così basse che si confondono con gli occhi dei lupi.

Non ho molta fame oggi, ho un po' di nausea ma non preoccuparti.

Ti scrivo ad ora tarda perché è l'unico momento in cui il silenzio cala sulla città.

Ed è anche il momento in cui avverto di più la tua mancanza.

Sono trascorsi ormai cinque mesi da quando la tua famiglia mise un recipiente d'acqua sul cancello di casa per salutare con fortuna la tua partenza.

Piansi tanto.

Che crudeltà quella di separare così presto chi ha da poco imparato ad amarsi!

Lo so che lo fai per noi e non è stata una scelta facile, soprattutto per te: lontano miglia e miglia dalla tua famiglia, dalla tua città. Da me.

Un altro paese, una lingua diversa. Da solo.

La tristezza mi stringe la gola solo ad immaginarlo. 

Ma tu sei quello forte tra noi due. E la tua forza è la mia forza.

Però io continuo a credere che gli sposi dovrebbero sempre vivere vicini, come gli alberi Bar e Pipal, sposati da Bandadevi, la dea della foresta.

Gli alberi non li puoi spostare, hanno radici intrecciate e le foglie a forma di cuore.

C'è chi dice sia solamente un'antica leggenda, ma io ci credo al matrimonio degli alberi e dovrebbe essere d'esempio per ogni giovane coppia di sposi. Come noi.

Del resto nella nostra comunità Newar mi hanno fatto sposare con una mela cotogna quando ero ancora una bambina affinché il Dio Kumar, figlio di Shiva, mi mantenesse casta a fertile per tutta la vita e poi mi hanno fatto sposare con il Sole, durante la cerimonia Bahra, alla mia prima mestruazione con il riflesso del sole su uno specchio puntato sul mio viso. Per essere ormai una donna, mi dissero. Pertanto, ho creduto al Bel Bibaha, al Gufa Rakhne, non posso credere all'amore tra due alberi?!

Aspetto quando verrai a prendermi, come mi hai promesso la sera prima di partire.

Non importa quanto lontana sarà la nostra casa e quanto difficile per me vivere in un altro continente.

Una brava Pipal cresce sempre a fianco del suo Bar.

Buona notte.

La tua Lumanti.”





Prie Nuhu,

la pancia comincia a pesare e nasconde la vista dei miei piedi.

Ma* la mattina presto porta nella stanza il tè, i fiocchi d'avena e churi con il dal. Quando si siede a fianco a me mi ricorda sempre che non devo mai guardare un'eclisse di luna o di sole altrimenti la nostra creatura nascerà con una macchia di nera sul viso o sul corpo.

Io le sorrido e annuisco. Come se ci fossero eclissi ogni giorno...

L'inizio della giornata è il momento in cui lei si agita e si muove come un ramoscello al vento. Sento che ogni mia emozione, ogni mio timore, trapassa nel suo piccolo cuoricino che avverto pulsare dentro di me.

Allora mi affaccio alla finestra e osservo i monti. Le nuvole rincorrersi sulle vette, le pecore pascolare a valle.

Ripenso al nostro primo incontro mentre la mano segue la curva della pancia, a cercare la sua presenza, e la tua.

Era nel mese di Bhadra, ad agosto dell'anno scorso, durante il carnevale annuale di Gai Jatra, il Festival della Vacca.

Prima di andare le mie sorelle Kusa e Silu raccolsero la mia lunga treccia abbellendola con nastri rossi dopo che avevo trascorso le ore, dopo la puja mattutina, ad oliare i capelli e a detergere il viso con la pasta di farina, burro e olio, per rendere la pelle liscia e luminosa. Poi avevo indossato l'abito più bello, decorato la fronte con la tika di chicci di riso e polvere color vermiglio e tutte insieme ci dirigemmo a Bhaktapur.

Le strade erano affollatissime, anche le pietre rosse delle case sembravano partecipare alla festa.

Mi ricordo che eravamo proprio davanti i cancelli della Shree Padma Secondary School, in prima fila di lato a vedere le coppie di bambine che procedevano a due a due battendo i legni, con le loro casacche nere a righe verticali bianche e sottili.

Tra la folla spuntasti tu, con il topi* nero e il gilet nero sulla casacca bianca. Elegantissimo!

Iniziammo a seguire il corteo dei bambini con i baffi disegnati, le donne e gli uomini che tenevano in mano i cartelli con le parodie dei politici, le donne con indosso l'hakupatasi, il tipico sari nero, e i grandi carri Tahra-Macha, fatti di bambù cone le fotografie dei parenti defunti.

È incredibile come una delle feste più divertenti e ironiche sia in realtà un omaggio ai parenti defunti durante l'anno, in ricordo della morte nel 1600 di Chakravatendra, figlio del Re Pratap Malla, che diede origine a questa festa per alleviare con le maschere e gli scherzi le pene e il dolore della Regina. Da allora le cinture degli abiti dei bambini mascherati da adulti con i baffi, hanno due code lunghe fino a strusciare per terra come metafora dell'ascesa dei defunti verso il Paradiso.

Pressate dalla folla, con le mie sorelle, ci dirigemmo verso la Piazza Durbar dove si erge il Nayatapola, il Tempio delle Cinque Fasi, costruito nel 1703 e dedicato a Shiva. Ogni metro della scalinata decorata con le immagini delle divinità scolpite nella pietra era stipato di persone così appiccicate che da lontano sembravano tante piccole tessere colorate di un mosaico.

Nel caotico carosello di risate, danze Ghintang Ghisi, trombe, tamburi e fischi, i nostri sguardi si incontrarono, nonostante tutto. 

Fu un attimo, ma già sapevo che saresti stato l'uomo che avrei sposato. Ne ero così certa che non sarebbe servito neanche l'astrologo.

Mia madre mi diceva spesso – e non solo lei – che da adolescente somigliavo alla cantante Tara Devi, forse perché avevo gli occhi come chicchi di churi e gli zigomi sporgenti, la pelle bianca con due spruzzate di rosa sulle guance, le labbra come boccioli di rododendro.

“Faresti innamorare qualsiasi ragazzo, anche se fosse bendato e potrebbe solo odorare la tua pelle!”

Mi diceva mia madre, orgogliosa.

Ci azzeccò più dell'oroscopo.

Il mese successivo il brahmino fissò astrologicamente la data e ci sposammo.

La tua Lumanti.”


©Olivier Follmi




Prie Nuhu,

grazie per le fotografie che mi hai mandato questa mattina. 

Berlino sembra una città molto grande. Le case sono alte e grigie. Così moderne. Anche se io continuo a preferire i mattoni rossi e le nostre finestre intagliate con il legno decorato.

Sono felice che hai trovato altri nepalesi e che ti piace il lavoro nel ristorante, anche se non ho ancora capito bene se lavori come cuoco, oppure aiuti in cucina o fai il cameriere. Comunque sia non devi mai vergognarti di dirmi quello che fai. Ricorda che ti amerei anche se facessi il lavoro più umile sulla terra.

Ciò che è sacro nel nostro cuore spesso è umile sulla terra.

Pensa che direbbero i tuoi amici a Berlino se sapessero che ogni mattina puliamo il pavimento di casa con sterco e urina di vacca!

Il mio amore per te non muta. Non devi dimenticarlo mai.

Anche io ti ho mandato alcune foto: la mia bella panciona che cresce ogni giorno di più e gli yomari, i dolci di riso che ti piacciono tanto e so che ti mancano. Li ho preparati questa mattina per merenda.


La tua Lumanti.”



Prie Nuhu,

questa notte sento la malinconia mordermi il cuore.

Per tutto il giorno sono stata serena.

Alla fine i tuoi genitori si sono decisi a farmi partorire nell'ospedale di Kathmandu, nonostante tua madre si fosse impuntata che doveva nascere in casa: aveva già parlato con Sudavi* Teesa, dicendo che aveva già fatto partorire tutti i suoi figli, nonché mezza Suryabinayak. Per fortuna sei stato convincente. A te danno retta, io non ho molta voce in capitolo; ma in cuor mio sono felice della scelta. È la nostra primogenita e non voglio che ci sia alcun pericolo.

Chiusa nella mia puja kotha ho pregato tanto finché le mie suppliche sono state accolte. 

Anche il cielo oggi era luminoso, terso, azzurro come le piume di danfe*.

Ogni cosa sembrava volgere ad una serena serata...

Poi dalla finestra di una casa vicina sono entrate le note di una vecchia canzone di Narayan Gopal: “Timilai Ma Ke Bhanu”.

Lo sai che era la canzone preferita di mia madre. Mi raccontava spesso che  grazie a quella canzone nacque il loro amore e che, dunque, anche io ero figlia di quelle parole.


"फुल भनु कि जुन भनु?

फुल भनु कि जुन भनु?

उपमा धेरै, तिमीलाई म के दिउँ?

तिमीलाई मनकी मायालु भनु

तिमीलाई म के भनु?”


“Dovrei chiamarti fiore o luna piena?

Dovrei chiamarti fiore o luna piena?

Quante similitudini, quale potrei darti?

Ti chiamerò amore mio.

Come ti potrei chiamare?”





Mia madre pianse tanto il giorno in cui morì. Era la sera del 5 dicembre del 1990; il diabete lo portò via a cinquantun'anni. Tutto il Nepal si fermò a piangerlo.

Anche mio padre lo adorava. Diceva che nella sua voce potevi sentire la dolcezza del juju dahu e la potenza del rakshi*, avvolti nell'odore acre delle sigarette.

Io iniziai ad ascoltarlo dopo la morte di mia madre, come se le sue canzoni mi parlassero di lei. Così ho cercato quella canzone e l'ho ascoltata fino a pochi mnuti fa lasciandomi un buco nel centro dello stomaco.

Per questo ti scrivo.

Forse perché è un dolore grande che mia madre non potrà vedere nostra figlia.

La mancanza è una puntura sottile che cresce lentamente d'intensità.

Mi manca lei, e mi manchi tu.

È un vuoto che non colmi con nulla, neanche con le preghiere. Ti avvolge caldo da dentro come se volesse colare fuori dalla pelle, da ogni poro.

Non riesco a spiegarti bene...

Il dolore non ha mai le parole giuste. La mia vita è incompiuta lontano da te, soprattutto ora che sto per diventare madre.

Mio padre amava raccontare a noi figlie femmine degli aneddoti della vita di Narayan Gopal. Specilamente quando ingollava boccali di chyang.

Aveva la sua personale ricetta dell'amore.

“Come disse una volta il grande Gopal: 'Senza un buon arrangiamento una canzone sarà come una verdura senza sale o oltre spezie.' L'amore tra due persone è il perfetto arrangiamento che rende una canzone immortale.”

Ecco, lontano da te, questa notte mi sento come una bella canzone senza un buon arrangiamento.


"तिमीलाई म के भनु? Timilai Ma Ke Bhanu”

“Come ti potrei chiamare?”


La tua Lumanti”



CONTINUA...



*Prie, caro, amore.

*Ma, madre, e vale sia per la propria madre che per la suocera. Così come Ba, per il padre.

*Topi, il tipico copricapo maschile nepalese.

*Sudavi, la levatrice.

*Danfe, il lofoforo splendido, anche lofoforo himalayano, è l'uccello nazionale nepalese dal piumaggio di un azzuro intenso.

*Rakshi, potente liquore.


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