“Il tetto si è bruciato:
Shibu Onsen. ©Chihiro Matsumoto |
Mi chiamo Yoko, e amo la neve.
Ciò che mi piace di più è il contrasto tra il rumore gracchiante – come
di foglie secche – della scarpa che affonda nelle neve fresca e il suono
ovattato dei fiocchi che si frangono sull'ombrello.
Preferisco di gran lunga il secondo.
Nel silenzio della sera, nelle vie vuote, oltre lo sciacquio dello
scorrere del fiume Yokoyugawa, c'è solo il flebile sfarinarsi della neve.
A volte trattengo il respiro per ascoltare solamente quel suono.
Con il naso all'insù, sotto il cono dei lampioni, adoro osservare tutti
quei batuffoli bianchi passare dall'oscurità della notte alla luce elettrica,
volando senza mai toccarsi, per poi tornare a sparire nel nero fino a poggiarsi
sulle ringhiere, al suolo, sui rami degli alberi.
Sono proprio come me.
Mi ci rivedo in una delle migliaia di fiocchi che dalla luce del
lampione oltrepassa il limite e scompare nell'oscurità della notte.
Anche io sono caduta nella notte, in questa piccola prefettura termale, quasi casualmente, senza rumore alcuno.
Shibu Onsen. ©Chihiro Matsumoto |
Percorro ogni sera strade diverse per arrivare a casa.
Mi sembra di essere l'unica abitante di questo luogo in inverno.
Ognuno preferisce stare al caldo delle proprie abitazioni a dicembre,
nel freddo dei 4° e della neve che non cessa mai di cadere per mesi. Oppure in
uno dei nove sotoyu*, con l'acqua calda e fumante fino al naso e alle
orecchie, più simili a pietre che ad esseri umani.
Nei mesi estivi c'è più movimento: turisti e uomini d'affari che
vengono da Tokyo e da altre grandi città a sciogliere lo stress nei bagni
pubblici. Le piccole stradine acciottolate, con le pietre arancioni o grigie,
risuonano del ticchettio dei geta*, e i SUV bianchi sono parcheggiati ai
piedi dei ryokan*, con quel miscuglio bizzarro di moderno ed antico che
è il segno di Shibu Onsen.
Io prediligo di gran lunga i mesi invernali.
Il silenzio e la neve.
Dove tutto è bianco, soffice, silenzioso.
Anche le gocce che cadono dalle punte argentate delle stalattiti
verticali dai tetti e dalle verande non emettono nessun suono.
Tutto scompare senza voce.
Fonte: Virtual Japan (YouTube) |
Mi chiamo Yoko e ho 34 anni.
Per molti io sono una yonige*. O una johatsu*, una
“evaporata”.
Ed è effettivamente ciò che sono.
Senza il bisogno di contattare una delle tante “Nighttime Movers Companies”,
un pomeriggio ho messo un po' di vestiti e qualche libro in valigia, ho preso
il treno e dopo tre ore sono scesa all'ultima fermata Dentetsu-Nagano, alla
stazione di Yudanaka, da là ho preso un bus locale e con 210 yen di biglietto e
cinque minuti ho lasciato tutta la mia vita alle spalle.
Proprio come vedevo fare in quello show di fine anni Novanta, il
“Flight by Night”.
Non so neanche perché ho scelto proprio Nagano; forse perché da piccola
mia nonna mi raccontava che amava andare nei bagni termali, dopo aver assistito
al Nagano Gion Festival*, nel tempio di Zenko-ji, e pregato per la sua salute;
mi raccontava di quel silenzio, dei ciliegi a marzo e della neve nei mesi
invernali. Ancora aveva i nove francobolli dei sotayu di Shibu Onsen.
Perciò quando ero triste, nell'appartamento di Tokyo, mi immaginavo
camminare tra quelle vie con uno yukata* bianco e i geta di
nonna.
Per fortuna lei è morta prima che io scegliessi di scomparire.
Ormai raramente torno a Tokyo, non c'è più nessuna ragione.
Se mi sposto scelgo la natura, il tempio di Zenko-ji, il “Parco delle
scimmie delle nevi”, a soli dieci minuti di bus da Shibu Onsen.
E comunque dalla stazione preferisco camminare venti minuti a piedi
piuttosto che prendere il bus.
Qualcuno, qui, crede che io sia allergica alle persone.
Non è vero.
Il pomeriggio mi piace mangiare il ramen in un locale che dà sulla
strada, dai cui vetri è possibile vedere il ponte che attraversa il fiume.
Il vapore caldo del ramen imbianca il vetro e tutto si appanna, mentre
il giorno cede il posto alla sera e le forme definite diventano macchie umide
di colore. Alle cinque è già notte, a dicembre – il blu tinge le viuzze
verticali che le gocce lasciano sul vetro.
Mi ricorda sempre quel film di quel regista polacco, non mi viene mai
il nome, dove ogni cosa era blu. Poi esplodevano dilanianti quegli archi
drammatici e voci femminili con un canto etereo.*
Io credo che ognuno ha la colonna sonora che si merita.
Non c'è nessuna tragedia nella mia vita; ma solo questa canzonetta pop
che saltella con il suo ritmo dalla televisione del ristorante.
“Warui no wa dare da...”
Proprio buffo: “Di chi è la colpa?”
“Dare no sei de mo nai...”
E già, non è colpa di nessuno.
Ecco che mi ritrovo a tamburellare le dita sul legno del tavolo con la
testa dondolante seguendo il ritmo come un'adolescente.
Ma quale sinfonia d'archi e lacrime blu!
“...Sayonara to tomo ni owaru dake na n da...”
“È solo che finiremo, insieme con un addio...”
Si, si, che buffa canzone.
Proprio buono questo ramen...
Shibu Onsen. ©Chihiro Matsumoto |
Mi chiamo Yoko e ho tradito mio marito.
Per questo un giorno ho abbandonato la casa in cui vivevo e mi sono
ritrovata ad aspettare di finire questa esistenza a Shibu Onsen.
Per essere corretti lui mi ha tradito prima. Forse perché non sono
riuscita a dargli un figlio.
Dopo i primi anni felici di matrimonio è subentrata la frustrazione.
Il nostro appartamento che, all'inizio, ci sembrava grande e
accogliente per i bambini che sarebbero arrivati divenne poi troppo ampio e in
due la solitudine si moltiplica come in una sala di specchi.
Mio marito non ha voluto fare le analisi per sapere se fosse lui la
causa: ha solamente iniziato ad accusarmi di essere io quella sterile.
Non è stato difficile scoprire i suoi tradimenti.
Ormai è impossibile nascondersi le cose: tutto è sui nostri telefoni.
Non ne ho fatto un dramma.
Anzi, quasi lo compativo.
Però alla fine l'ho tradito anche io.
Se mi chiedessero la ragione non saprei cosa rispondere.
Forse l'ho tradito per una questione di simmetria.
Io amo la simmetria: le bacchette sul tavolo, le pantofole, l'amore e
l'odio...
Come la fontana di bambù dei giardini in cui l'acqua che scorre e cade
nella vasca fa oscillare, in modo perpetuo, una parte e l'altra il bambù, con
quel suono meraviglioso. Tok...Tok...
È stato un tradimento senza passione, senza sentimento.
Un semplice bilanciamento della nostra vita matrimoniale.
Forse saremmo anche riusciti a tirare avanti le nostre vite fino alla
vecchiaia e lui, magari mi avrebbe anche portato in giro sulla schiena come
quella vecchia fotografia di Takeyoshi Tanuma del 1955 che mio padre aveva
incorniciato in casa, quando ero bambina.
Dicevo che magari saremmo anche riusciti a tirare avanti le nostre
vite. Ognuno con le sue maschere.
Ma ho preferito ficcare le mie cose in una valigia e scomparire.
Come fanno in molti.
Per avere una seconda opportunità prima che la stanchezza mi fiaccasse.
O prima che, una mattina, fossi io a svegliarmi in un letto vuoto per
sempre. Senza un messaggio.
Alla fine, credo, di essere stata semplicemente più veloce.
“Uomo che porta sua moglie”. Asakusa, Tokyo, 1955. ©Takeyoshi Tanuma |
CONTINUA...
*Sotoyu, sono i bagni pubblici termali. In Shibu Onsen ce ne sono nove.
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