Tre donne eccezionali dell'India (più una) – Seconda Parte


“La società indiana purtroppo è stratificata:
il patriarcato è il sudario che soffoca l'intera nazione,
ma i fili sottostanti di casta e religione sono ugualmente opprimenti.”
(Tishani Doshi)

Savitribai Jyotirao Phule


La società indiana è in continua evoluzione, anche se la sua vastità rende il suo progredire frammentato e con differenti tempi.

Di certo, il sistema delle caste non è di aiuto alla sua evoluzione, checché ne pensasse positivamente Gandhi.

Il sistema delle caste di origine vedica di circa tremila anni fa viene comunemente fatto risalire al dio creatore Brahma. Dalle parti del suo corpo deriverebbero le caste: dalla sua bocca vengono i brahmini, la casta dei sacerdoti e intellettuali, dalle braccia i kshatriya, i guerrieri, i nobili e i governatori, dalla pancia i vaisya, gli agricoltori e mercanti, e dai piedi i sudra, i mezzadri e i servi. Infine ci sono i dalit, che sarebbero nati dalla polvere dei suoi piedi, che sono i fuori casta, gli spazzini e i pulitori di latrine. Anche se poi nella realtà le caste sarebbero più di tremila.

In un suo saggio la scrittrice e attivista indiana Arundhati Roy cita Bhimrao Ramji Ambekdar tra le sue maggiori influenze e ispirazioni. Lo scrittore indiano si è sempre battuto contro il sistema della caste, e citano come esempio la terribile vicenda di Surekha Bhotmange, una donna dalit che non ha avuto la stessa fortuna di Malala. Surekha era una donna dalit che ha tentato in ogni modo di vivere una vita decente con la sua famiglia, coltivando la terra, ma che fece una fine terribile fomentata dall'odio della comunità che viveva intorno a lei e che la odiava in quanto “essere inferiore”.

Anche se la società moderna sta cercando di sradicare questo antico sistema profondamente razzista, anche usando termini diversi, che vanno dall'antico “intoccabili” al più moderato “dalit” (“persona spezzata”) fino a “casta svantaggiata”. Ma il risultato non cambia, come riporta la Roy: “Secondo il National Crime Records Bureau, ogni 16 minuti viene commesso un crimine contro un dalit a opera di un non dalit; ogni giorno più di quattro donne intoccabili vengono stuprate da esponenti di caste “superiori”; ogni settimana 13 dalit vengono uccisi e rapiti. Nel solo 2012, l'anno dello stupro di massa e della strage di Delhi, 1547 donne dalit hanno subito violenza e 651 dalit sono stati assassinati. E queste cifre rendono conto solo degli stupri e dei massacri. Non delle persone che vengono spogliate e fatte sfilare nude, di quelle costrette a ingoiare merda (letteralmente), dell'appropriazione di terreni, dell'ostracismo sociale, delle restrizioni nell'accesso all'acqua potabile.”

Le loro lotte sociali per avere maggiore dignità vengono sempre viste come un'infrazione della pace secolare che è immutabile dagli albori della società induista; sono perciò sempre di più gli induisti dalit che si convertono ad altre religioni come il buddismo proprio per sfuggire ad una vita di infamie e soprusi. Anche se oggi alcuni dalit sono riusciti addirittura a ricoprire cariche politiche in parlamento o a diventare uomini o donne d'affari, il sistema delle caste permane e viene anche esportato dagli induisti che vivono in altri paesi.



Savitribai Jyotirao Phule è stata un'importante riformatrice sociale, educatrice e poetessa indiana che ha svolto un ruolo fondamentale nell'educazione e nell'emancipazione delle donne durante il diciannovesimo secolo. Nata nel gennaio del 1831 nel Maharashtra, Savitribai è considerata un'icona della casta Dalit Mang insieme proprio a B. R. Ambedkar o Annabhau Sathe.

La sua vita è incredibile e merita di essere raccontata.

“Uccelli, animali, scimmie, anche gli esseri umani,
Tutti passano attraverso la vita e la morte
Ma se non acquisisci alcuna conoscenza in merito,
Come puoi allora essere chiamato un essere umano?”
(Savitribai Jyotirao Phule)

Savitribai Phule nacque il 3 gennaio 1831 nel villaggio di Naigaon nel distretto di Satara, nel Maharashtra. Savitribai Phule era la figlia più giovane di Lakshmi e Khandoji Nevase Patil, entrambi appartenenti alla comunità del Mali. Aveva tre fratelli. Savitribai fu data in sposa al marito  Jyotirao Phule all'età di 9 o 10 anni, mentre lui aveva 13 anni. Savitribai e Jyotirao non ebbero figli ma, nel 1874, adottarono un bambino da una vedova bramina chiamata Kashibai inviando così un forte messaggio alle persone progressiste della società. Il figlio adottivo, Yashavantrao, crescendo divenne un medico. Si dice che quando lui era in cerca di una moglie, nessuno era disposto a dargli una ragazza perché era nato da una vedova, quindi fu la madre ad organizzare il suo matrimonio con la figlia dell'operaia della sua organizzazione Dynoba Sasane nel febbraio del 1889.

Savitribai era analfabeta al momento del suo matrimonio, fu suo marito a darle un'istruzione. Si iscrisse anche a due programmi di formazione per insegnanti; il primo fu in un istituto gestito da una missionaria americana, Cynthia Farrar, ad Ahmednagar, e il secondo era in una scuola normale a Pune, la città vicina.

Dopo aver completato gli studi da insegnante, Savitribai Phule iniziò ad insegnare alle ragazze al Maharwada di Pune.

Savitribai è riconosciuta per essere stata colei che fondò la prima scuola femminile a Pune, a Bhide Wada, con suo marito.

Insieme insegnarono a bambini di caste diverse riuscendo ad aprire un totale di 18 scuole, non solo, ma anche un centro di cura chiamato Balhatya Pratibandhak Griha (“Child-killing Prohibition Home”) per le vittime di stupro in gravidanza, aiutando anche le vittime a far nascere ed aiutare i loro figli.

Sfortunatamente, il successo di Savitribai e Jyotirao Phule suscitò molte resistenze da parte della comunità locale di forte stampo conservatore. Si narra che Savitribai si recava spesso nella sua scuola portando un sari in più per potersi cambiare perché ogni volta veniva assalita dalla gente in strada con lancio di pietre o di sterco e abusi verbali. Savitribai e Jyotirao Phule vivevano a casa del padre di Jyotirao. Tuttavia, nel 1839, il padre di Jyotirao chiese alla coppia di lasciare la sua casa perché il loro lavoro era considerato un peccato secondo il Manusmriti e i suoi testi brahmanici derivati.

Savitrabai non lottava solamente contro le differenze di caste e di genere ma ha anche compiuto grandi sforzi per educare ed emancipare le vedove bambine, fece una campagna contro i matrimoni precoci, sostenne il nuovo matrimonio delle vedove e l'abolizione dell'antico rito del sati pratha, l'usanza indù in cui la vedova del morto si immolava volontariamente sedendosi sulla sua pira funeraria. Sati pratha era inizialmente praticato principalmente da alcune famiglie reali Kshatriya, ma in seguito si diffuse ad altre caste.

Sati è un altro nome della dea Uma, la prima moglie del Signore Shiva. La parola Sati deriva dalla parola “Satya”, che significa Verità in sanscrito. Pertanto, la parola Sati significa “la donna che è veritiera” perché Sati è una parola femminile ed è una controparte della parola maschile Satya.

Il termine originale per la pratica era Sahamarana, che significa morire insieme. Sembra che la ragione principale di questa usanza fosse il non permettere alle vedove di risposarsi e, in una certa misura, l'eccessivo amore delle mogli verso i loro mariti, poiché sin dai tempi antichi, il matrimonio delle vedove è proibito nell'induismo.

A parte questo, si ritiene che la donna che si brucia sulla pira funeraria del marito raggiunga lo status di dea. Alcune persone credevano anche che quella donna avesse commesso dei peccati nella sua vita passata e l'essere rimasta vedova ne fosse una causa.



Savitribai e suo figlio adottivo, Yashwant, aprirono una clinica per curare le persone colpite dalla terza pandemia mondiale della peste bubbonica  nel 1897. La clinica fu aperta in una zona non contaminata dalla peste, ma questo non salvò Savitribai che morì di una morte eroica cercando di salvare il figlio di Pandurang Babaji Gaekwad: infatti, dopo aver appreso che il figlio di Gaekwad aveva contratto la peste nell'insediamento Mahar fuori Mundhwa, Savitribai Phule si precipitò a soccorrerlo portandolo sulla schiena in ospedale. Nel tragitto, Savitribai Phule prese la peste e morì il 10 marzo 1897.

 

Savitrabai fu un'ispirazione per le ragazze a cui ha insegnò negli anni, incoraggiandole a intraprendere attività come la scrittura e la pittura. Uno dei saggi scritti da una studentessa di Savitribai chiamata Mukta Salve divenne il volto del femminismo e della letteratura Dalit in quel periodo. Organizzava riunioni genitori-insegnanti a intervalli regolari per creare consapevolezza tra i genitori sul significato dell'istruzione in modo che mandassero regolarmente i propri figli a scuola.

Lavorò sempre con suo marito per sradicare l'usanza dell'intoccabilità e il sistema delle caste, ottenere uguali diritti per le persone delle caste inferiori e riformare la vita familiare indù. La coppia aprì un pozzo nella loro casa per gli intoccabili in un'epoca in cui l'ombra di un intoccabile era considerata impura e le persone erano riluttanti persino a offrire acqua agli intoccabili assetati.

Era anche associata alla una società chiamata “Satyashodhak Samaj” fondata da Jyotirao il 24 settembre 1873 a Pune. L'obiettivo del Samaj, che includeva musulmani, non brahmani, bramini e funzionari del governo come membri, era quello di liberare le donne, le sudra, i dalit e altre persone meno privilegiate dall'essere oppresse e sfruttate. Savitribai ha lavorato come capo nella sezione femminile e dopo la morte del marito il 28 novembre 1890, divenne la presidente del Samaj.



Per ultimo, va citata anche la sua carriera di scrittrice e poetessa.

Savitribai Phule pubblicò “Kavya Phule” nel 1854 e “Bavan Kashi Subodh Ratnakar” nel 1892, e anche una celebre poesia intitolata “Go, Get Education” in cui incoraggiava gli oppressi a raggiungere la loro libertà attravrso l'istruzione.

 

Per concludere e celebrare l'incredibile vita, opera e il coraggio di Savitrabai, riporto qui i versi della sua poesia più famosa, sull'educazione, ricordando ancora una volta che la sua era la voce di un'intoccabile.

“Sii autosufficiente, sii operoso
Lavora, raccogli saggezza e ricchezze,
Tutto si perde senza conoscenza
Diventiamo animali senza saggezza,
Non stare più inattivo, vai, istruisciti
Che finisca la miseria degli oppressi e degli abbandonati,
Hai un'occasione d'oro per imparare
Quindi impara e spezza le catene delle caste
Getta via velocemente le scritture del Brahman.”
(Savitribai Jyotirao Phule) 


Rokeya Sakhawat Hossain

L'ultima donna di cui vi voglio parlare è colei che è considerata una pioniera del femminismo e della liberazione delle donne nell'Asia meridionale.

Rokeya Khatun, conosciuta da tutti come Begum Rokeya, nacque nel 1880 da una famiglia musulmana bengalese nel villaggio di Pairaband, Rangpur, nella Presidenza del Bengala, l'antica agenzia dell'India britannica. I suoi antenati prestarono servizio nell'esercito e nella magistratura durante il regime Moghul. Suo padre, Zahiruddin Muhammad Abu Ali Haidar Saber, era uno zamindar e un intellettuale multilingue. Si sposò quattro volte; il suo matrimonio con Rahatunnessa Sabera Chaudhurani portò alla nascita di Rokeya, che aveva due sorelle e tre fratelli, uno dei quali morì durante l'infanzia. La sorella maggiore Karimunnesa voleva studiare il bengalese, la lingua della maggioranza dei bengalesi, contro il volere della sua famiglia che preferiva usare l'arabo e il persiano come mezzi di educazione e comunicazione. Ibrahim, suo fratello, insegnò inglese e bengalese  alle sue sorelle.

Rokeya sposò all'età di 18 anni, nel 1898, il 38enne Khan Bahadur Sakhawat Hossain dopo la morte della sua prima moglie. Come liberale, ha incoraggiato Rokeya a continuare a imparare il bengalese e l'inglese. La incoraggiò anche a scrivere e, su suo consiglio, adottò il bengalese come lingua principale per le sue opere letterarie.

Rokeya iniziò la sua carriera letteraria nel 1902 con un saggio bengalese intitolato “Pipasa” (sete). In seguito pubblicò i libri Matichur (1905) e Sultana's Dream (1908) prima che suo marito morisse nel 1909.

Cinque mesi dopo la morte del marito, Rokeya fondò una scuola superiore, chiamandola Sakhawat Memorial Girls' High School. Inizialmente si insediò a Bhagalpur, un'area tradizionalmente di lingua urdu, con cinque studenti, poi dopo una controversia con la famiglia di suo marito sulla proprietà, fu costretta a trasferire la scuola nel 1911 a Calcutta, dove si parlava la lingua bengalese: lei diresse la scuola per 24 anni.

Rokeya fu anche la fondatrice, nel 1916, dell'Anjuman-e-Khawateen-e-Islam (Associazione delle Donne Musulmane), attiva nello svolgimento di dibattiti e conferenze sulla condizione delle donne e sull'istruzione. Ha sostenuto la riforma, in particolare per le donne, e credeva che il campanilismo e l'eccessivo conservatorismo fossero i principali responsabili dello sviluppo relativamente lento dei musulmani nell'India britannica.



Rokeya riteneva che l'istruzione fosse la precondizione centrale della liberazione delle donne, istituendo la prima scuola rivolta principalmente alle ragazze musulmane a Calcutta. Si dice che andasse di casa in casa convincendo i genitori a mandare le loro ragazze nella sua scuola a Nisha. Fino alla sua morte, ha diretto la sua scuola nonostante le critiche e le ostilità della società.

Nel 1926, Rokeya presiedette la Conferenza sull'educazione delle donne del Bengala convocata a Calcutta, il primo tentativo significativo di riunire le donne a sostegno dei diritti delle donne all'istruzione. Fu impegnata in dibattiti e conferenze sull'avanzamento delle donne fino alla sua morte, avvenuta il 9 dicembre 1932, per problemi cardiaci, nel giorno del suo 52esimo compleanno.

Il 9 dicembre si celebra il Rokeya Day in Bangladesh. Il 9 dicembre 2017, Google ha festeggiato il suo 137° compleanno con un Google Doodle.

La tomba di Rokeya a Sodepur è stata riscoperta grazie agli sforzi dello storico Amalendu De. Si trova all'interno del campus della Panihati Girls' High School, Panihati, Sodepur.

La statua di Rokeya si trova nei locali della Rokeya Hall, all'Università di Dhaka

Rokeya è considerata la pioniera femminista del Bengala.



È un peccato, concludo, che in tante celebrazioni che si fanno nella comunità bengalese a Roma o in Italia, non venga mai ricordata con dovere la figura di questa donna. Io spero che il 9 dicembre possa essere un giorno speciale anche per la comunità bengalese della diaspora.

Qui si conclude questo breve viaggio tra le vite eccezionali di donne che hanno dato tanto all'arte, alla cultura, all'istruzione e all'emancipazione femminile e degli oppressi.

 

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