“Povero cuore che sussulti,
un giorno lontano eri l'alba.”
(Cesare Pavese)
Quanto mi manca viaggiare...
Attraversare i lunghi corridoi ovattati di moquette con il trolley verso il tunnel che porta all'imbarco e poi nell'asfalto della pista, verso l'aeroplano, che è un territorio privato solo di chi sta per volare. Le nuvole che filtrano città e paesaggi nel silenzio delle notti al neon blu.
Oppure le stazioni dei treni con il naso all'insù a controllare i binari e gli orari dei treni. Il terno a lotto di chi sarà il nostro compagno di viaggio, il piacere sublime di tirare fuori il libro prescelto e perdersi nel ritmo della pagina e dello sferragliare delicato del treno.
Ma soprattutto mi manca annusare il nuovo luogo, appena uscito dalla stazione o dall'aeroporto. Perché ogni città ha il suo odore.
L'impatto con il muro traforato di lingue estranee; e in quell'intrigo di fonemi iniziare a dipanare i fili che conducono verso la famigliarità.
Mi manca perdermi, perché solo quando uno si perde può iniziare a ritrovarsi.
Alla fine il fascino dei binari è proprio questo, per me.
Una lunga linea che non ha direzione, che va verso nord ma allo stesso tempo verso sud, che è una cosa e il suo contrario. E percorrere quelle vie è un allontanarsi che è però già segno del ritornare verso un se stesso diverso.
A volte, per capire un po' di noi stessi dobbiamo percorrere lunghi corridoi, cuniculi, girare intorno e zigzagare. Sedere per ore su spiagge al limitare del mare che ci bagna i piedi ficcati nella spiaggia o in affollatti ristoranti urtati da odori acri, da gomitate e da parole ignote.
Ma questo lo si capisce sempre dopo molto tempo.
Io ormai ho trovato molti me stesso in questi ultimi anni e non saprei neanche più dire chi sono veramente.
E, sinceramente, sono felice così e non me ne importa nulla.
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