Sulla Meraviglia

“Il dono di un fotografo per lo spettatore è talvolta la bellezza nell'ordinario trascurato.”
(Saul Leiter)

 

George TownPenang, 10 Novembre 2018

 

La Fotografia insegna la meraviglia, come guardare il mondo con occhi diversi. Ci fu un famoso poeta italiano, Giovanni Pascoli, che nel 1987 – riprendendo un mito platonico – teorizzò, a proposito della poesia, di come ognuno di noi dovesse mantenere vivo in sé “il Fanciullino”, per mantenersi in contatto con il mondo attraverso l'immaginazione e la sensibilità e che ci consente, in età adulta, di stupirci ancora.

Perché crescere significa perdere quell'attitudine che hanno i bambini, per cui  ogni cosa è nuova e degna di meraviglia. Poi si cresce, ci sono i figli a cui pensare, il mutuo della casa da pagare, le bollette, i litigi, le incomprensioni, i lutti, e il verde smeraldo delle foglie diventa piano piano rosso, poi dorato e poi si secca e cade.

Ma che vita è una vita che è degna di essere vissuta solo a metà, o solo nel suo inizio?

Ogni istante merita uno sguardo nuovo.

Perché come insegnavano i greci antichi noi siamo impermalenti, non duriamo, ma siamo di passaggio e ogni attimo è diverso dall'altro, è una epifania, una nascita. E non ha senso preoccuparsi della morte, perché quando ci siamo noi non c'è lei, e quando c'è la morte non ci siamo noi, come diceva il filosofo greco Epicuro. Perciò, alla fine, non è un nostro problema.

 

Mentre spetta a noi aprire gli occhi, godere della banalità, rendere inconsueto il consueto. Io ci provo, appena posso. La Fotografia mi ha aiutato moltissimo, perché la macchina fotografica è una griglia, è una cornice.

Se c'è una cosa che mi provoca un grande fastidio è scartare la carta regalo, trovare una bella cornice fotografica con una fotografia di esempio all'interno; mi sembra un sopruso. La prima cosa che faccio è togliere quella carta stampata con volti sorridenti che non conosco; meglio tenere una cornice vuota per sempre che una con una fotografia che non ho scelto io. Noi siamo le nostre scelte.

E quando tu fai una fotografia tu hai una grande responsabilità verso te stesso, perché stai facendo una scelta. Di tutto il mondo che è davanti a te, tu scegli cosa fare entrare nel rettangolo del mirino.

Alla capacità di scegliere si unisce lo stupore di vedere e il piacere di farlo.

 


Le pareti sono, in questo, una mia grande fonte d'ispirazione. Non è che prima avessi mai avuto questa inclinazione, è iniziata quando ho vissuto in Malesia, non so perché, come se là i colori delle pareti, le muffe, avessero un altro linguaggio: le trovavo pareti molto poetiche.

Capitava spesso che mi trovassi, per la strada, osservato in modo strano dalla gente che mi vedeva fissare le mura o i tronchi degli alberi.

Ma questo è appunto il “fanciullino”, il bambino non si cura del giudizio dei grandi, come diceva il Piccolo Principe è una noia spiegare ogni volta le cose agli adulti.

 


Ed ecco che una mattina, durante una camminata fotografica con un mio amico, a George Town, mi portò a vedere il rudere di una casa abbandonata all'interno dell' area della Moschea Aceh.

Era una casa molto antica, completamente diroccata, in cui la vegetazione aveva iniziato a mangiare le pareti, creando un intreccio di pietra e vita.

Quella che fu l'abitazione viva di qualcuno era ormai completamente defunta, ma la vegetazione e gli alberi che crescevano al suo interno le stavano donando una nuova forma di esistenza.

E i loro colori erano incredibili.

 


Il mio amico mi lasciò là dentro come in un parco delle meraviglie, intento a guardare.

Non è possibile spiegare nel suo significato più profondo, a chi non ha mai veramente guardato, quanto sia piacevole e misterioso questo atto così semplice. Non a caso il simbolo della massoneria è il simbolo dell'occhio nella piramide. Abbandonarsi ai nostri occhi e lasciare che le cose, le forme, i sogni, si dispieghino davanti a noi.

Bel termine spiegare, ha due significati: distendere e decifrare, delucidare; la realtà che si spiega ai nostri occhi.



Io non so che cosa susciterà in voi vedere queste fotografie, che sembrano essere come quadri di arte contemporanea, espressionista e astratta, o come i lavori di Alberto Burri.

Sono solamente pareti di una casa abbandonata, ma guardati con tutta la meraviglia del bambino che è in me e, mi auguro, anche in voi.


“Chi vuole afferrare l'invisibile,
deve penetrare fin nel viscere del visibile”
(Max Beckmann)

 

Giovanni Pascoli: “Il Fanciullino” (Feltrinelli, 1992)
Jostein Gaarder: “Il Mondo di Sofia” (Longanesi, 1994)

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