Note sul saggio di David Levi Strauss: Credenza e Immagine


Stefano Romano. Rome, aprile 2021

“Il vero mistero del mondo è il visibile.”
(Oscar Wilde, “Il ritratto di Dorian Gray”)

In un piccolo saggio, uscito due anni fa, il poeta e critico David Levi Strauss riflette sui motivi che ci spingono a credere alle immagini fotografiche.

Il libro è di poche pagine e scritto in modo semplice ma il tema che affronta è per me assolutamente affascinante.

Voglio, perciò, condividere con voi il piacere che ho provato nel leggerlo.

Anche perché sono sempre stato interessato, da fotografo, all'aspetto della fede e di come essa si declini nelle varie religioni e in chi le professa.

Ho più volte citato, in queste pagine, gli scritti di Scianna, Barthes, Mormorio, Fontcuberta sull'aspetto filosofico della fotografia; non potevo dunque non essere attirato da un libro che si intitola: “Perché crediamo alle immagini fotografiche.”



Il cuore della tesi di Levi Strauss è racchiuso nelle poche righe riportate nel retro del libro:

“Come la storia insegna, le credenze non sompaiano, piuttosto vengono proiettate su oggetti differenti: non crediamo più negli dèi o negli eroi, ma nelle celebrità; non crediamo più alla magia, ma alla tecnologia. Non crediamo più alla realtà, ma alle immagini.” (D. Levi strauss)

Il breve saggio inizia con l'analisi della nota formula “Vedere per credere”: credere e le immagini condividono la stessa natura poiché l'atto del credere è già un'immagine, ed entrambi si fondano sulla memoria, vista, amore e sulla volontà.

“Memoria, poiché ricordiamo soprattutto attraverso le immagini e crediamo a ciò che ricordiamo (non sempre a nostro vantaggio). Vista, poiché “finché non vediamo non crediamo”. E amore, poiché l'atto di credere e quello di amare germogliano dallo stesso seme.” (D. Levi Strauss)

 

Noi decidiamo – qui è la volontà – di credere in qualcosa, di accettarla come verità.

Come rivela l'analisi del proverbio “vedere per credere”, la cui prima apparizione sembra essere nel 1609 in un manoscritto di S. Herward, in cui è riportato come “Seeing is leeving.”

Leeving significa amare, nella sua radice indoeuropea leubh, e nell'antico inglese leof, oggi lief, che significa “caro”, “amato”.

“Credere vuol dire avere a cuore. Credere è amare.” Scrive Levi Strauss.

Da qui lo stretto legame tra l'atto del credere, l'immagine vista e l'amore.



Nel cammino storico fatto dalle grandi religioni monoteiste questo legame diventa ancora più profondo e problematico.

Perché Gesù Cristo era l'immagine di Dio, così come il primo uomo fu fatto a immagine divina. I teologi cristiani del IV secolo usavano la parola  immagine come termine cristologico, appunto come Cristo che era immagine del suo padre divino. Ecco perché, per esempio, nell'Islam è proibita ogni forma di raffigurazione non solo di Dio, ma anche degli uomini; di certo rimane una paura atavica di trasferire l'adorazione di Dio dalla sua entità sovrannaturale a quella riprodotta nell'immagine. Inoltre, poiché solo Dio può creare l'uomo, le sue umane creature non possono arrogarsi il diritto di fare lo stesso con le loro immagini.

Da qui la pessima considerazione che ha la fotografia in alcuni ambienti islamici.

 

Il saggio prosegue analizzando le varie interpretazione della fotografia fatte nei secoli scorsi, da Barthes a Walter Benjamin. Soprattutto il delicato rapporto tra l'immagine e il suo legame con ciò che rappresenta, il suo valore di fedeltà, che cambia da autore a autore.

Ma di questo si è già scritto molto.

Tema sempre affascinante.

Che la fotografia non sia solo un'indice della realtà rappresentata ma che ne sia una sublimazione simbolica l'ho sperimentato con i miei occhi, e ne ho scritto qui a proposito del ritratto di una bambina che donai a sua madre a Bogor, in Indonesia, e di come le sue amiche accarezzassero rapite quell'immagine in cornice ignorando la bambina reale che stava ai loro piedi. Ferdinando Scianna su questo ha scritto alcune tra le sue pagine più belle.



Ma è nell'ultimo capitolo che il libro si fa intenso, emotivo.

Con il progresso tecnologico che ha portato ad una facilità e ad una intensiva moltiplicazione di immagini, le fotografie hanno lentamente svanito il loro iniziale compito di rappresentare la realtà, sia perchè nel continuo accumularsi compulsivo esse si sono trasformate da traccia a mero flusso, sia perché l'evoluzione tecnica ha reso più facile la loro falsificazione.

Ma proprio questa potenza tecnologica ammanta le immagini di una forte veridicità apparente, per cui ci abbandoniamo alla nostra incondizionata fiducia verso di esse.

“Ciò che caratterizza le società cosiddette avanzate, è che oggi tali società consumano immagini e non più, come quelle del passato, credenze”, scrive Roland Barthes, più volte citato da Levi Strauss.

E noi scegliamo con un atto di volontà di credere ad esse.

 

“Come l'amore: innammorarsi non è esattamente una scelta, ma a un certo punto interviene la volontà.

Per credere nel mondo, abbiamo bisogno che ne esistano delle rappresentazioni e dobbiamo poterci relazionare con esse. Non so con quali tecnologie tutto ciò avverrà in futuro, né se queste avranno ancora a che fare con la fotografia, ma è fuor di dubbio che la fede secolare nelle immagini, che esiste fin dall'età delle caverne, avrà un ruolo determinante.”

Conclude Levi Strauss.

Forse le fotografie scompariranno ma il nostro desiderio che ci lega ad essa non si esaurirà mai.

 

Il profondo legame che lega vedere, credere ed amare è veramente affascinante. Che, etimologicamente, vedere per credere si traduca anche come vedere per amare è, a mio avviso, altamente poetico.

E questo sembra poi essere l'ancora di salvezza delle immagini, la loro certezza di esistenza perenne, perché noi decidiamo con la nostra volontà di credere – e dunque amare – a ciò che vediamo, avviluppando le immagini, e le fotografie, di quell'aura romantica che ce le rendono così care.

L'ultima sezione del libro è dedicata ad una piccola antologia di citazioni sul vedere o la fotografia.

Concludo riportando una delle mie preferite e, ovviamente, invitandovi a cercare e leggere questo piccolo libro.

 

“E senza dubbio il nostro tempo […] preferisce l'immagine alla cosa,

la copia all'originale, la rappresentazione alla realtà,

l'apparenza all'essere.

Ciò che per esso è sacro non è che l'illusione, ma ciò che è profano è la verità. Anzi il sacro si ingigantisce ai suoi occhi via via che dimunisce la verità e l'illusione aumenta, cosicché il colmo dell'illusione è anche per esso il colmo del sacro.”

(Ludwig Feuerbach, prefazione alla seconda edizionedi “L'essenza del cristianesimo” (1843), citato da Guy Debord in epigrafe a “Lo società dello spettacolo”, 1967)

 

 

FOTO 2

 

Devi Levi Strauss: “Perché crediamo alle immagini fotografiche” (Johan & Levi Editore, 2021)


David Levi Strauss: “Photography and Belief” (David Zwirner Books, 2020)

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