perché fa male come il nostro.”
(Proverbio cinese)
Torpignattara. Roma – 7 gennaio 2012 |
È incredibile come la mente possa dimenticare totalmente alcuni fatti
accaduti in passato, e non sto parlando di accadimenti nell'infanzia, ma anche
di appena dieci anni.
Certo, due anni di chemio terapia non mi hanno aiutato; i dottori mi
avvisarono che avrei potuto avere dei piccoli disturbi o qualche danno al
fisico o alla memoria. Ogni fisico reagisce in modo diverso e imprevedibile a
quel veleno: mio padre non ha più olfatto e io ho una memoria che sembra una
groviera, e alcune cose, come i numeri, non riesco proprio a memorizzarli.
Quindi so che non devo farmi una colpa di questa debolezza della
memoria.
Però ancora sono tramortito da ciò che ho raccontato a proposito di
Zhou and Joy Zen, nella prima parte, perché io avevo totalmente dimenticato
come erano andati realmente i fatti.
Non ciò che ho scritto fosse sbagliato, ma mancava tutta una parte che
fu il cuore di ciò che mi è successo poi, ovvero il messaggio di Lucia King e
il diventare fotografo ufficiale della Soong Ching Ling Foundation of Italy.
Dopo averlo scritto, ho provato a cercare quel vecchio post, senza
grande fiducia perché era di ben nove anni fa.
Ma alla fine ci sono riuscito. Ho trovato il post e anche tutte le
fotografie scattate, e come una diga che crolla sotto l'impeto dell'acqua che
monta sono stato investito dei ricordi reali: tutto nei minimi dettagli.
Quindi ho pensato fosse una storia che dovevo raccontare meglio, perché
come ho scritto nella prima parte, può essere utile.
Innanzitutto il post che scrissi la sera stessa che tornai a casa:
Come ritrovarsi
da essere un semplice spettatore a carne viva del dolore...
Oggi sono
andato a fotografare la via in cui viveva il padre cinese con la bambina uccisa
a Torpignattara. C'erano molti fiori e candele. Quando dal portone sono uscite
3 persone cinesi ed una di loro è esplosa a piangere. Ho smesso subito di fare
le foto e le ho seguite.
Quando la
donna ha iniziato a stare male, le ho portato un bicchiere d'acqua ma niente,
ripeteva solo “Joy”.
Nessuna
parlava italiano ma si è capito che era la nonna (giovanissima) della bambina
di nove mesi uccisa.
Stava per
svenire ed io l'ho sorretta. Con l'aiuto delle altre due cinesi e di alcune
signore italiane l'abbiamo portata su casa.
La porta si
è chiusa dietro di me, e di colpo sono stato catapultato dentro 'il dolore'.
Quello che
non ha significato ma è puro 'significante'.
Le altre
donne l'hanno stesa sul letto.
Ripeteva
come un mantra solo il nome della bambina e piangeva.
C'era un
rotolo di carta igienica sul tavolo per le lacrime, qualche foto, un calendario
cinese.
Del cibo non
mangiato sotto la rete bianca che usano gli asiatici per proteggere gli
alimenti dagli insetti.
Io ero là
immobile, mi guardavano tra le lacrime come un corpo estraneo. Uno 'straniero'.
Io ho
provato a dire ad una di loro che martedì sarebbero venuti duemila cinesi per
loro, e tanti italiani e chissà quanti altri o forse nessuno. Che importanza ha
per quella nonna che non ha ancora visto i corpi...
In questi
momenti capisci il limite della fotografia, non si può, non si deve...
Anche gli
occhi vorresti chiudere per non penetrare quel dolore che non si può capire.
Ho salutato
una di loro e sono scappato via.
Nella mente
avrò quel mantra di 'Joy' per chissà quanto tempo.
Io spero
saremo davvero tanti quel giorno, ma ha importanza?
Spero di sì.
E ora chi me
lo toglie quel dolore?
Un bacio a
quelle vite così lontane da me, mai state così vicine.
Come diceva
Wittgenstein: “Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere”.
Mai parole
furono più vere...”
Torpignattara. Roma – 7 gennaio 2012 |
Questo fu ciò che scrissi, postando una fotografia dei fiori e candele
per terra, quel 7 gennaio del 2012.
Quanta rabbia e tristezza mi ha fatto non ricordare quel momento così
intenso.
È stata veramente un'incredibile coincidenza essere sotto il portone di
casa proprio nel momento che la nonna scese a vedere i fiori e i messaggi.
La vidi quasi svenire davanti a me, dal dolore. Provai a darle
dell'acqua ma niente, allora due giovani parenti mi chiesero di aiutarla a
portarla su casa.
La reggemmo in tre, fino a dentro casa.
Ora, perché questo è legato al tema della fotografia?
Perché in quei giorni quel quartiere era pieno di fotogiornalisti.
Ognuno – e mi ci metto anche io – era in cerca dello scatto simbolico, quello
che potesse descrivere al meglio lo stato d'animo della città o dei famigliari.
Ecco che di colpo io ero in quella scena, che adesso ricordo
perfettamente, come un quadro di pittura fiamminga, con le luci fioche e rosse
dei lumini e delle candele, con la nonna stesa sul letto e le due donne sedute
al suo fianco a piangere. Senza che si curassero minimamente di me.
Questo voleva dire che avrei potuto scattare una fotografia come nessun
altro. L'immagine esteticamente perfetta del dolore. Dal di dentro.
Ma deve esistere un limite. Una soglia che è preferibile non oltrepassare.
Un gradino etico che ci separa dal precipizio.
Perciò quella fotografia non la scattai. Misi via la macchina
fotografica, provai a salutare inascoltato e andai via.
Veramente toccato nel profondo.
Queste furono le parole che spinsero Lucia King a scrivermi in privato,
invitandomi al corteo funebre che si tenne il 9 gennaio, con centinaia di
persone che da Piazza Vittorio arrivarono fino alla casa della famiglia.
In quella circostanza conobbi Lucia, la quale mi invitò anche alla camera ardente il giorno
dopo.
Tutto questo appena conosciuta.
Veramente mi sentivo dentro un uragano di emozioni e accadimenti.
Piazza Vittorio e Lucia King interviewed. Roma – 9 gennaio 2012 |
Torpignattara. Roma – 9 gennaio 2012 |
Quella giornata, anche, mi donò due momenti da raccontare.
Ovviamente nella camera ardente furono ammessi solamente i famigliari.
All'uscita, nel piazzale del Verano, c'era una folla di fotogiornalisti, almeno
una trentina, tutti in attesa che uscissero le bare con i parenti delle
vittime.
C'è da dire che i fotogiornalisti a Roma si conoscono tutti, io ero tra
di loro che mi facevo i fatti miei, avevo cominciato da qualche anno a
fotografare e non sono mai stato uno che sgomita o strattona per avere la foto
migliore, credo che il lavoro degli altri vada rispettato, e io non ero là per
portare a casa la fotografia per pagare l'affitto.
Quando le due bare cominciarono a uscire per raggiungere il cimitero
dall'altra parte della strada i fotografi iniziarono a infervorarsi,
soprattutto quando arrivò la giovane madre che piangeva vicino la piccola bara
bianca di Joy.
Io scattai appena una sua foto che alcuni giornalisti mi spinsero in
malo modo, dicendomi che non ero di nessuna testata giornalistica perciò dovevo
farmi da parte.
Fu allora che la madre non ha retto al dolore ed è caduta sull'asfalto,
piangendo con urla dall'anima.
Mi si congelò il cuore: una scena straziante.
Mi sembrava una crudeltà fotografare quella madre in quel modo ma fu
proprio in quel momento che i fotografi si spinsero di più per arrivare a lei
il più vicino possibile e fotografarla.
Provai disgusto. Ma appena il tempo di poter pensare qualcosa che uno
dei ragazzi cinesi che stava con la famiglia iniziò ad urlare ai fotografi di
lasciarla in pace, ma loro niente, come se nessuno avesse parlato e a scattare
a raffica sulla madre per terra. Fu un attimo, quel ragazzo spiccò un
balzo e con un calcio di arti marziali
colpì uno dei fotografi.
Non nascondo la mia soddisfazione.
Non solo, ma poi il corteo funebre si avviò verso l'entrata del
cimitero per seppellire le bare. Io ero a fianco di Lucia King, dietro di noi
tutti i fotografi. Sulla porta del grande cimitero culturali un uomo cinese del
servizio d'ordine disse che nessuno poteva entrare, solamente i famigliari e
nessun giornalista.
Ricordo che mentre camminavo mi sentii tirare la borsa della macchina
fotografica: era uno di quesì fotogiornalisti che mi diceva sprezzante: “Non
hai sentito che hanno detto?”
Allora Lucia King si voltò verso di loro e gli disse: “Lui sta con
noi”.
Rome – 10 January 2012 |
Mi sentii veramente onorato. Mi chiesero solamente – per rispetto– di
non scattare nessuna fotografia di quel momento.
Allora, racconto spesso, di come l'ultima fotografia che non ho mai
potuto scattare fu quella di uno dei parenti di Zhou che accese una sigaretta,
proprio davanti al loculo dove era stata cementata la bara del giovane padre.
Fece due, tre tiri e poi la posò accesa vicino la sua fotografia.
Mi spiegarono che Zhou era un grande fumatore, e quella fu la sua
ultima sigaretta.
Sembra una cosa ingenua trarre morali dalle storie, ma di certo quella
settimana fu carica di eventi ed emozioni per me. Nonché di lezioni.
Quella più importante è che una fotografia mancata può aprire
l'opportunità ad altre mille.
Tutti i miei tentativi falliti di potere entrare nella comunità cinese
romana sono stati ripagati proprio dal non avere scattato fotografie.
Per due anni tutte le porte chiuse e poi nel giro di due settimane ero
sul palco a fotografare gli artisti arrivati dalla Cina per il grande Capodanno
a Piazza del Popolo.
Ero alla cena nel ristorante, la sera, con tutta la delegazione dalla
Cina prima del loro ritorno, a festeggiare.
Ma soprattutto, ho potuto ricordare il significato profondo di quelle
poche parole: “Lui sta con noi”.
Quindi, come ho detto spesso durante tutti i miei corsi di Fotografia,
va bene provare a fare la fotografia che ci sembra la più importante, va bene insistere
ed essere caparbi in ciò che vogliamo ottenere, ma mai forzare troppo il passo.
È meglio non varcare quella soglia.
Una rinuncia è spesso la porta verso la ricchezza.
Proprio come in quelle storielle zen, dove il vuoto non è altro che il
riflesso distorto della pienezza.
Io lo avevo smarrito nella mia memoria. Questo Capodanno Cinese che non
si è potuto celebrare, vuoto, mi ha restituito il pieno di quelle emozioni.
Un pensiero ancora a Zhou e Joy.
Zhou and Joy |
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