Su Bangla – La Serie


© “Bangla – La Serie”
© “Bangla – La Serie”

Adesso che si è spento l'hype sulla serie “Bangla” vorrei dire anche io due parole.

Molti di voi hanno visto prima il film uscito nel 2019 per la Fandango, diretto da Phaim Bhuiyan, poi la serie su Netflix e Rai 3 uscita nel 2022.

Girato interamente nel quartiere di Tor Pignattara, con un cast giovane, ha entusiasmato un largo pubblico.

Io ho visto solamente la serie e mi è piaciuta, facendomi anche divertire.

 

È capitato varie volte che mi venisse chiesta la mia opinione su questa serie, anche perché è ambientata nel quartiere che amo di più a Roma.

Sicuramente Phaim ha trovato la chiave giusta per affrontare un problema attuale e reale della comunità del Bangladesh, a prescindere dal condividere o meno il suo punto di vista.

Il contrasto religioso tra un giovane bangladese musulmano osservante innamorato di una ragazza italiana che vorrebbe avere rapporti sessuali prima del matrimonio è un tema che è ormai presente nella realtà delle seconde (e ancora di più lo sarà delle terze) generazioni del quartiere, e di ogni città di Italia – a meno che uno non voglia chiudere gli occhi e far finta che non esista.

Di certo, uno dei meriti più rilevanti di Phaim per me, al di là della tematica del film, è quello di avere aperto una breccia a livello narrativo nella comunità.

Finalmente è stata raccontata una comunità straniera dall'interno, senza dover attendere ogni volta di essere descritta da sociologi, giornalisti, antropologi o fotografi (come me) che, per quanto la possano conoscere a fondo, rimangono sempre osservanti “esterni”.

Questo potrebbe essere un potente stimolo anche per altre comunità straniere a trovare il loro Phaim che le racconti agli italiani, dal proprio punto di vista.

Per certi versi, un episodio di questa serie ha molto più valore di saggi o mostre fotografiche, perché di colpo siamo catapultati all'interno delle loro vere vite, anche se in chiave fiction.

 

Soshi, 28 Aprile 2012
Soshi, 28 Aprile 2012



Come ho già detto il tema è attuale e sarà sempre più una questione aperta ed una sfida per la comunità bangladese, anche se ormai sono in aumento le coppie miste, sia di donne bangladesi sposate con italiani che il contrario.

Le culture, come le persone, si mescolano, si fondono.

Non è sempre facile ma penso questa sia anche parte della loro bellezza.

Però non volevo parlarne dal punto di vista sociologico.

Lo lascio fare ad altri più bravi di me.

Il fatto è che vedere questa serie mi ha più che altro commosso.

Chi ha visto per la prima volta sullo schermo questi ragazzi, Phaim, Sahila, Soshi, Tangir, Fabian, per esempio quando provano i brani con la loro band Moon Star Studio nel negozio di Laila, avrà pensato che fosse una semplice finzione.

Io invece non sono quasi riuscito a separare la finzione del film dalle loro vite, perché li conosco da quando erano adolescenti.

Loro veramente suonavano insieme, con lo stesso nome della band.

 

Era il lontano 2010; la mia prima volta che iniziavo a fotografare gli eventi della comunità.

Quegli erano gli anni in cui sui palchi del mela (i festival) si potevano vedere spettacoli di magia, rappresentazioni teatrali (i famosi Natok), grandi cantanti, danzatori indiani. Le esibizioni di danza di Madhobi e Korobi (mai più eguagliate) così come quelle di Sushmita Sultana che adesso insegna proprio quelle danze ai bambini della comunità.

Mentre in Bangladesh i festival per il Capodanno (Boishakh Mela) duravano qualche giorno oltre il 14 aprile, qui a Roma proseguivano per oltre  una settimana. A Villa Gordiani, al mitico parco di Centocelle, anche se quello più autentico, a mio parere, era e rimane quello del Parco degli Acquedotti.

Avrò fotografato un centinaio di esibizioni canore e musicali.

Di cantanti celebri arrivati apposta dal Bangladesh, a gente che brillava del suo attimo di gloria per qualche minuto per poi sparire nell'acre anonimato della quotidianità.

Là vidi esibirsi i Moon Star Studio, con Tangir alla chitarra, Phaim alla batteria e Soshi a cantare.

Ammetto che tra tutti gli attori del cast, Phaim è stata proprio la persona con cui ho interagito e conosco di meno: ci conosciamo e ci salutavamo ma non gli ho parlato mai come con gli altri. Da buon batterista era nelle retrovie, penso anche per carattere, a differenza di quello che sembra poi nel film.

Vederli recitare, lo stesso vale per gli altri, così come per i luoghi, è stato per me come sfogliare i miei archivi fotografici. Cosa che poi ho fatto veramente.

Fabian è il figlio di Sultana che è colei che appare in una delle mie primissime fotografie del 2010, e che adesso è per me come una sorella.

Ho fatto veramente fatica a guardarlo con il distacco che avrebbe meritato forse, per un migliore giudizio critico, ma – alla fine – molto meglio così.

Ciò che ha prevalso è stato proprio l'amore, e anche l'orgoglio, per queste persone, nel vedere i loro sogni iniziare ad avverarsi, gli obiettivi alzare la loro asticella.

 

Ed io essere come sempre “lo specchio della loro memoria”, come mi disse un giorno Sultana.

 

Tangir, 27 Giugno 2010
Tangir, 27 Giugno 2010


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