“Fortunatamente, da qualche parte
in modo casuale e misterioso spunta la fantasia,
unica garante della nostra libertà.”
(Luis Bunuel)
Il Romanticismo è stato una corrente che ha infiammato ogni forma
d'arte nell'Ottocento, dalla letteratura alla musica, dalla poesia alla
pittura.
Uno dei temi affrontati dai Romantici fu quello del rapporto con la
natura, con la sua potenza distruttrice, capace di ricordare a noi uomini la
nostra piccolezza davanti alla sua bellezza capace di abbagliare come di
terrorizzare per la minacciosa forza delle sue intemperie.
Il termine per definire tutto questo era “sublime”: ciò che ci
fa impietrire e toglie il respiro per la meraviglia ed il terrore. William
Turner (1775 – 1851) ha dipinto mole tempeste di mare e tifoni, tormente, cieli
cupi e spaventosi, sempre con colori dominati da tinte scure.
La stessa sensazione che si ha nel vedere i paesaggi incredibili
fotografati da Michael Kenna, sempre in bianco e nero e privi di ogni presenza
umana. Il fotografo, nato in Inghilterra nel 1953, non ha mai smesso di girare
il mondo alla ricerca dei paesaggi più belli che raccontano come se la sua
macchina fotografica fosse quel pennello a cui rinunciò da giovane per iniziare
la carriera di fotografo.
Ancora una volta l'occhio del fotografo coincide con quello che fu del
pittore.
Se il Romanticismo fu una corrente artistica vicina all'anima e al sentimento, l'Impressionismo cambiò il modo di vedere e di approcciarsi alla pittura, al suo gesto fisico.
Monet, Manet, Degas, Renoir, iniziarono un discorso diverso con la luce
ed il tempo; i loro dipinti sembravano veramente essere delle fotografie:
istanti rubati al tempo, colpi immediati di pennello per fermare la luce che
mutava ad ogni trascorrere dei minuti.
È noto come il termine Impressionismo fu dato dai giornalisti parigini,
in senso dispregiativo, alla prima mostra collettiva del 1874 in cui furono
esposte 165 opere, con tutti gli esponenti più importanti di questo genere
pittorico, tra cui Renoir, celebre per i le sue line morbide, rotonde, i colori
delicati e i sorrisi sempre dolci.
A questi artisti si è sempre ispirato Saul Leiter, come abbiamo già
visto a proposito del suo libro: la bellezza dei suoi colori e il taglio delle
sue immagini dimostrano la stessa sensibilità di quei giovani visionari che
rivoluzionarono per sempre il modo di vedere il mondo, e che daranno il via
alla pittura contemporanea ed astratta.
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Preso il termine dal greco Aristotele, che significa appunto oltre (meta)
la fisica, la corrente pittorica del Novecento, cha ha avuto in Giorgio De
Chirico (1888 – 1978) il suo più celebre esponente, era strettamente legato al
mondo interiore e agli studi di Psicoanalisi che diventavano sempre più
importanti in quegli anni.
Le famose “piazze metafisiche” di De Chirico sono spesso usate come
metafora per le situazioni surreali di vuoto, in cui l'aria sembra rarefatta,
opprimente, e dove l'essere umano è solo una piccola presenza o un'ombra lunga
sul suolo.
Mai come in questi mesi di reclusione per l'infezione, le piazze
storiche delle nostre città, solitamente affollate, hanno ricordato quelle
dipinte dal pittore italiano.
Quando un artista entra in modo così prepotente nel nostro immaginario
visivo sino a diventare un aggettivo di certe atmosfere, non è difficile
ritrovarlo in molte fotografie. Come questa di Franco Fontana, conosciuto più
per i suoi paesaggi a pattern cromatici che ricordano più Mondrian di De
Chirico, ma quando appare l'essere umano nelle sue fotografie allora
l'atmosfera diventa magicamente metafisica.
Lo stesso vale anche per alcune fotografie di Herbert List.
Herbert List “Monumento reale velato” (1937) |
Hopper, nato in una città dello Stato di New York nel 1882, ha lasciato
un'eredità visiva di cui molto fotografi e registi cinematografici si sono
nutriti (Wim Wenders su tutti).
Con i suoi colori acidi e freddi l'artista americano ha messo in scena
la solitudine, l'incomunicabilità, il vuoto emotivo. I volti delle persone nei
suoi dipinti sembrano maschere, sono rigide e abbacinate dalla luce che è
sempre accuratamente studiata in Hopper, che a proposito scrive:
“Forse non sono molto umano. Il mio obiettivo è semplicemente quello di
dipingere la luce su una parete.”
Molte volte è stato accusato di non essere un bravo pittore, di qualità
scadente, ma a lui interessa altro,
interessa indagare quello che è stato chiamato il “realismo del subconscio”. Il
suo stile ha ispirato moltissimi fotografi, e in alcuni casi la somiglianza
emotiva e tonale è impressionante, come nel fotografo americano William
Eggleston (1939).
Edward Hopper “Sole mattutino” (1952) |
William Eggleston “Senza titolo” (1969\70) |
Ma, per dire, mi è capitato recentemente di comprare un libro di racconti di Carver, famoso per il suo stile essenziale con cui racconta la feroce banalità della provincia americana, e l'illustrazione della copertina è un classico omaggio ad Hopper.
Siamo giunti alla conclusione del nostro viaggio visivo, con l'esempio
più devastante di gemellaggio estetico ed emotivo tra pittura e fotografia.
Quello tra Francis Bacon e Antoine D'Agata.
Il pittore irlandese fu un ribelle fin da ragazzo, e crescendo
alternerà la pittura ad una vita dedicata al vizio: gioco d'azzardo, alcool,
droghe.
Il suo espressionismo esasperato cade nel secondo dopoguerra, dal 1945
in avanti. Mentre va di moda l'astrattismo, Bacon ancora lavora sull'immagine,
o meglio su brandelli d'immagine, spesso anche con immagini fotografiche.
All'origine di molti suoi quadri non c'è una figura reale bensì un fotogramma
ricavato da un film, dalle fotografie on un quadro famoso del passato.
Ciò che conta, per lui, alla partenza, non è la realtà in sé stessa
quanto l'intensa emozione, disturbante.
Come un pugno sul naso.
Bacon viene descritto comunemente come il pittore che più di ogni altro
è riuscito a rappresentare il terrore, l'orrore e l'angoscia del nostro tempo.
A chi lo accusava che i suoi dipinti erano troppo violenti, lui
rispondeva: “È la vita che è violenta.”
Lo stesso vale per Antoine D'Agata, di cui però mi riservo di parlare
in futuro, perché merita un discorso a parte.
Osservare le sue fotografie significa scendere negli inferi della
psiche.
Un giovane punk che perse un occhio durante gli scontri con la polizia,
e poi una vita segnata dall'uso di ogni tipo di droga pesante e dalla
frequentazione con prostitute, anche malate di AIDS, a cui dedicherà film e
molti scatti.
I corpi mossi, deformi, nell'oscurità totale, sono un mix letale tra la
luce di Caravaggio e l'orrore di Bacon.
Ma in cui non esiste nessuna redenzione, o salvezza.
L'Inferno è solamente l'Inferno.
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