La Speranza

Via dei Fori Imperiali. ROME – 30 October 2020
Via dei Fori Imperiali. ROMA – 30 October 2020

 

“La speranza è la cosa con le piume che si appollaia nell'anima e canta la melodia senza parole e non si ferma mai.”

(Emily Dickinson)

 

Si dice che la speranza sia l'ultima a morire.

Ho chiesto anche alle mie conoscenze in Malesia e India e pare che anche là si usi lo stesso modo di dire.

Però quando ho chiesto se loro sapevano da dove deriva questo modo di dire nessuno ha saputo rispondere.

Certo che il linguaggio mastica sé stesso, nell'uso costante e quotidiano, facendo spesso perdere le tracce delle sue etimologie, come parole o modi di dire.

 

È una storia antica, di nuovo nata in seno alla mitologia greca, e legata ancora una volta a Prometeo, di cui ho già scritto.

Questo mito è narrato, nella sua forma più celebre, da Esiodo, nei versi 90-105 delle “Opere e giorni”: ovvero, il vaso di Pandora.

Zeus, infuriato per il furto del fuoco da parte di Prometeo, come dono agli esseri umani che aveva creato, lo punì come ho già raccontato. Ma il potente signore degli dei riservò una punizione anche agli uomini.

Ad essi inviò un dono letale e alla prima donna fu affidato il compito di portare con sé, nel mondo, infinite sofferenze. Ordinò ad Efesto di dare vita ad una bellissima ragazza, Pandora. A lei ogni dio offrì un dono divino: bellezza, virtù, abilità, grazia, astuzia, ingegno.

A Pandora fu consegnata una giara (πίθος, pithos), che avrebbe dovuto contenere il grano (βίος, bios), ma che invece conteneva tutti i mali del mondo. I mali sarebbero dovuti rimanere sigillati nel vaso, se non fosse che la curiosità di Pandora la portò ad aprire il vaso e tutti i mali si dispersero nel mondo aggliggendo l'umanità.

 

Solamente Elpis (ελπίς) o Spes, la Speranza, l'attesa o il pensiero del presente-futuro, rimase nel fondo del vaso.

Quando Pandora si accorse di ciò che aveva combinato, richiuse frettolosamente il vaso e la speranza non riuscì ad uscire, divenendo l'unico contenuto.

 

“Ma quella femmina il grande coperchio del doglio dischiuse,

con luttuoso cuore, fra gli uomini, e i mali vi sparse.

Solo il Timor del futuro restò sotto l'orlo del doglio,

nell'infrangibile casa, né fuori volò dalla porta,

perché prima Pandora del vaso il coperchio rinchiuse,

come l'egioco Giove, che i nuvoli aduna, le impose.

Ma vanno gli altri mali fra gli uomini innumeri errando,

perché piena è la terra di triboli, il pelago è pieno.”

 

John William Waterhouse. “Psyche Opening the Golden Box”, 1903
John William Waterhouse. “Psyche Opening the Golden Box”, 1903

 

Ci sono diverse versioni di questa storia.

C'è quella di Esopo nelle sue “Favole”.

Dove Zeus consegna direttamente agli uomini il vaso pieno di tutte le cose utili, con una pietra sopra. Ma si sa, l'uomo non riesce a controllare sé stesso, e non perde tempo ad aprire il vaso facendo volare in cielo, verso la dimora degli dèi, tutto le cose messe dentro da Zeus – eccetto Elpis, unica cosa rimasta dentro il vaso, quando il vaso fu di nuovo richiuso.

Da quel momento solo Elpis – la Speranza – è tra noi umani, promettendo di poter restituire un giorno tutte le cose buone che furono promesse a noi dalle divinità.

 

Ciò che è certo è che questo mito ha radici più antiche, inoltre la radice Spes è in comune con quella sanscrita spa, che significa “tendere verso una meta”. Il mito primitivo è quello della dea Pandroso, o Pandoro, Pandora, nomi della stessa dea in diverse città greche.

La Dea affidò a tre sacerdotesse dei cesti di fichi, ma solamente in uno di essi vi erano invece dei serpenti.

Non a caso, ad Atene, si celebrava una processione in cui le sacerdotesse portavano dei cesti di serpenti nei sotterranei del tempio.

Questo antico legame tra Grande Madre e serpente è alla base della grande differenza tra società matriarcale e patriarcale: nella società matriarcale la trasgressione ad un divieto è premiata mentre in quella patriarcale è punita.

Il Dio maschio è Legge – la Dea femmine è Conoscenza.

La sacerdotessa che trovava il serpente nel cesto era considerata la preferita ed era l'unica in diritto di oracolare in nome della Dea.

 

Ma qui stiamo parlando di antiche società che si perdono nella notte dei tempi.

 

Ciò che è interessante considerare del mito di Pandora è il camuffamento dei doni nel vaso.

Qui c'è l'inganno crudele di Zeus: il “male” si presenta come un dono, e quando l'uomo si rende conto che in realtà quei doni erano “mali” è troppo tardi.

Per poter raccogliere il bios, il nutrimento, e riempire la giara di “beni” l'uomo deve affrontare la fatica e la sofferenze ormai diffuse ovunque. Solo il lavoro, la costanza e la diligenza possono riempire di beni la giara della vita e nutrirla di buone speranze, regalando così all'esistenza umana momenti di serenità in mezzo ai mali diffusi da Pandora come voluto da Zeus per punizione.

 

Ancora, non è un caso che anche la Speranza fosse nel vaso contenente i mali per l'umanità, rendendo essa anche un male racchiusa all'interno.

Questo ci dice come Elpis avesse una doppia valenza per i Greci: infatti la speranza da una parte consente all'uomo di distogliere lo sguardo dal suo destino di sofferenza e morte, ma al tempo stesso è una cortina di fumo che gli impedisce di vedere con chiarezza il futuro, la realtà e verità delle cose.

 

Spes, la Speranza 


Insomma, questa è l'origine del modo di dire che vuole la Speranza ultima a morire, o meglio, l'ultima ad abbandonare gli esseri umani afflitti dalle sofferenze.

E la sofferenza ontologica dell'uomo è il timore per il proprio futuro.

Come diceva il filosofo Edmund Husserl, la speranza è tipica dell'uomo poiché esso “è un essere che progetta il suo futuro”, e il suo desiderio più grande è quello di una vita migliore e più felice di quella presente.

È per realizzare questo desiderio che noi usiamo il nostro pensiero e l'immaginazione: “Noi pensiamo al possibile perché speriamo di poterlo realizzare. La speranza è il fondamento del pensiero”. (Husserl)

 

Il problema è che pensare al futuro, nonostante la speranza (o forse proprio a causa della speranza, nel significato malvagio voluto da Zeus), genera più timore che altro.

 

Perché tutto questo?

Perché qualche pomeriggio fa stavo passeggiando per una delle vie più famose di Roma, Via dei Fori Imperiali, una strada che alle ore 17 di solito è affollata di persone.

Invece quel pomeriggio era totalmente deserta, con una o due persone barcollanti nel buio dell'inverno alle porte, sotto le pietre antiche del Colosseo.

Mi ha fatto pensare alla storia di Spes.

Di quanto ormai le nostre vite siano segnate in modo indelebile dal conflitto tra speranza e disillusione, tra progetto e paura.

Ogni volta che questa pandemia sembra essere giunta alla conclusione, restituendoci quelle vite normali che ci erano state promesse dopo avere pagato il conto delle morti, torna invece a mordere, a schiacciarci all'angolo delle nostre paure e solitudini.

 

Come una strada buia senza fine.

 

Questo era l'inganno più astuto di Zeus: giocare sulla curiosità dell'uomo e la sua abitudine a trasgredire ai divieti, e donare un'ultima dea che fosse il miraggio di una vita non solo afflitta dai mali, bensì anche colma di “speranza”.

 

Ma la Speranza è uno dei tanti mali nel vaso di Pandora, l'ultimo e il più subdolo.

 

E mentre noi ci raccontiamo che la speranza è l'ultima a morire, siamo noi che cadiamo uno ad uno, nella morta fisica e in quella simbolica della nostra solitudine e la paura dell'altro.

 

Molto meglio concentrarci sul momento presente.

Sopravvivere, e cercare la nostra felicità nel momento presente, perché questo è l'unico certo, e nessuna divinità infuriata potrà privarcene.

 

Come facevano le antiche sacerdotesse: afferrando il serpente per la gola.

 

Olivier Föllmi. Tibet, 1994
Olivier Föllmi. Tibet, 1994

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