“La società indiana purtroppo è stratificata:
il patriarcato è il sudario che soffoca l'intera nazione,
ma i fili sottostanti di casta e religione sono ugualmente opprimenti.”
(Tishani Doshi)
Savitribai Jyotirao Phule |
La società indiana è in continua evoluzione, anche se la sua vastità
rende il suo progredire frammentato e con differenti tempi.
Di certo, il sistema delle caste non è di aiuto alla sua evoluzione,
checché ne pensasse positivamente Gandhi.
Il sistema delle caste di origine vedica di circa tremila anni fa viene
comunemente fatto risalire al dio creatore Brahma. Dalle parti del suo corpo
deriverebbero le caste: dalla sua bocca vengono i brahmini, la casta dei
sacerdoti e intellettuali, dalle braccia i kshatriya, i guerrieri, i
nobili e i governatori, dalla pancia i vaisya, gli agricoltori e
mercanti, e dai piedi i sudra, i mezzadri e i servi. Infine ci sono i dalit,
che sarebbero nati dalla polvere dei suoi piedi, che sono i fuori casta, gli
spazzini e i pulitori di latrine. Anche se poi nella realtà le caste sarebbero
più di tremila.
In un suo saggio la scrittrice e attivista indiana Arundhati Roy cita
Bhimrao Ramji Ambekdar tra le sue maggiori influenze e ispirazioni. Lo
scrittore indiano si è sempre battuto contro il sistema della caste, e citano
come esempio la terribile vicenda di Surekha Bhotmange, una donna dalit che non
ha avuto la stessa fortuna di Malala. Surekha era una donna dalit che ha
tentato in ogni modo di vivere una vita decente con la sua famiglia, coltivando
la terra, ma che fece una fine terribile fomentata dall'odio della comunità che
viveva intorno a lei e che la odiava in quanto “essere inferiore”.
Anche se la società moderna sta cercando di sradicare questo antico
sistema profondamente razzista, anche usando termini diversi, che vanno
dall'antico “intoccabili” al più moderato “dalit” (“persona spezzata”) fino a
“casta svantaggiata”. Ma il risultato non cambia, come riporta la Roy: “Secondo
il National Crime Records Bureau, ogni 16 minuti viene commesso un crimine
contro un dalit a opera di un non dalit; ogni giorno più di quattro donne intoccabili
vengono stuprate da esponenti di caste “superiori”; ogni settimana 13 dalit
vengono uccisi e rapiti. Nel solo 2012, l'anno dello stupro di massa e della
strage di Delhi, 1547 donne dalit hanno subito violenza e 651 dalit sono stati
assassinati. E queste cifre rendono conto solo degli stupri e dei massacri. Non
delle persone che vengono spogliate e fatte sfilare nude, di quelle costrette a
ingoiare merda (letteralmente), dell'appropriazione di terreni, dell'ostracismo
sociale, delle restrizioni nell'accesso all'acqua potabile.”
Le loro lotte sociali per avere maggiore dignità vengono sempre viste
come un'infrazione della pace secolare che è immutabile dagli albori della
società induista; sono perciò sempre di più gli induisti dalit che si
convertono ad altre religioni come il buddismo proprio per sfuggire ad una vita
di infamie e soprusi. Anche se oggi alcuni dalit sono riusciti addirittura a
ricoprire cariche politiche in parlamento o a diventare uomini o donne
d'affari, il sistema delle caste permane e viene anche esportato dagli induisti
che vivono in altri paesi.
Savitribai Jyotirao Phule è stata un'importante riformatrice sociale,
educatrice e poetessa indiana che ha svolto un ruolo fondamentale
nell'educazione e nell'emancipazione delle donne durante il diciannovesimo
secolo. Nata nel gennaio del 1831 nel Maharashtra, Savitribai è considerata
un'icona della casta Dalit Mang insieme proprio a B. R. Ambedkar o Annabhau
Sathe.
La sua vita è incredibile e merita di essere raccontata.
Savitribai Phule nacque il 3 gennaio 1831 nel villaggio di Naigaon nel
distretto di Satara, nel Maharashtra. Savitribai Phule era la figlia più
giovane di Lakshmi e Khandoji Nevase Patil, entrambi appartenenti alla comunità
del Mali. Aveva tre fratelli. Savitribai fu data in sposa al marito Jyotirao Phule all'età di 9 o 10 anni, mentre
lui aveva 13 anni. Savitribai e Jyotirao non ebbero figli ma, nel 1874,
adottarono un bambino da una vedova bramina chiamata Kashibai inviando così un
forte messaggio alle persone progressiste della società. Il figlio adottivo,
Yashavantrao, crescendo divenne un medico. Si dice che quando lui era in cerca
di una moglie, nessuno era disposto a dargli una ragazza perché era nato da una
vedova, quindi fu la madre ad organizzare il suo matrimonio con la figlia
dell'operaia della sua organizzazione Dynoba Sasane nel febbraio del 1889.
Savitribai era analfabeta al momento del suo matrimonio, fu suo marito
a darle un'istruzione. Si iscrisse anche a due programmi di formazione per
insegnanti; il primo fu in un istituto gestito da una missionaria americana,
Cynthia Farrar, ad Ahmednagar, e il secondo era in una scuola normale a Pune,
la città vicina.
Sfortunatamente, il successo di Savitribai e Jyotirao Phule suscitò
molte resistenze da parte della comunità locale di forte stampo conservatore.
Si narra che Savitribai si recava spesso nella sua scuola portando un sari in
più per potersi cambiare perché ogni volta veniva assalita dalla gente in
strada con lancio di pietre o di sterco e abusi verbali. Savitribai e Jyotirao
Phule vivevano a casa del padre di Jyotirao. Tuttavia, nel 1839, il padre di
Jyotirao chiese alla coppia di lasciare la sua casa perché il loro lavoro era
considerato un peccato secondo il Manusmriti e i suoi testi brahmanici
derivati.
Savitrabai non lottava solamente contro le differenze di caste e di genere
ma ha anche compiuto grandi sforzi per educare ed emancipare le vedove bambine,
fece una campagna contro i matrimoni precoci, sostenne il nuovo matrimonio
delle vedove e l'abolizione dell'antico rito del sati pratha, l'usanza
indù in cui la vedova del morto si immolava volontariamente sedendosi sulla sua
pira funeraria. Sati pratha era inizialmente praticato principalmente da alcune
famiglie reali Kshatriya, ma in seguito si diffuse ad altre caste.
Sati è un altro nome della dea Uma, la prima moglie del Signore Shiva.
La parola Sati deriva dalla parola “Satya”, che significa Verità in sanscrito.
Pertanto, la parola Sati significa “la donna che è veritiera” perché Sati è una
parola femminile ed è una controparte della parola maschile Satya.
Il termine originale per la pratica era Sahamarana, che significa
morire insieme. Sembra che la ragione principale di questa usanza fosse il non
permettere alle vedove di risposarsi e, in una certa misura, l'eccessivo amore
delle mogli verso i loro mariti, poiché sin dai tempi antichi, il matrimonio
delle vedove è proibito nell'induismo.
A parte questo, si ritiene che la donna che si brucia sulla pira
funeraria del marito raggiunga lo status di dea. Alcune persone credevano anche
che quella donna avesse commesso dei peccati nella sua vita passata e l'essere
rimasta vedova ne fosse una causa.
Savitribai e suo figlio adottivo, Yashwant, aprirono una clinica per
curare le persone colpite dalla terza pandemia mondiale della peste
bubbonica nel 1897. La clinica fu aperta
in una zona non contaminata dalla peste, ma questo non salvò Savitribai che
morì di una morte eroica cercando di salvare il figlio di Pandurang Babaji
Gaekwad: infatti, dopo aver appreso che il figlio di Gaekwad aveva contratto la
peste nell'insediamento Mahar fuori Mundhwa, Savitribai Phule si precipitò a
soccorrerlo portandolo sulla schiena in ospedale. Nel tragitto, Savitribai
Phule prese la peste e morì il 10 marzo 1897.
Savitrabai fu un'ispirazione per le ragazze a cui ha insegnò negli
anni, incoraggiandole a intraprendere attività come la scrittura e la pittura.
Uno dei saggi scritti da una studentessa di Savitribai chiamata Mukta Salve
divenne il volto del femminismo e della letteratura Dalit in quel periodo.
Organizzava riunioni genitori-insegnanti a intervalli regolari per creare
consapevolezza tra i genitori sul significato dell'istruzione in modo che
mandassero regolarmente i propri figli a scuola.
Lavorò sempre con suo marito per sradicare l'usanza dell'intoccabilità
e il sistema delle caste, ottenere uguali diritti per le persone delle caste
inferiori e riformare la vita familiare indù. La coppia aprì un pozzo nella
loro casa per gli intoccabili in un'epoca in cui l'ombra di un intoccabile era
considerata impura e le persone erano riluttanti persino a offrire acqua agli
intoccabili assetati.
Era anche associata alla una società chiamata “Satyashodhak Samaj”
fondata da Jyotirao il 24 settembre 1873 a Pune. L'obiettivo del Samaj, che
includeva musulmani, non brahmani, bramini e funzionari del governo come
membri, era quello di liberare le donne, le sudra, i dalit e altre persone meno
privilegiate dall'essere oppresse e sfruttate. Savitribai ha lavorato come capo
nella sezione femminile e dopo la morte del marito il 28 novembre 1890, divenne
la presidente del Samaj.
Per ultimo, va citata anche la sua carriera di scrittrice e poetessa.
Savitribai Phule pubblicò “Kavya Phule” nel 1854 e “Bavan Kashi Subodh
Ratnakar” nel 1892, e anche una celebre poesia intitolata “Go, Get Education”
in cui incoraggiava gli oppressi a raggiungere la loro libertà attravrso
l'istruzione.
Per concludere e celebrare l'incredibile vita, opera e il coraggio di Savitrabai, riporto qui i versi della sua poesia più famosa, sull'educazione, ricordando ancora una volta che la sua era la voce di un'intoccabile.
Rokeya Sakhawat Hossain |
L'ultima donna di cui vi voglio parlare è colei che è considerata una
pioniera del femminismo e della liberazione delle donne nell'Asia meridionale.
Rokeya Khatun, conosciuta da tutti come Begum Rokeya, nacque nel 1880 da
una famiglia musulmana bengalese nel villaggio di Pairaband, Rangpur, nella Presidenza
del Bengala, l'antica agenzia dell'India britannica. I suoi antenati prestarono
servizio nell'esercito e nella magistratura durante il regime Moghul. Suo
padre, Zahiruddin Muhammad Abu Ali Haidar Saber, era uno zamindar e un
intellettuale multilingue. Si sposò quattro volte; il suo matrimonio con
Rahatunnessa Sabera Chaudhurani portò alla nascita di Rokeya, che aveva due
sorelle e tre fratelli, uno dei quali morì durante l'infanzia. La sorella
maggiore Karimunnesa voleva studiare il bengalese, la lingua della maggioranza
dei bengalesi, contro il volere della sua famiglia che preferiva usare l'arabo
e il persiano come mezzi di educazione e comunicazione. Ibrahim, suo fratello,
insegnò inglese e bengalese alle sue
sorelle.
Rokeya sposò all'età di 18 anni, nel 1898, il 38enne Khan Bahadur
Sakhawat Hossain dopo la morte della sua prima moglie. Come liberale, ha
incoraggiato Rokeya a continuare a imparare il bengalese e l'inglese. La
incoraggiò anche a scrivere e, su suo consiglio, adottò il bengalese come
lingua principale per le sue opere letterarie.
Rokeya iniziò la sua carriera letteraria nel 1902 con un saggio
bengalese intitolato “Pipasa” (sete). In seguito pubblicò i libri Matichur
(1905) e Sultana's Dream (1908) prima che suo marito morisse nel 1909.
Cinque mesi dopo la morte del marito, Rokeya fondò una scuola
superiore, chiamandola Sakhawat Memorial Girls' High School. Inizialmente si
insediò a Bhagalpur, un'area tradizionalmente di lingua urdu, con cinque
studenti, poi dopo una controversia con la famiglia di suo marito sulla
proprietà, fu costretta a trasferire la scuola nel 1911 a Calcutta, dove si
parlava la lingua bengalese: lei diresse la scuola per 24 anni.
Rokeya fu anche la fondatrice, nel 1916,
dell'Anjuman-e-Khawateen-e-Islam (Associazione delle Donne Musulmane), attiva
nello svolgimento di dibattiti e conferenze sulla condizione delle donne e
sull'istruzione. Ha sostenuto la riforma, in particolare per le donne, e
credeva che il campanilismo e l'eccessivo conservatorismo fossero i principali
responsabili dello sviluppo relativamente lento dei musulmani nell'India
britannica.
Rokeya riteneva che l'istruzione fosse la precondizione centrale della
liberazione delle donne, istituendo la prima scuola rivolta principalmente alle
ragazze musulmane a Calcutta. Si dice che andasse di casa in casa convincendo i
genitori a mandare le loro ragazze nella sua scuola a Nisha. Fino alla sua
morte, ha diretto la sua scuola nonostante le critiche e le ostilità della
società.
Nel 1926, Rokeya presiedette la Conferenza sull'educazione delle donne
del Bengala convocata a Calcutta, il primo tentativo significativo di riunire
le donne a sostegno dei diritti delle donne all'istruzione. Fu impegnata in
dibattiti e conferenze sull'avanzamento delle donne fino alla sua morte,
avvenuta il 9 dicembre 1932, per problemi cardiaci, nel giorno del suo 52esimo
compleanno.
Il 9 dicembre si celebra il Rokeya Day in Bangladesh. Il 9 dicembre
2017, Google ha festeggiato il suo 137° compleanno con un Google Doodle.
La tomba di Rokeya a Sodepur è stata riscoperta grazie agli sforzi
dello storico Amalendu De. Si trova all'interno del campus della Panihati
Girls' High School, Panihati, Sodepur.
La statua di Rokeya si trova nei locali della Rokeya Hall,
all'Università di Dhaka
Rokeya è considerata la pioniera femminista del Bengala.
È un peccato, concludo, che in tante celebrazioni che si fanno nella comunità bengalese a Roma o in Italia, non venga mai ricordata con dovere la figura di questa donna. Io spero che il 9 dicembre possa essere un giorno speciale anche per la comunità bengalese della diaspora.
Qui si conclude questo breve viaggio tra le vite eccezionali di donne
che hanno dato tanto all'arte, alla cultura, all'istruzione e all'emancipazione
femminile e degli oppressi.
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