Sulla Scrittura

 


Jorge Luis Borges
Jorge Luis Borges


Ogni pagina che aggiungi al quaderno in cui scrivi
è una che togli ai segreti della tua anima. 

Ora che sono giunto al primo capolinea dei miei racconti sull'Asia mi piace scrivere due righe di riflessione.

Non fosse altro per la coincidenza che, pochi giorni fa, il 24 agosto è stato il 112 anniversario del compleanno di Jorge Luis Borges, uno dei miti letterari della mia vita, fin dai primi anni in cui divoravo pagine. E anche, credo, per tutti coloro che amano leggere.

Borges rimane un personaggio leggendario, che divenne cieco a forza di consumarsi gli occhi sulle pagine lette e scritte.

Era il 1941, nel Mar del Plata, quando scrisse uno dei suoi racconti più famosi, quella “Biblioteca di Babele”, in cui immaginava il mondo intero come un'immensa Biblioteca che esiste ab aeterno, a figura dell'eternità del mondo e in cui l'uomo è un imperfetto bibliotecario.

Non è semplice addentrarsi nella mente filosofica e nello stile alto dello scrittore argentino, ma una volta letta una pagina non lo si abbandona mai più.

 

Io ho creduto a lungo nel potere della parola scritta, poi ci fu un vuoto ed è venuta la Fotografia a colmare quel silenzio.

Mi sono stupito, io per primo, del piacere che mi ha dato inventare queste storie, un piacere che avevo dimenticato.

L'invenzione, appunto.

La Fotografia è una profonda passione in cui ho trovato la via migliore per esprimere i miei sentimenti, soprattutto grazie al colore.

Non è poi così lontana la Fotografia dalla scrittura, e non solo per un fattore etimologico – non a caso esiste lo story-telling.

Ma, ammetto, che in questo sono sempre stato carente.

Per me la Fotografia rimane un atto unico e irripetibile.

Tutto si risolve in quell’istante in cui il diaframma si apre e fagocita il mondo per poi richiudersi e calare di nuovo nella totale oscurità.

Non riuscirei mai a scattare senza il suono dell'otturatore, perché mi ricorda ogni volta che quel cancello si apre e si chiude e tutto non è più come prima.

 

Ma tutto ciò è il mondo reale con cui mi relaziono e ne cerco la forma, il colore, la composizione, il sentimento.

La scrittura invece è pura invenzione. Ogni cosa è creata da me.

Ma se con la Fotografia provo a scrivere i miei sentimenti, con la scrittura cerco di far vedere la mia fantasia.

Tutti coloro che hanno letto i miei racconti hanno concordato sul carattere visivo del mio stile, e ne sono felice.

Del resto è inevitabile, sono e sarò sempre un fotografo, e chi lo è non cessa un attimo di esserlo: anche quando cammina, mangia o sta seduto davanti al mare.

Non è la macchina fotografica che ci rende fotografi ma la voglia e l'abilità, più o meno, di vedere in un certo modo.

Io penso che ognuno di noi immagina fotografica continuamente; che poi è uno dei doni più grandi che ci è dato dalla Fotografia: dare un senso a ciò che vediamo, un ordine, una bellezza.

Come diceva il filosofo Merleau-Ponty, “la visione è la presenza immediata la mondo”, nella nostra percezione si realizza il miracolo del visibile e dell'invisibile.

Le finzioni (come il titolo di una delle raccolte di racconti brevi più celebri di Borges) della scrittura sono invece la porta aperta al mio inconscio; proprio nel modo in cui nascono, dopo giorni e giorni in cui penso e ripenso agli incastri della storia e raccolgo informazioni, per poi quasi vomitare sulla pagina, parola dopo parola, l'intera storia dall'inizio all'ultima frase.

È affascinante.

Per questo amo i dettagli, come fossero fotografie, per rendere reali quei filamenti di inconscio.

Io non ho segreti particolari né sono un genio della scrittura, però quando mi chiedono consigli cerco sempre di puntare l'attenzione sulla sensualità della storia, intesa come la capacità di utilizzare ogni senso possibile.

È come quando si dice che in una buona foto di un mercato dovresti riuscire a sentore gli odori, il brusio della gente, la tattilità delle superfici.

Sono convinto che un buon racconto dovrebbe fare lo stesso: chi legge deve poter “vedere”, “sentire” i suoni, “toccare” con la propria mano.

Una sorta di terza dimensione della parola come fu la prospettiva per la pittura.

Questo è il piacere più grande che mi procura la scrittura di racconti inventati, a differenza di articoli o saggi.

Queste mie poche righe voglio solo pagare il rispetto che si deve alla scrittura perché, come ogni forma di arte, con essa noi ci raccontiamo al mondo, nella speranza di essere compresi ed amati.

Ma questo lo ha espresso in modo sublime il caro Borges in una della sue poesie per me più belle: “L'arte poetica”.

“A volte nelle sere una faccia
ci guarda dal fondo di uno specchio;
l'arte deve essere come quello specchio
che ci rivela la nostra propria faccia.”

E ora rimango in attesa. Vediamo dove porta la corrente; di certo non voglio scendere dalla barca. Scrivere ancora, guardando nello specchio chi sono io.... nel bene e nel male.



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