“Danza malese”, c.1915 |
Come scritto nella prima parte, Malacca fu un luogo simbolico per la
rappresentazione figurativa della Malesia; si narra che il primo disegno di una
spiaggia con le sue palme, in Malacca, fu fatta da un marinaio europeo.
Malacca e Penang furono i primi luoghi in cui l'arte arrivò per prima,
grazie al loro ruolo strategico di porti e traffici internazionali.
Io ci sono stato per pochi giorni ma ho gradito la sua atmosfera di
kampung, più delle architetture tipicamente europee della città – ovviamente,
da europeo.
Prima della creazione del Sultanato di Malacca la regione era una
semplice comunità di pescatori, abitata da popolazioni indigene. Il Sultanato
venne fondato secondo le cronache dal principe Parameswara, un nobile
originario del regno di Srivijaya costretto ad andare in esilio a Sumatra a
seguito dell'invasione da parte del regno di Majapahit nel 1377. Giunto nella
regione Parameswara trovò una baia adatta per costruire un porto facilmente
accessibile in tutte le stagioni e strategicamente posizionato in un punto
facilmente raggiungibile dallo stretto di Malacca. Nel 1414 Parameswara si
convertì all'Islam ed accolse un'ingente comunità di cinesi provenienti in gran
parte dalle flotte imperiali e mercantili.
Nell'aprile 1511 Alfonso de Albuquerque salpò da Goa a Malacca con una
forza di circa 1200 uomini e diciassette o diciotto navi. Conquistata la città
nel 24 agosto 1511, Afonso de Albuquerque risparmiò gli abitanti indù, cinesi e
birmani, facendo però massacrare gli abitanti musulmani o vendendoli come
schiavi.
Era palese che il controllo portoghese di Malacca non significava altro
che il controllo del commercio asiatico.
Linguisticamente, Malacca fu anche il porto in cui affluirono le parole
spagnole che fanno ancora parte della lingua malese, aumentando il bagaglio di
questa lingua multiforme.
Eccola in una fotografia dei primi del Novecento.
Un carro di buoi si dirige verso il ponte di Malacca dalla piazza della città con la Chiesa di Cristo (a sinistra), la Torre dell'Orologio (al centro) e lo Stadthuys Behind, ca.1906. |
E in una mia immagine recente.
Malacca, 2019 |
Non si può non parlare della capitale, Kuala Lumpur.
In questo caso la scelta della fotografia è datata dalla mia esperienza
in quella città, in cui sono stato molte volte.
Sono molti gli amici fotografi che conosco nella capitale, quasi tutti
amano la Street Photography. Io li seguo spesso, e mi faceva sorridere come
ogni loro uscita, mese dopo mese, si risolvesse quasi sempre in Petaling
Street, famosa per il suo mercato vintage sulla strada.
Kuala Lumpur è ormai una città ultra moderna, ma che sa ancora offrire
angoli magici e poetici, come il bellissimo Kampung Baru, un pezzo della
vecchia Malesia tradizionale proprio ai piedi delle Torri Gemelle.
Però questa rimane la meta principale dei fotografi di Kuala Lumpur.
Ecco come si mostrava in una delle primissime foto nel 1890.
“Fin dall'inizio, il commercio si è sempre concentrato sulla sponda
orientale del fiume Klang, nelle strade che formavano Chinatown. Nella
ristrutturazione di Kuala Lumpur iniziata nel 1880, il centro un tempo “pestilenziale”
di capanne di fango è stato trasformato in file di botteghe di mattoni – alcune
delle quali ancora sopravvivono – fronteggiate da strade di cinque piedi per
tenere i pedoni lontani dalle strade.
Petaling Street, 1890s |
Ed ecco come si presenta oggi con il suo famoso e affollatissimo
mercatino che vende qualsiasi cosa, ogni ora della settimana che che vede nel
fine settimana un grande numero di persone da renderlo il luogo perfetto per la
Street Photography.
La Monte Carlo del Duemila, più piccola del passato ma ancora con il
suo alone libertino e selvaggio.
Petaling Street Market, 2017 |
Dalla capitale voliamo verso uno degli stati che più amo: Kelantan. Assai ho scritto su
questa regione e il suo celebre mercato. Kelantan rimane per me la terra delle emozioni forti,
ruvida e colorata. Là ho tra i ricordi più belli ma anche quelli più tristi.
Di certo, se dovessi associare Kelantan a qualcosa sarebbero le Donne.
Nonostante esso siano uno degli stati a più forte carattere islamico,
il potere e la forza delle donne è in ogni angolo. Le donne hanno iniziato fin
dallo scorso secolo a vendere nei mercati. Pare che tutto ebbe inizio
quando l'economia tradizionale fu aggravata da molte tasse, soprattutto sui
beni alimentari e il cocco.
Molti degli abitanti locali furono costretti a vendere le loro terre e
finirono pieni di debiti; allora iniziarono a lavorare nelle piantagioni di
gomma, ma i prezzi altalenanti dovuti alle guerre interne e alla Grande
Depressione non consentiva una facile sopravvivenza.
Le prime cartoline e fotografie della Costa Orientale della Malesia
rappresentano spesso le donne intente a vendere nei mercati, o
nell'abbigliamento. Mentre gli uomini di Kelantan e Terengganu avevano il lavoro in
mare per sostenere le famiglie, le donne erano costrette al lavoro nelle città,
per potere incrementare lo stipendio.
Mercato lungo la strada a Kelantan, anni '20 |
Ancora oggi Kota Bharu è il luogo simbolico, grazie al celebre mercato Siti Khadijah, del potere e la forza femminile, sia a livello sociologico, antropologico, storico e anche figurativo.
Pasar Siti Khadijah. Kota Bharu, 2019. |
Per ultime mi lascio alcune storie dietro le fotografie. Puntando più su l'aspetto culturale che su quello geografico.
Iniziamo dalla gomma.
Laddove lo stagno dominò l'economia nel Diciannovesimo secolo cambiando la demografia della nazione con il grande afflusso di minatori cinesi, il Ventesimo secolo fu caratterizzato dal boom della gomma, con l'arrivo dei lavoratori dal Sud dell'India.
La rapida crescita dell'industria americana dell'automobile nella fine
del 1800 incrementò anche la richiesta di gomma. Nel 1910 la Malesia era già la
nazione prima come produzione di gomma nel mondo.
Enormi porzioni di foresta vergine furono rase al suolo per
implementare le nuove piantagioni più redditizie, mutando per sempre l'aspetto
naturale della Malesia.
Raccoglitori di gomma malesi al lavoro su alberi di 12-13 anni, 1906 circa |
Andando verso il confine con la Thailandia, a Perlis, mi sono imbattuto
nelle raccoglitrici di gomma thailandesi.
Mi fermai a parlare con loro. Ogni mattina attraversavano il confine,
illegalmente, per lavorare l'intera giornata su centinaia di alberi, con il
volto bruciato dal sole, per poi tornare in Thailandia la notte, e ricominciare
da capo il giorno dopo.
Raccoglitrice di gomma thailandese. Padang Besar, Perlis, 2017 |
Parte della bellezza della Malesia è dovuta – come in tutti gli altri
paesi asiatici – anche alla sua varietà etnica. Io non ho potuto incontrare i
gruppi etnici tribali, né visitare l'intera Malesia e me ne rammarico.
Tra i luoghi che rimpiango di non aver visto c'è Sarawak, forse lo
stato più etnico dell'intera nazione, al punto che è necessario un ulteriore
permesso per visitarlo.
In contrasto con la Penisola colonizzata, in cui vi era un
incoraggiamento nei confronti della popolazione locale ad occidentalizzarsi, in
Sarawak James Brooke e i suoi successori furono determinati nel preservare lo
stile di vita tradizionale.
Le abitudini indigene furono riconosciute, anche se quelle considerate
“incivili” furono abolite, come la schiavitù e i cacciatori di teste.
Molti degli ufficiali coloniali in Sarawak erano antropologi e ci
furono svariati studi condotti sulla popolazione indigena. Charles Hose divise
la popolazione del Borneo in 20 categorie con numerose sottocategorie,
scattando molte fotografie dei vari gruppi etnici: Dayak, Iban, Bidayuh,
Bakatan e Long Pokun.
In alcune di queste fotografie le donne vengono ritratte mentre cuciono
i propri abiti in modo tradizionale.
Una donna Dayak che fila per la tessitura, 1905 circa |
Tenun Songket. Balik Pulau, Penang, 2019 |
Danza tradizionale di Sarawak.
“Malam Bumi Kenyalang 2019”. Sarawak Cultural Night - Dance Competition. USM, Penang, 2019 |
Parlando di gruppi tribali non posso non accennare agli Orang Asli, di
cui ho già scritto in questo Blog. In questo caso ho avuto la fortuna e il
piacere di avere visitato il loro kampung in due regioni diverse, a Perak e
Johor.
Loro per me rimangono il cuore ancestrale dell'anima malese.
Jahut Orang Asli at Sungai Kiol, Pahang, 1960s |
Come molti gruppi etnici, anche gli Orang Asli vivono una lotta
interiore ed esteriore sulla spinta verso la modernità e l'attaccamento ad uno
stile di vita ancora primitivo e originale. In alcuni casi loro vivono in una
terra-di-mezzo mentale, in case e con uno stile di vita ancora tradizionale ma
in villaggi già più vicini alle città e con abiti occidentali come jeans e
magliette. Io mi auguro che possano sempre mantenere vivo lo spirito originario
(asli) della loto natura e identità.
Bambina Orang Asli nel suo villaggio. Kampung Yum, Pos Yum. Sungai Siput, Perak, 2019 |
Non solo le etnie locali sono presenti, ma come detto molte volte, la
Malesia è un coacervo di razze e culture.
I commercianti indiani hanno frequentato i porti della Malesia per
secoli, ma non furono rilevanti fino alla fine del Novecento. Gli indiani sepoys
(soldati), così come i detenuti che lavorarono nella costruzione di George
Town, furono portati in Penang da Francis Light. L'industria dello zucchero
utilizzo molti lavoratori indiani, ma fu con il boom della gomma – come abbiamo
visto – che il numero di indiani schizzò superando i milioni di abitanti.
Hindu festivals, 1900 circa |
Thiruvila festival. Gelugor, Penang, 2019 |
Per concludere, un po' di storia.
Gli anni Cinquanta sono ricordati con il nome di Emergency.
Sono relativi alla guerriglia comunista portata avanti dal celebre
comandante Chin Peng, dalla jungla, tra i protagonisti della guerra contro i
giapponesi a fianco degli inglesi.
Kedah fu il luogo del trattato tra il Malayan Communist Party (MCP) di
Peng e l'Alleanza. Era il 28 dicembre del 1955.
Il patto di fine delle ostilità non andò a buon fine, perché Peng
chiese di essere riconosciuti come partito, cosa che l'Alleanza non accettò, ma
che costrinse il generale Peng a tornare prima nella foresta e poi a fuggire in
esilio in Beijing.
L'Emergency si chiuse ufficialmente il 1 agosto del 1960, con oltre
11.000 vittime. Solamente nel 1989 l'MPC e il governo della Malesia e della
Thailandia siglarono la pace definitiva. Dopo 41 anni.
Si narra che durante l'Emergenza, villaggi e città che erano prossimi
alle “Black Areas”, le zone sotto il controllo del partito comunista, furono
abbandonate dagli abitanti.
Fu solo nel 1958, quando il MLRA – il partito comunista malese – fu
sciolto e bandito dalla nazione da parte del governo, e la guerra considerata
conclusa, che gli abitanti poterono fare ritorno nei propri villaggi di
origine.
Fu un momento molto toccante: intere famiglie e nuove generazioni
tornavano ad abitare delle vere e proprie città fantasma, dopo dieci anni.
Lo “Straits Times” fotografò, tra il 1958 e il '59, il ritorno dei
residenti (mudik) nella black area di Jenderam, in Selangor: l'unico
edificio ancora in piedi in “Kampung Hantu” (Ghost Town) fu la moschea.
Recuperando il tempo perduto al caffè. Jenderam, Selangor, January 19, 1959. |
Questo è uno dei momenti che è possibile vedere in ogni angolo della
Malesia. Mi piace accostarlo a questo brano di storia.
Coffee time. Kampung Kedai Buloh, Kelantan, 2019 |
Prima di fermarci per questo nostro lungo viaggio, vorrei spedire a voi
l'ultima cartolina dal passato. È impossibile mostrarvi tutte le meravigliose
fotografie di questo libro, e di storie come queste ce ne sarebbero ancora a
centinaia.
Questa l'ho trovata molto simpatica. Di solito si immaginano gli
elefanti in Thailandia e nei paesi limitrofi, Laos, Vietnam, Cambogia.
“Anche se a quel tempo c'erano già le automobili in Malesia, gli elefanti erano ancora usati come mezzi di trasporto nei primi decenni del XX secolo a Perak” |
Ovviamente, non mi chiedete fotografie di elefanti in giro per Ipoh.
Io spero che questo viaggio tra miglia e secoli vi abbia scaldato il cuore. Io sono un forte sostenitore del passato, un nostalgico. Ma è il passato che ci porta ad apprezzare meglio ciò che abbiamo oggi. E, forse, a potere costruire un futuro che non dimentichi mai la sua origine.
L'acqua del fiume che arriva al mare non dimentica mai di essere acqua. Da dolce diventa salata, ma è della stessa sostanza delle sue prime gocce. Così dovrebbero essere i cammini delle nazioni.
Per questo io scrivo...Wendy Khadijah Moore: “Malaysia – A
Pictorial History 1400-2004” (EDM, 2013)
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