“Fu attraverso gli occhi,
il coraggio e la penna dei neri
che il mondo intero poté vedere
Soweto in fiamme.”
(Peter Magubane)
“Studente arrestato di fronte alla Corte Suprema di Johannesburg”, 1976 (c)Peter Magubane |
In questi giorni è tornata, purtroppo, alla
cronaca la violenza subita dalla popolazione afro-americana, con le città di
tutto il mondo in rivolta per le uccisioni di George Floyd a Minneapolis il 25
maggio e Rayshard Brooks ad Atlanta, questa settimana, dalla polizia, durante
le fasi dell'arresto.
Come una marea si è alzato il grido di
protesta in America, e non solo, contro le disuguaglianze razziali che
suonavano assurde ai tempi dell'apartheid e lo sono ancora di più al giorno
d'oggi.
Non è di questo che voglio parlarvi, perché
è già in ogni notiziario, né tantomeno dell'apartheid, le leggi di segregazione
razziale del Sudafrica in vigore dal 1948 al 1991.
Non sono un politico o un'attivista.
Ma tutti questi accadimenti mi hanno
portato alla mente la storia di un fotografo, e visto che di questo io amo
parlare e credo sia azzeccato in questi giorni, io voglio farvi conoscere Peter
Magubane, non molto famoso ma la cui vita è esemplare e racconta di come le
cose non siano cambiate poi tanto.
“Funerale di un ragazzo di 13 anni, prima vittima dei disordini del 1976”. (c)Peter Magubane |
Magubane nasce a Johannesburg nel 1932 e
ben presto si appassiona alla fotografia, con il sogno di poter collaborare con
la rivista “Drum”, una sorta di “Life” del Sud Africa, gergale e
chiassosa ma capace di dare voce all'Africa dei neri.
Riuscì ad entrare nella redazione della
rivista e fare praticantato in ambito fotografico: voleva essere uno dei
fotografi di punta.
“A quei tempi – gli anni cinquanta – il
fotogiornalismo era per i neri una novità assoluta. Quando se ne presentò
l'occasione, però, sapemmo farlo al meglio”, così racconta Magubane.
E la sua carriera iniziò proprio con l'entrata
in vigore dell'apartheid.
Il suo primo incarico per “Drum” fu la
convenzione del 1955 dell'African National Congress. Da allora capì che quello
era il suo destino: fotografare e documentare per dare voce al popolo africano,
al punto di dormire nella redazione, mandare a rotoli il suo matrimonio, e
rischiare la vita moltissime volte; per non dire di tutte le circostanze in cui
fu arrestato e picchiato dalla polizia per il suo lavoro che dava molto
fastidio.
“Peter Magubane arrestato”, 1958. Foto Jurgen Schadeberg |
Si può affermare che, molto probabilmente,
Magubane è stato uno dei fotografi più malmenati nella storia della fotografia,
senza arrivare – per fortuna – alla morte, come accadde per il grande Eugene
Smith, di cui ho già parlato.
“Una volta ci fu un grosso processo politico
a Zeerust e alla stampa fu vietato di riferire del suo andamento. Decidemmo
invece che il servizio l'avremmo fatto, sia
per la cronaca sia per le fotografie. Alla fine pensammo di nascondere
una Leica IIIG, con grandangolo regolato in precedenza, in una mezza pagnotta.
Fingendo di mangiare il mio pane, fotografai due scene: l'ingresso degli
imputati nell'aula e l'aggiornamento dell'udienza. Quando non potei più
continuare questo trucco, nascosi l'apparecchio in un cartone del latte e
ripresi a fotografare.”
Un'altra volta, nascose una piccola
macchina fotografica nelle pagine tagliate di una Bibbia, sempre per aggirare i
divieti alla stampa.
Fu grazie a questa passione che nel 1958 fu
il primo fotografo nero a vincere il primo premio in un concorso di fotografie
per l'attualità sudafricana.
E anche di poter incontrare e fotografare
Nomzamo Mandela, la moglie di Nelson Mandela, in carcere e sua figlia Zinzi di
4 anni.
“Nomzamo Mandela”. (c)Peter Magubane |
Ma anche di entrare ed uscire dalle carceri.
Fino al momento più terribile della sua
vita, quando nel 1970 fu costretto al confino per cinque anni, senza poter
fotografare e rischiando quasi la pazzia.
“Non sei più un essere umano, la gente
ti evita, è come se avessi la lebbra," scrisse. Sarà
costretto a inventarsi nuovi lavori, venderà tappeti, vestiti, mobilio.
Ma la polizia non lo lasciava in pace. Nel
1971 fu di nuovo arrestato, interrogato in cella con le mani e le caviglie
incatenate ad un palo. Fu rinchiuso 98 giorni in isolamento, concentrandosi sul
canto degli uccelli per non perdere il senno.
Ci impiegò un anno per tornare a
fotografare, e di nuovo in mezzo alle rivolte, agli scontri, con i tumulti di
Soweto nel 1976: con la città in fiamme e le persone uccise per strada dal
fuoco della polizia. Fu picchiato ancora, gli agenti gli spaccarono il naso, ma
nonostante tutto nel 1976 vinse il prestigioso premio dell'Enterprising
Journalism Award, il massimo riconoscimento giornalistico sudafricano.
“Donna che piange il marito bruciato vivo a Soweto”, 1976. (c)Peter Magubane |
“Mano di un bambino nero”, 1968. (c)Peter Magubane |
Nel 1977 si trasferisce a New York dove
vive tuttora, tornando altre volte nel suo paese, anche se ancora le autorità
sudafricane rifiutano di rilasciargli in tesserino stampa. Si è sposato di
nuovo con un Alto Commissario delle Nazioni Unite per i profughi a Lusaka,
nello Zambia, e ha pubblicato molti libri.
Magubane non passerà alla storia come uno
dei Maestri della Fotografia, ma di certo il suo impegno sociale e la sua vita
sono stati d'esempio, di come la passione può diventare il desino di un'intera
esistenza, anche a rischio della stessa.
È un esempio per capire come, nonostante il
mondo abbia fatto dei progressi, la mentalità di molte persone sia rimasta
ancorata a quel periodo e a quelle fotografie.
Per questo ho voluto raccontare la sua
storia, affinché alle statue abbattute in America si possano innalzare i
simboli di vite che furono percosse e imprigionate ma che non smisero mai di
urlare la loro protesta e la loro richiesta di uguaglianza.
“Donne caricate dalla polizia” Johannesburg, 1958. (c)Peter Magubane |
“Giovani lanciano sassi contro la polizia dopo la morte di un loro compagno” 18 giugno 1976. (c)Peter Magubane |
Anche solamente con un clic dentro
una pagnotta.
“Non so cosa mi succederà in seguito. Continuerò a lavorare nel Sudafrica, facendo le migliori fotografie possibili. Spero che non siano tutte immagini di violenza. Eppure finché non ci sarà dialogo fra il governo del Sudafrica e la popolazione nera non ci sarà tregua dalla violenza. Finché il governo non sarà disposto a riconoscere il nero come cittadino e ad accordargli tutti i suoi diritti nel suo paese natale, non vedo alcun cambiamento se non per il peggio. I neri non vogliono buttare a mare i bianchi. Bianchi e neri devono dividersi i frutti del paese alla pari.”
Peter Magubane. Fotografato da A. Lenora Tait |
Per le informazioni sulla vita di Magubane ho utilizzato gli scritti di John G. Morris su: “Peter Magubane” - I Grandi Fotografi (Gruppo Editoriale Fabbri, 1982)
21 Icons : Peter Magubane : Short Film
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