Yoko e la neve – Prima Parte


“Il tetto si è bruciato:
ora
posso vedere la luna.”
(Mizuta Masahide, 1657 – 1723)

Shibu Onsen. ©Chihiro Matsumoto

Mi chiamo Yoko, e amo la neve.

Ciò che mi piace di più è il contrasto tra il rumore gracchiante – come di foglie secche – della scarpa che affonda nelle neve fresca e il suono ovattato dei fiocchi che si frangono sull'ombrello.

Preferisco di gran lunga il secondo.

Nel silenzio della sera, nelle vie vuote, oltre lo sciacquio dello scorrere del fiume Yokoyugawa, c'è solo il flebile sfarinarsi della neve.

A volte trattengo il respiro per ascoltare solamente quel suono.

Con il naso all'insù, sotto il cono dei lampioni, adoro osservare tutti quei batuffoli bianchi passare dall'oscurità della notte alla luce elettrica, volando senza mai toccarsi, per poi tornare a sparire nel nero fino a poggiarsi sulle ringhiere, al suolo, sui rami degli alberi.

Sono proprio come me.

Mi ci rivedo in una delle migliaia di fiocchi che dalla luce del lampione oltrepassa il limite e scompare nell'oscurità della notte.

Anche io sono caduta nella notte, in questa piccola prefettura termale, quasi casualmente, senza rumore alcuno. 


Shibu Onsen. ©Chihiro Matsumoto



Percorro ogni sera strade diverse per arrivare a casa.

Mi sembra di essere l'unica abitante di questo luogo in inverno.

Ognuno preferisce stare al caldo delle proprie abitazioni a dicembre, nel freddo dei 4° e della neve che non cessa mai di cadere per mesi. Oppure in uno dei nove sotoyu*, con l'acqua calda e fumante fino al naso e alle orecchie, più simili a pietre che ad esseri umani.

Nei mesi estivi c'è più movimento: turisti e uomini d'affari che vengono da Tokyo e da altre grandi città a sciogliere lo stress nei bagni pubblici. Le piccole stradine acciottolate, con le pietre arancioni o grigie, risuonano del ticchettio dei geta*, e i SUV bianchi sono parcheggiati ai piedi dei ryokan*, con quel miscuglio bizzarro di moderno ed antico che è il segno di Shibu Onsen.

Io prediligo di gran lunga i mesi invernali.

Il silenzio e la neve.

Dove tutto è bianco, soffice, silenzioso.

Anche le gocce che cadono dalle punte argentate delle stalattiti verticali dai tetti e dalle verande non emettono nessun suono.

Tutto scompare senza voce.

 

Fonte: Virtual Japan (YouTube)

Mi chiamo Yoko e ho 34 anni.

Per molti io sono una yonige*. O una johatsu*, una “evaporata”.

Ed è effettivamente ciò che sono.

Senza il bisogno di contattare una delle tante “Nighttime Movers Companies”, un pomeriggio ho messo un po' di vestiti e qualche libro in valigia, ho preso il treno e dopo tre ore sono scesa all'ultima fermata Dentetsu-Nagano, alla stazione di Yudanaka, da là ho preso un bus locale e con 210 yen di biglietto e cinque minuti ho lasciato tutta la mia vita alle spalle.

Proprio come vedevo fare in quello show di fine anni Novanta, il “Flight by Night”.

Non so neanche perché ho scelto proprio Nagano; forse perché da piccola mia nonna mi raccontava che amava andare nei bagni termali, dopo aver assistito al Nagano Gion Festival*, nel tempio di Zenko-ji, e pregato per la sua salute; mi raccontava di quel silenzio, dei ciliegi a marzo e della neve nei mesi invernali. Ancora aveva i nove francobolli dei sotayu di Shibu Onsen.

Perciò quando ero triste, nell'appartamento di Tokyo, mi immaginavo camminare tra quelle vie con uno yukata* bianco e i geta di nonna.

Per fortuna lei è morta prima che io scegliessi di scomparire.



Ormai raramente torno a Tokyo, non c'è più nessuna ragione.

Se mi sposto scelgo la natura, il tempio di Zenko-ji, il “Parco delle scimmie delle nevi”, a soli dieci minuti di bus da Shibu Onsen.

E comunque dalla stazione preferisco camminare venti minuti a piedi piuttosto che prendere il bus.

Qualcuno, qui, crede che io sia allergica alle persone.

Non è vero.

Il pomeriggio mi piace mangiare il ramen in un locale che dà sulla strada, dai cui vetri è possibile vedere il ponte che attraversa il fiume.

Il vapore caldo del ramen imbianca il vetro e tutto si appanna, mentre il giorno cede il posto alla sera e le forme definite diventano macchie umide di colore. Alle cinque è già notte, a dicembre – il blu tinge le viuzze verticali che le gocce lasciano sul vetro.

Mi ricorda sempre quel film di quel regista polacco, non mi viene mai il nome, dove ogni cosa era blu. Poi esplodevano dilanianti quegli archi drammatici e voci femminili con un canto etereo.*

Io credo che ognuno ha la colonna sonora che si merita.

Non c'è nessuna tragedia nella mia vita; ma solo questa canzonetta pop che saltella con il suo ritmo dalla televisione del ristorante.

“Warui no wa dare da...”

Proprio buffo: “Di chi è la colpa?”

“Dare no sei de mo nai...”

E già, non è colpa di nessuno.

Ecco che mi ritrovo a tamburellare le dita sul legno del tavolo con la testa dondolante seguendo il ritmo come un'adolescente.

Ma quale sinfonia d'archi e lacrime blu!

“...Sayonara to tomo ni owaru dake na n da...”

“È solo che finiremo, insieme con un addio...”

Si, si, che buffa canzone.

Proprio buono questo ramen...

 

Shibu Onsen. ©Chihiro Matsumoto




Mi chiamo Yoko e ho tradito mio marito.

Per questo un giorno ho abbandonato la casa in cui vivevo e mi sono ritrovata ad aspettare di finire questa esistenza a Shibu Onsen.

Per essere corretti lui mi ha tradito prima. Forse perché non sono riuscita a dargli un figlio.

Dopo i primi anni felici di matrimonio è subentrata la frustrazione.

Il nostro appartamento che, all'inizio, ci sembrava grande e accogliente per i bambini che sarebbero arrivati divenne poi troppo ampio e in due la solitudine si moltiplica come in una sala di specchi.

Mio marito non ha voluto fare le analisi per sapere se fosse lui la causa: ha solamente iniziato ad accusarmi di essere io quella sterile.

Non è stato difficile scoprire i suoi tradimenti.

Ormai è impossibile nascondersi le cose: tutto è sui nostri telefoni.

Non ne ho fatto un dramma.

Anzi, quasi lo compativo.

Però alla fine l'ho tradito anche io.

Se mi chiedessero la ragione non saprei cosa rispondere.

Forse l'ho tradito per una questione di simmetria.

Io amo la simmetria: le bacchette sul tavolo, le pantofole, l'amore e l'odio...

Come la fontana di bambù dei giardini in cui l'acqua che scorre e cade nella vasca fa oscillare, in modo perpetuo, una parte e l'altra il bambù, con quel suono meraviglioso. Tok...Tok...

È stato un tradimento senza passione, senza sentimento.

Un semplice bilanciamento della nostra vita matrimoniale.

Forse saremmo anche riusciti a tirare avanti le nostre vite fino alla vecchiaia e lui, magari mi avrebbe anche portato in giro sulla schiena come quella vecchia fotografia di Takeyoshi Tanuma del 1955 che mio padre aveva incorniciato in casa, quando ero bambina.

Dicevo che magari saremmo anche riusciti a tirare avanti le nostre vite. Ognuno con le sue maschere.

Ma ho preferito ficcare le mie cose in una valigia e scomparire.

Come fanno in molti.

Per avere una seconda opportunità prima che la stanchezza mi fiaccasse.

O prima che, una mattina, fossi io a svegliarmi in un letto vuoto per sempre. Senza un messaggio.

Alla fine, credo, di essere stata semplicemente più veloce.

Senza lacrime, senza rimpianti.

 

“Man carrying his wife”. Asakusa, Tokyo, 1955. ©Takeyoshi Tanuma
“Uomo che porta sua moglie”. Asakusa, Tokyo, 1955. ©Takeyoshi Tanuma

CONTINUA...




*Sotoyu, sono i bagni pubblici termali. In Shibu Onsen ce ne sono nove.
*Geta sono i sandali in legno tradizionali.
*Ryokan sono le locande in stile giapponese vecchie anche di 400 anni.
*Yonige è un termine giapponese formato da yo (notte) e nige (fuggire), con cui si intende una fuga discreta verso la sparizione.
*Jouhatsu (giapponese:蒸発: Jōhatsu, lett. “evaporazione”) o johatsu  si riferisce alle persone che in Giappone, ogni anno, quasi centomila scompaiono di proposito dalle loro vite stabilite senza lasciare traccia.
*La festa di Gion è una celebrazione in cui le persone dedicano le loro preghiere per calmare il dio delle tempeste. Ha una lunga storia, originata dal santuario Yasaka a Kyoto intorno al X secolo. I rituali del festival di Gion sono ampiamente diffusi in Giappone e il Nagano Gion Festival (ながの祇園祭) è uno dei più grandi. Il festival si svolge la seconda domenica di luglio di ogni anno al tempio Zenko-ji e dura l'intera giornata dalle 8:00 alle 17:00. Il festival si compone generalmente di vari eventi e spettacoli tradizionali, oltre a numerosi stand gastronomici e gallerie. La parte principale del festival è “Yatai-Jyungo”, che significa “un grande tour al tempio”. Lo Yatai-Jyungo è un carnevale in stile tradizionale giapponese con lunghe file di vagoni allestiti e decorati dalle comunità locali, con esibizioni di geisha sul vagone che ballano in sintonia con strumenti giapponesi. Ogni veicolo viene trascinato lungo la strada dalla forza umana fino al Tempio Zenko-ji, dove le persone dedicano i loro desideri agli dei per la pace e la buona salute.
*Yukata è il kimono leggero.
*Il film è “Tre colori – Film blu” (1993) di Krzysztof Kieslowski.


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