Kalimandir. Rome, 7 November 2021 |
Il 7 novembre ho partecipato, su invito delle mie amiche dello Sri
Lanka, ad una pooja (la preghiera induista) che non avevo mai visto.
È stata l'occasione, anche, per tornare dopo quasi dieci anni – era il
2012 l'ultima volta che ci sono stato – al tempio induista Kalimandir, che si
trova a Casal Lumbroso, lontano dal caos della grande metropoli.
Il tempio è nella tenuta di proprietà di Yogi Krishnanath e la sua
compagnia Gori Nath, che l'hanno aperta nel 1974 dopo aver vissuto per decenni
in India, seguendo gli insegnamenti del guru Govinda Nath.
Immerso nel verde, con un piccolo tempio dedicato a Kali e uno, sotto
il livello del suolo, dedicato a Durga, questo è stato il perfetto scenario per
questa pooja che doveva già essere stata eseguita nei mesi precedenti, ma che
per le restrizioni sanitarie che tutti noi conosciamo ha avuto luogo in questo
giorno.
La pooja si chiama Salangai Pooja, ed è stata organizzata e performata
dalla Chanchala Bulathwatta Academy Of Art, una scuola di danza tradizionale
con bambine dello Sri Lanka che danzano sia le danze classiche della tradizione
del proprio paese che quelle indiane. Tra di loro c'è anche la figlia della mia
cara amica Bianca Dilrukshi che conosco dal 2010: è grazie a lei e
all'insegnante Chachala che ho avuto occasione di assistere a questa splendida
pooja.
Perché splendida? Credo che il suo fascino sia l'aspetto legato, non
solo all'arte, ma anche quello emotivo.
Innanzitutto cosa significa Salangai? Non è altro che il nome
della cavigliera con i campanelli, chiamata anche ghungroo, che si usa
nella danza classica Bharatanatyam, una tra le più affascinanti – a mio avviso
– tra tutte le danze indiane.
Con il neologismo Bharatanatyam si intende un'arte neo-classica
composita avente come elementi che la costituiscono la danza, l'arte
drammatica, la musica, la rima e il ritmo costruiti su dei principi formulati
nel “Natya Sastra” di Bharata Muni (santo venerato nel sistema di pensiero
indiano). Per secoli le Devadasi, sacerdotesse-danzatrici dedicate sin
dall'infanzia ad una divinità, hanno contribuito al culto quotidiano con la
danza Dasi-Attam o Sadir, poiché, secondo i testi sacri, nessun’offerta,
nessuna preghiera è più gradita agli Dèi. Il “Bharata Natyam”, neologismo
creato nel secolo scorso, indica la ricodificazione di quella danza liturgica
risalente alla fine del XIX secolo. È pertanto da considerare una danza neo-classica,
che contempla non solo la danza, ma anche il teatro e la musica.
Non a caso al pooja ha avuto luogo davanti l'immagine di Naṭarāja, ovvero di Shiva, anche chiamato il Signore della Danza, o il Dio danzante; questa è l'immagine più popolare, e corrisponde alla danza detta nādānta, quella che secondo tradizione Shiva effettuò a Chidambaram (o Tillai), nella foresta di Tāragam per difendersi dai ṝṣi seguaci del Mīmāṃsā e dal nano che questi avevano creato per assalirlo.
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Così mi spiega il significato profondo di questa pooja Chanchala:
“Mentre ogni forma d'arte provvede ad un immenso apprendimento a sé
stante, sia per lo studente che per il pubblico, una danza classica lo porta a
un livello completamente diverso. Parlando dello stile Bharatanatyam dell'India
meridionale, c'è veramente un grande patrimonio
culturale, un sistema di valori racchiuso in questa forma di danza: ogni
movimento, ogni sequenza, ogni battito è sovraccaricato di grazia, bellezza e
ammirazione non solo del Signore ma di ogni discendente animato.
La Salangai pooja viene eseguita quando gli studenti completano uno
studio formale del Bharatanatyam o quando iniziano a imparare il
Bharathanatyam.
Gli studenti possono indossare formalmente la cavigliera ed eseguire
gli spettacoli di danza sul palco. L'usanza ha un grande significato perché
senza performare la Salangai puja obbligatoria nessuno studente di danza
classica può avere il diritto di indossare le cavigliere.
L'energia positiva dell'intera classe è data dalla benedizione del dio Nataraja, e dunque il guru o insegnante di danza può legare il Salangai intorno alle caviglie del suo studente e lo benedice. Dopo di questo gli studenti ricevono anche la benedizione dai loro genitori, solo allora possono esibirsi davanti a tutti.”
Queste sono le mie fotografie che provano a raccontare la lunga
giornata.
Per me è stata molto interessante, perché mi ha mostrato un lato
differente delle varie preghiere induiste che ho visto – va detto che questa è
celebrata per lo più nel Tamil Nadu, nel sud dell'India, mentre io seguo
principalmente l'induismo Hare Krishna del West Bengali, il nord dell'India e
il Bangladesh.
È tato un toccante intreccio di arte, danza e amore famigliare.
Come mi ha detto Bianca, va messo in evidenza e ammirato l'impegno e
amore con cui le famiglie delle studentesse le aiutano e incoraggiano: senza di
loro non sarebbe stato possibile la realizzazione di questa giornata.
Vedere un figlio genuflesso ai piedi di un genitore fa sempre un certo
effetto. Mi ha ricordato quando, il mese scorso, durante il Durga Pooja, un mio
amico mi ha chiesto di fotografarlo inginocchiato ai piedi di suo padre e sua
madre in piedi.
Alla fine, credo che questa preghiera sia un bel modo plastico di
vedere la devozione a dio che si incarna poi nella propria insegnante e nei
genitori, come un filo di fumo d'incenso che dalla punta rossa infuocata arriva
alle narici di noi esseri umani e diventa parte di noi, incarnandosi.
Spero che tutto questo sia possibile leggerlo nelle mie poche immagini.
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