Yoko e la neve – Seconda Parte


Japan, 2021. © Reiko S.
Giappone, 2021. © Reiko S.


Prima che arrivi l'inverno è mia abitudine andare al tempio di Zenko-ji, ad un'ora di treno da Shibu Onsen.

Si, anche per pregare, per godere della natura, della linea sinuosa dei monti Togakushi, ma soprattutto per comprare due ombrelli nuovi per la neve che verrà da Nishinomon Cho. I suoi ombrelli sono opere d'arte: solamente pesarli e sfiorare la superficie del tessuto colorato mi fa pregustare il tocco della neve.

Sul treno, al ritorno, provo ad immaginare i pellegrini che mille e trecento anni fa percorrevano questa via che dalla piccola città di Shibu Onsen conduceva al tempio, riposando i loro corpi stanchi nelle acque calde delle terme.

Non fosse per questo treno, per gli autobus color crema, per le automobili parcheggiate, sembrerebbe quasi che il tempo non si fosse mai mosso assai da allora.

Il luogo perfetto per far perdere le proprie tracce.

Sarei potuta rimanere a Tokyo, senza nessun'ansia.

Attraversare la città in lungo e largo nei vagoni della metropolitana senza che qualcuno notasse il mio volto, tutti chini sui propri telefoni, persi nel sonno in piedi o in schermi luminosi che sono specchi d'acqua artificiali per Narcisi che hanno rimosso la propria solitudine, o la ingannano in socialità virtuali.

Da  qualche parte lessi che “il sentimento della solitudine sta avvelenando la società”.

Per assurdo, mi sento meno sola tra le piccole vie di questa cittadina millenaria che nella moltitudine fluorescente di Tokyo.

Chissà se mio marito ogni tanto si domanda dove sono finita?

 

Nishinomon Cho. Source: Virtual Japan (YouTube)
Nishinomon Cho. Source: Virtual Japan (YouTube)



Mi chiamo Yoko e ho 34 anni.

Raramente indosso lo yukata, solo quando voglio ancora sentirmi bella.

Bella per chi, poi!

Gli uomini non mi guardano.

Credo di essere una donna troppo comune, al limite dell'insignificante.

Quando voglio essere guardata, attraverso il ponte con le ringhiere rosse e rimango in piedi davanti alla grande figura del Samurai Scimmia, sul bordo della strada.

In attesa di un cenno. Come se dovesse emettere un giudizio definitivo su di me.

“Yoko, sei una codarda! Una traditrice. Un'inetta!

Un ciliegio sterile che non sa sbocciare neanche a marzo!”

Ma forse quelle sono le parole che direbbe mio marito se un giorno mi trovasse davanti la porta di casa.

Il Samurai Scimmia rimane, invece, impassibile, muto e immobile.

Allora gli faccio un inchino e torno a camminare.

 

Shibu Onsen. Source: Virtual Japan (YouTube)
Shibu Onsen. Source: Virtual Japan (YouTube)



Dicevo della neve.

Mi è sempre piaciuta, fin da bambina.

Perché cadendo silenziosa ricopre ogni cosa.

Puoi indovinare ciò che vi è sotto dalla forma o grazie alla memoria. Sai che sotto quella piccola montagnola bianca c'è la cassetta rossa della posta; il vaso con la pianta a fianco l'entrata del sotoyu con l'insegna blu e i caratteri bianchi.

È un po' come la mia esistenza.

Appena sposata ero felice. Tutto era ben definito.

Il nostro lavoro, le cene con gli amici, la gita al monte Fuji, le serate a teatro.

Poi con gli anni è come se le forme iniziassero a perdere in definizione.

Quella felicità iniziava ad essere più un lavoro della memoria piuttosto che dell'occhio o del cuore.

Senza accorgersene.

Non è come la pioggia che romba come un fiume capovolto sui tetti e gli ombrelli. Inizi a pensare che la tua propria felicità è nelle bacchette allineate e simmetriche sul tavolo a fianco alla ciotola di riso, nelle pantofole ai piedi del letto, e non più nel bacio dell'uomo che amavi.

Poi giunge il momento che la neve ha coperto anche quel bacio, quella carezza.

Ogni cosa diventa una coltre bianca e gelida, anestetica.

Al punto che anche sapere dei suoi tradimenti non ti ferisce più. Perché se infili una mano nella neve dopo pochi minuti non la senti più.


“Man sleeping on commuter line”. Tokyo, 1960. ©Shigeichi Nagano
“Uomo che dorme sulla linea dei pendolari”. Tokyo, 1960. ©Shigeichi Nagano



Quando seguivo quel programma in TV, quello della gente che scompare, gli yonige, mi sembrava una follia. D'accordo i debiti, la mafia, la vergogna di un licenziamento, di un esame non passato, ma come si fa a lasciare tutto in segreto, dal giorno alla notte!

Aspettare il buio e caricare tutti i tuoi averi su di un camion e risvegliarsi al mattino in una città lontana, senza identità, senza passato né futuro.

Che follia!

Ed eccomi qua a sorseggiare il miglior sakè di Tamamura esattamente come una di loro.

Come è labile il confine tra l'apparente follia e la necessaria voglia di ricominciare a vivere.

Un ciclo di vite senza la scocciatura della morte.

Però è come se tutta la nostra società si fosse lentamente predisposta ad agevolare queste sparizioni.

Iniziamo a scomparire già quando siamo seduti uno davanti all'altro a cena, nei nostri appartamenti, nei nostri silenzi.

Parole non dette tra un raviolo e un noodle.

Quando dimentichiamo le date dei compleanni e degli anniversari, a non salutarci quando usciamo la mattina per andare al lavoro. Quando non ci chiamiamo più per nome.

Io mi chiamo Yoko. YOKO.

Anche il Samurai Scimmia ha imparato il mio nome, ormai.

 

Samurai Monkey. Source: Virtual Japan (YouTube)
Samurai Monkey. Source: Virtual Japan (YouTube)



Forse una sera di gennaio, dopo un lungo bagno nell'acqua termale, indosserò il mio yukata bianco con i fiori di pesco dipinti, i geta di nonna e il mio ombrello ocra e attraverserò queste piccole stradine illuminate dalle lampade gialle sotto le travi dei tetti bassi delle case, saluterò l'imponente Kanaguya, sì, il ryokan bicentenario che nasconde i suoi spiriti, attraverserò il ponte con le assi in legno coperte dalla neve sul fiume Yokoyugawa, canticchiando la canzoncina pop degli YOASOBI e troverò una panca sul bordo della strada.


Kanaguya. Shibu Onsen, 2022. ©Chihiro Matsumoto
Kanaguya. Shibu Onsen, 2022. ©Chihiro Matsumoto

Mi siederò ad osservare i fiocchi di neve roteare sotto il cono di luce dei lampioni.

Chiuderò l'ombrello comprato da Nishinomon Cho e attenderò che la neve mi ricopra, fiocco dopo fiocco.

Come un pellegrino stanco di mille anni di cammino.

Nessuno verrà mai a cercarmi e il Samurai Scimmia saprà conservare il mio segreto.

Eppure, credetemi: questa è la mia felicità.

Perché ognuno di noi ha la propria forma di felicità.

Va solamente cercata. Sotto la neve.

“Warui no wa dare da...”
“Dare no sei de mo nai...”
“...Sayonara to tomo ni owaru dake na n da...”

“Di chi è la colpa?”
“Non è colpa di nessuno.”
“È solo che finiremo, insieme con un addio...”



“L'anima, vedi, è una cosa timida e riservata. Si nasconde in luoghi bui e non ama la luce solare. E così, se non tieni il lucernario sempre aperto, l'anima marcirà. Si decompone facilmente, come un riccio di mare fresco.”
(Yukio Mishima)


Shibu Onsen, 2022. ©Chihiro Matsumoto
Shibu Onsen, 2022. ©Chihiro Matsumoto


Di grande ispirazione è stato il libro “The Vanished – The “evaporated people” of Japan in stories and photographs” di Léna Mauger and Stéphane Remael (Skyhorse Publishing, 2016)
Un grazie speciale per questa storia va a Chihiro Matsumoto
che mi ha concesso di usare le sue fotografie di Shibu Onsen che sono state d'ispirazione per me e mi ha aiutato in alcune informazioni sulla città.
E anche un grazie a Reiko S. per l'uso di una sua fotografia.
IG: Chihiro Matsumoto
IG: Reikos.vn
Fondamentali per entrare nel “mood” della città anche i Virtual Japan video su YouTube. 
Post Scriptum:
Il nome di Yoko è un omaggio a Yoko, l'amata moglie di Nobuyoshi Araki morta di tumore.
YOASOBI, “Ayase (Probably)”


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