Sri Lanka © Bruno Barbey |
Saanvi e sua madre si misero in viaggio al mattino presto.
Rani diede fondo ai pochi soldi messi da parte negli ultimi mesi per comprare i due biglietti per il bus da Jaffna a Puttalam, sulla costa occidentale del paese: circa 2000 rupie, più i soldi per il biglietto di ritorno.
Il bus era un fiammante Ashok Leylands, tutto dipinto di blu, decorato
negli interni con fiori di plastica e figurine di Ganesh, con due altoparlanti
che gracchiavano canzoni hindi a pieno volume per tutto il viaggio. I sedili
erano quasi tutti occupati, con un brusio continuo di voci, bambini che
piangevano e vampate di arack e spezie.
Ci vollero sette ore di viaggio, con un paio di soste, prima di
arrivare alla stazione di Puttalam. Fortunatamente la strada statale ebbe pietà
degli ammortizzatori consumati del bus e Saanvi riuscì a dormire qualche ora
con il capo poggiato sulle gambe della madre.
A soli quindici anni stava cambiando luogo per la seconda volta, ma
adesso era ancora più difficile perché avrebbe dovuto separarsi anche da sua
madre.
Non riusciva a piangere ma nel cuore provava una grande rabbia pungente
per quel passato che, quando chiudeva gli occhi, assumeva le sembianze del
volto da bufalo di suo zio. Rani accarezzò i capelli di sua figlia come se
potesse leggere ogni suo pensiero.
Alla stazione di Puttalam presero un altro bus, più piccolo, che in
un'ora e mezzo divorò l'A3 Puttalam-Colombo Road fino a Pulichchakulama Road,
dove salirono su un tuktuk che le condusse fino all'abitazione della zia Komala
che era già tardo pomeriggio, tutte sudate e stanche come se vi fossero giunte
a piedi da Jaffna.
Udappu era allora come adesso un villaggio costiero di circa
quindicimila anime, per lo più Tamil fuggiti dal nord durante la guerra civile.
Anche la zia – che in realtà Rani neanche conosceva bene – aveva cercato
rifugio molti anni prima con la sua famiglia, stanca del dolore e della paura
provata per metà della sua esistenza, quando viveva a Jaffna.
Le stava aspettando sulla porta di casa.
“Maalai Vanakkam!*”
“Vanakkam!”
Le due donne si abbracciarono mentre dalla porta di casa vennero fuori
bambini come formiche da un formicaio.
Saanvi osservò quell'abitazione molto più grande della loro casa, con
le pareti esterne rosa e le colonne rosse agli angoli del patio.
La zia era una donnina con il volto rotondo e scuro come un mangostano,
più di sua madre, ma senza una ruga, il che rendeva difficile capirne l'età. Il
collo era tozzo e corto e segnato da una sottile linea nera orizzontale che lo
bombava in due parti come se un filo invisibile la strozzasse. I capelli
ondulati erano lucidi e di un nero d'inchiostro di seppia; due seni piccoli a
punta poggiati sulla pancia gonfia che pareva il carapace di una tartaruga
dandole la forma di una pera su due gambe magroline e corte. Ma il suo sorriso
dolce la rese immediatamente simpatica alla ragazzina.
“Tu sei la famosa Saanvi, la più brava danzatrice di tutto il nord
dello Sri Lanka!”, le disse chinandosi un poco per guardarla negli occhi e
accarezzandole il viso stanco; lei le rispose con un sorriso imbarazzato ed
entrarono in casa.
Se la loro abitazione a Nallur era piccola e sembrava affollata con la
famiglia dello zio, questa in cui viveva Komala traboccava di persone, sembrava
di essere più in un pola* che in una casa: bambini correvano ovunque
entrando e uscendo dalle porte delle stanze mentre alcune donne riposavano
distese a terra. Komala presentò Rani e sua figlia alla donne in casa e
offrirono loro da mangiare un bel piatto di kottu* preparato la mattina.
In quella casa vivevano le famiglie dei due fratelli della zia, ma da
qualche giorno si erano aggiunti anche un cugino e una nipote con le rispettive
famiglie perché l'indomani mattina sarebbero andati tutti al tempio Sri
Veerapathra Kali Amman Kovil. Rani rimase con loro solamente due giorni, non
poteva più a lungo perché le era necessario lavorare e doveva ancora dare una
spiegazione della loro fuga improvvisa allo zio.
La puja* al tempio fu un modo per Rani per pregare per il futuro di sua
figlia. Quella fu la richiesta che fece, in cuor suo, ad Ayyanar* mentre
muoveva la lampada con gli stoppini accesi.
Saanvi sarebbe rimasta una settimana in quel villaggio per poi seguire
la zia a Duwana.
Prima di salire sul tuktuk che l'avrebbe portata alla stazione dei bus,
Rani abbracciò forte sua figlia e le sussurrò: “Non preoccuparti, ci parlo io
con tuo zio. Poi appena posso torno a trovarti, tu pensa a studiare, non
metterti nei guai e aiuta la zia.” Mentre le infilava in una tasca 800 rupie
che le erano avanzate.
Quella fu la prima volta in cui a Saanvi vennero le lacrime agli occhi
– neanche per suo padre aveva pianto, ma era troppo piccola allora.
“Barche a vele”. Sri Lanka, 1880 |
Ora che anche le altre famiglie erano tornate nei loro villaggi
l'atmosfera nella casa si era fatta più placida, pur sempre animata dagli
schiamazzi dei bambini piccoli.
C'era anche un piccolo televisore e qualche libro buttato sul
pavimento.
Saanvi si rese utile come poteva, raschiando le noci di cocco seduta
sulla hiramanaya*, oppure andando al mercato a comprare ciò che
occorreva.
Il marito di Komala, Andiran, lavorava a Negombo in un ristorante, ecco
perché si erano spostati a vivere più a sud, vicino alla città, così era più
facile per lui tornare qualche ora nei fine settimana. Anche loro avevano
cambiato regioni e case, come molte delle famiglie in quel villaggio, sia per
lavoro ma per lo più per fuggire dal dolore e dal ricordo di parenti morti
nella guerra civile.
Il mattino seguente la zia si era offerta di applicare l'olio di cocco
ai suoi lunghi capelli, come faceva Rani a Nallur, per renderli lucidi e forti,
e sovente Saanvi teneva compagnia a Komala nel suo momento preferito: sorseggiare
un buon the caldo allo zenzero sedute sul sofa a guardare in televisione il suo
teledramma preferito, “Paara Dige”*, in onda su Swarnavahini alle 20.30 della sera.
In rari casi la ragazzina riusciva a sintonizzarsi su qualche canale
indiano che trasmetteva danza, anche se il segnale andava e veniva, e appena
spegnava la televisione correva fuori in cortile, in solitudine, e danzava,
danzava...
Komala se ne era accorta e la osservava, in silenzio, sorseggiando il
the e sorridendo.
La vita in quel villaggio a Saanvi sembrava un eterno presente, una
bolla di spazio e tempo in attesa di muoversi verso il sud. Quasi tutti gli
uomini vivevano di pesca e l'odore di arack che sgorgava dalle piccole case e
capanne lei lo conosceva bene. Ormai la pesca non era più sufficiente a sfamare
le povere famiglie come un tempo, pertanto al mare gli uomini avevano
affiancato in anni recenti la raccolta di toddy, la linfa di palma da cui
distillare il liquore.
Nei pomeriggi assolati Saanvi camminava fino alla spiaggia. Amava
sedersi con i piedi ficcati nella sabbia calda ad osservare le oruvas*
saettare sul mare e poi ormeggiare davanti a lei, riempiendo la spiaggia come
grandi conchiglie a righe colorate, con le vele che si gonfiavano seguendo il
vento. Dinanzi ai suoi occhi il mare delle Laccadive e il sole che si frangeva
sulle onde moltiplicandosi in infinite schegge tremolanti di luce brillante.
Pensava a sua madre, a suo zio, al destino di nascere in una regione che ha
imbrattato di sangue molte famiglie, come la sua, oppure di nascere nella costa
opposta a quella dove sedeva lei adesso ed essere spazzata via, alle dieci di
una mattina di dicembre, dallo tsunami – una piccola vita tra le oltre 40.000
uccise in quella catastrofe.*
Fin dalla sua venuta al mondo, ignara di tutto, e già con una pesante
eredità di ferite difficili da rimarginare.
Per questo amava la danza. Era il suo modo di dimenticare. Un modo
certamente migliore dell'arack dello zio.
Sri Lanka, 1870 |
Saanvi salutò tutti quanti in casa e con la zia salì sul bus che le avrebbe
condotte in un paio di ore all'altra città.
“Nanda*...?”Chiese la ragazzina a Komala, seduta al suo fianco.
“Dimmi...”, “A casa a Duwana c'è la televisione?”
La zia sorrise con il suo viso rotondo e gli occhi neri, dondolando la
testa di lato: “Certo che c'è! Come sarebbero le mie giornate senza i patimenti
di Aluvihare!” Ed entrambe risero di gusto.
Il bus imboccò di nuovo l'A3 verso Colombo costeggiando il fiume Moha
Oya.
Saanvi rimase a lungo, durante il viaggio, con la fronte appiccicata al
vetro del finestrino osservando il profilo alternato della vegetazione e delle
città punteggiato dalle cupole bianche delle dagobas* dei pansala,
dalle gopuram dei kovil cesellate
con piccole figurine dipinte di trecento milioni di colori quante sono le divinità
induiste, dalle mezzelune delle moschee fino alle croci delle chiese che
andavano aumentando sempre di più, avvicinandosi allo snodo di Kochchikade; là
scesero e cambiarono con un bus Tata di linea CTB rosso scuro lungo la
Poruthota Road fino a Duwana. Saanvi vedeva oramai solamente croci e chiese.
Alla fermata del bus scesero e la zia disse alla nipote: “Benvenuta a
Duwana”.
Poi salirono su un tuktuk. “Qui vicino c'è la stazione di Pallansena
Three-well Taxi”, disse la zia alla ragazzina, “Puoi andare dovunque vuoi in
pochi minuti.”
Giunsero finalmente a casa, non distante dalla rive del fiume.
A prima vista a Saanvi il villaggio non sembrava troppo diverso da
quello di Udappu, un villaggio di pescatori, se non fosse stato per il fatto di
essere circondata da chiese e di ascoltare tutti quanti parlare in singalese.
La scuola più vicina era nel centro di Kochchikade, ed ogni volta
impiegava un quarto d'ora di tuktuk tra andare e tornare.
Come d'accordo con la zia, Saanvi avrebbe aiutato in casa a cucinare,
macinare le spezie e grattugiare il cocco, lavare i panni e andare al mercato
quando occorreva, in cambio Komala le avrebbe dato qualche rupia per il tuktuk,
e qualcosa in più: in fondo la zia era felice ci fosse la ragazzina con lei,
era un modo per sentirsi meno sola e poi avevano raggiunto una piacevole
sintonia, soprattutto quando scoccavano le 20.30 la sera e si posizionavano
davanti la televisione per quei trenta minuti di tormento ed estasi di
Aluvihare e Nanayakkara.
Saanvi, nelle ore pomeridiane o quando tornava lo zio nel fine
settimana, preferiva camminare, anche per concedere loro un poco d'intimità. Le
case non erano molte e ogni volta aveva due scelte: camminare verso nord lungo
le rive del fiume o andare a ovest verso la spiaggia. Da una parte vi erano le
baracche di palma di paglia appese ai bordi lambiti dall'acqua dolce del Maha
Oya, dall'altra la bianca sabbia con l'orizzonte solcato delle vele dell'oruvas
e dei paruvas*.
Mentre camminava tra i vicoli terrosi Saanvi si accorgeva di come la
guardavano gli uomini intenti a tessere le reti di nylon per la pesca con le canoe a bilanciere così come le donne
sedute sulla soglia di casa o nei cortili piegate sulle miris gala.
Non trascorse molto tempo prima che la gente del villaggio iniziasse a
bisbigliare al suo passaggio.
Saanvi, una sera, lo disse alla zia ma Komala spense subito il
discorso: “Ci farai presto l'abitudine, non ti preoccupare. Anzi! Perché non mi
fai vedere qualche movimento di danza? Mi è sempre piaciuta la danza indiana!”
“Merlettaie”. Sri Lanka, 1880 |
Il giorno successivo, al mercato, un venditore di pesce le domandò in
singalese: “Tu sei la ragazzina che vive da Komala?” Saanvi annuì.
“Quella venuta da Jaffna...”, continuò l'uomo, mentre un altro
pescatore più anziano, seduto a fumare sul bordo di un carretto in legno di
lato la guardò e aggiunse: “È vero che tuo padre era uno dell'LTTE? Ne avete
fatti di danni voi...” Saanvi sfilò il pesce
dalle mani del mercante, gli lasciò un paio di monete e corse via, mentre il
rintocco delle campane della chiesa riempiva il cielo.
La bimba iniziava a sentire che quel fiume a pochi passi da casa fosse
come una frattura che la separava sempre di più da sua madre: la nostalgia le
mordeva il petto e quella sera non riuscì a mangiare nulla. La zia se ne
accorse, vedeva negli occhi di Saanvi un'ombra che le spegneva la selvaggia
bellezza d'adolescente.
“Lo sai che non lontano da qui c'è una piccola scuola di danza
indiana?”
Saanvi fu come strattonata dalla mano del dio Murugan. Guardò la zia
con la bocca aperta, pareva non aver compreso le sue parole.
“Davvero, nanda?”
La zia annuì con aria compiaciuta: “Domani, dopo la scuola ti ci
porto.”
La nipote si gettò con tutto il peso sulla donna e l'abbracciò fino a
farla quasi cadere di spalle per terra.
Come per magia si era già dimenticata di quanto era successo al mercato
e si addormentò fissando il soffitto in cui vedeva coreografie di ombre e
riflessi di luna.
Il pomeriggio andarono a piedi fino ad una abitazione grande come
quella della zia ad Udappu, con le mura celesti e colonne in legno ocra nel
patio. Dalle finestre veniva fuori una melodia indiana e battiti ritmici di
mani. Sopra la porta vi era una targa con inciso in bei caratteri “Sanchalana”
– movimento perfetto, il suo significato.
Saanvi, prima di avvicinarsi al patio tirò la veste della zia e le
domandò: “L'insegnante è Tamil o Singalese?”
Komala la guardò un poco indispettita: “È Singalese, ma basta con
queste domande stupide! Singalese, Tamil, Vedda, Burgese, siamo tutti
srilankesi, no?!”
La fanciulla chinò il capo, annuendo: “Si, zia, scusa.”
“Guruthumi* Anuradha? Guruthumi?” Chiamò a voce alta
Komala dall'uscio di casa.
Di colpo la musica tacque così come il battito delle mani.
Si affacciò alla porta una donna dal colore di pelle ambrato, i lunghi
capelli lisci legati dietro la schiena, con una veste dorata che lasciava
intuire il corpo agile e sodo. Non avrà avuto più di cinquant'anni.
“Ayubowan Guruthumi, kohomeda*?”
Anuradha rispose al saluto della zia con un sorriso appena accennato e
un breve inchino del volto sulle mani congiunte.
Allora Komala spinse la ragazza dalla schiena per farla avanzare un
poco.
“Lei è mia nipote Saanvi ed è molto dotata per la danza, però non ha
mai frequentato una scuola. Sarebbe un onore se lei potesse seguire le tue
lezioni.” Disse la zia con il suo solito tono caldo e calmo della voce.
Anuradha, con distacco, guardò Saanvi senza il minimo movimento dei
muscoli del volto o una sfumatura negli occhi.
“Sì, ho sentito del suo arrivo nel villaggio. Va bene, entrate.”
La ragazzina avvertì come un blocco alla gola e le mani fredde. Seguì
la zia e l'insegnante all'interno della casa, attraversando una prima stanza
alle cui pareti erano appese riproduzioni di Buddha e tessuti bianchi
incorniciati con frasi in caratteri pali.
Entrarono in una sala molto più grande e spoglia in cui sedeva una
decina di bambine di età diversa, le quali balzarono subito in piedi e unirono
le mani per salutare gli ospiti.
Saanvi era come stordita; guardava le allieve, alcune molto più grandi
di lei, ognuna con indosso il suo kurtha o il saree, a seconda dell'età, la
stanza luminosa dalle grandi vetrate, i mridangam a terra e le salangai*
arrotolate come serpenti vicino al muro, la statuetta in ferro di Naṭarāja a
fianco al grande specchio che copriva l'intera parete in fondo.
“Dunque, vediamo come danzi! Avanti, vieni al centro.”
Saanvi fu percossa dal suono secco e controllato di Anuradha e iniziò a
balbettare: “Io?... Adesso?... Devo danzare?”
Komala la spingeva da dietro: “Vai, sbrigati...”
Anuradha la fissava con occhi severi.
“Sei venuta per danzare, giusto? Danza, dunque!”
E iniziò a battere le mani a tempo, palmo contro palmo, con un suono
forte e secco come un ramo che si spezza.
Saanvi si avvicinò al centro della sala, voltandosi a guardare sua zia
e le altre allieve che sghignazzavano con le mani davanti la bocca.
“Balli o dormi?” Chiese l'insegnante avvicinandosi a lei battendo le
mani ancora più forte mentre con la voce scandiva la cadenza Ta! Taa!
Tajenno-Ta! Takkanam... Taketa! Taketaa! Tajenno-Ta...!
Allora Saanvi iniziò a ballare, cercando di seguire il ritmo delle mani
e della voce di Anuradha, ma aveva la sensazione che il suo corpo non fosse in
quella sala, che il pavimento fosse viscido e gelido. Appena incrociava lo
sguardo di Anuradha perdeva il ritmo, andava fuori tempo, mentre le bambine
alle sue spalle ridevano con più vigore.
L'insegnante smise di colpo di battere le mani e urlò alle allieve:
“Che ridete voi?! Fate silenzio!”
Poi si avvicinò faccia a faccia a Saanvi, la guardò così intensamente
che pareva le stesse scavando un pozzo nell'anima.
“Lascia stare, la danza non fa per te.”
Quindi camminò verso Komala, lasciando Saanvi pietrificata e con il
fiatone grosso in mezzo alla sala.
“Mi dispiace attai*, ma tua nipote è troppo indietro. Prova in
un'altra scuola, a Negombo ce ne sono tante.”
La zia vide Saanvi venire verso di loro con il mento premuto sul collo,
in un silenzio surreale che trasudava delusione e tristezza.
Sri Lanka, 1880 |
Saanvi, a casa, si lavò in cortile e poi uscì correndo. La zia provò ad
andarle dietro ma era impossibile.
“Saanvi! Saanvi! Dove vai? Non mangi niente?”
Ma le sue parole furono rapite dal vento umido della sera.
La ragazzina raggiunse la spiaggia correndo veloce così che nessuno
potesse vedere le sue lacrime.
Si sedette sulla spiaggia con i piedi e le mani nella sabbia come
piaceva a lei, la rilassava, e rimase a fissare il mare finché l'orizzonte
divenne un filo d'argento tra la notte del mare e quella del cielo.
Avesse avuto più coraggio avrebbe voluto spingere una delle tante oruvas
addormentate sulla spiaggia fin dentro l'acqua per remare a nord e svegliarsi
il giorno dopo a casa sua a Nallur.
Iniziava a sentire la mancanza di suo zio, delle cugine, delle
fotografie capovolte alle pareti.
L'insegnante a scuola aveva detto che Negombo è chiamata “la Piccola
Roma”, perché molte di quelle navi erano salpate da quella costa per
raggiungere l'Italia.
Lei neanche sapeva dove fosse l'Italia, in che punto del mappamondo ci
fosse Roma.
Non le importava nulla.
Sentiva solamente il sapore salato delle lacrime tra le labbra: avrebbe voluto addormentarsi tra le braccia di sua madre e non svegliarsi mai più.
CONTINUA...
*Secondo la
cultura Tamil, si dice vanakkam tenendo le mani unite con i palmi che si
toccano per salutare una persona. A volte, a questo saluto è associato anche un
leggero chinarsi del capo. Si dice vanakkam in modo diverso a seconda dell'ora
del giorno.
Mattina: Kaalai
Vanakkam
Pomeriggio:
Mathiya Vanakkam
Sera: Maalai
Vanakkam
Notte: Iravu
Vanakkam
“Van” significa
“vanangu” (adorazione). 'Ak' rappresenta l'alfabeto 'ஃ'
in Tamil. Visivamente, ha 3 punti e in questo contesto simboleggia gli occhi
umani insieme al terzo occhio (lo spazio tra le nostre sopracciglia). Si crede
che Dio risieda all'interno di ogni essere umano al terzo occhio. Quindi,
dicendo “Vanakkam”, non si intende solo salutare la persona, ma anche il Dio
che risiede nel terzo occhio della persona.
*Pola è
il mercato settimanale nei villaggi.
*Kottu (noto
anche come Kottu roti o in alternativa Kothu roti), che significa roti tritato)
è un piatto dello Sri Lanka composto da roti a cubetti (godhamba roti o
roti simili al tipo usato per fare roti canai) saltati in padella con
uova strapazzate, cipolle, peperoncini, spezie e verdure o carne opzionali,
come montone o pollo.
In genere, il
consumatore sceglie cosa e quanto della quantità di ingredienti includere se
qualcun altro sta preparando.
*La puja è la
preghiera e offerta induista.
*Ayyanar è una
delle divinità induiste principalmente adorate dai Tamil ad Udappu, ma è anche
adorato come Ayyanayake dal popolo singalese.
*Il cocco è un
elemento essenziale nella cucina dello Sri Lanka. Il latte di cocco viene
utilizzato nel curry e nel riso al latte e il cocco grattugiato viene
utilizzato per preparare Sambola, Pittu e Roti. Il cocco viene grattugiato
usando un hiramanaya (raschietto per cocco), nessuna cucina in un
villaggio ne è sprovvista. La persona che grattugia la noce di cocco deve
essere seduta sull'hiramanaya mentre il corpo viene piegato in avanti. Un
hiramanaya è costituito da due parti principali: la parte per sedersi e la
grattugia. La parte su cui ci si siede è in legno e la grattugia in acciaio,
con denti piccoli e affilati per grattugiare il cocco.
*“Para Dige” è un famoso teledramma
in onda su Swarnavahini,
diretto da Saddamangala
Sooriyaarachchi. È la storia drammatica di un'amicizia condivisa da tre ragazzi
e una ragazza: Aluvihare è una persona che non è in grado di ottenere un nuovo
lavoro da quando è divorziata; il suo amico gli trova una sposa che ha
accettato l'accordo di divorziare da Aluvihare una volta ottenuto il lavoro.
Alla fine lei ottiene il lavoro e inizia a mantenere il finto matrimonio.
Dall'altra parte una persona chiamata Nanayakkara è caduta in una trappola dei
gangster dei bassifondi che lo ricattano per aver tradito sua moglie. Queste
due storie si scontrano insieme dal momento che i gangster dei bassifondi sono
coinvolti in entrambi gli incidenti, rendendo la trama ricca di suspense e
thriller.
*Le oruvas
sono le canoe a vela tipiche dello Sri Lanka.
*Il 26 dicembre
2004, uno tsunami colpì l'Oceano Indiano, generato da un terremoto di magnitudo
9,0 al largo della costa di Sumatra. A parte l'Indonesia, la nazione insulare
dello Sri Lanka subì probabilmente il maggior numero di vittime: oltre 40.000
le vittime confermate.
*Nanda,
zia.
*Dagobas
sono le stupa dei templi buddhisti (pansala).
*Paruvas è un grande
catamarano a motore dotato di divisori kurlon.
*Tradizionalmente,
le esibizioni di Bharatanatyam sono state accompagnate dal Vadya Trayam
(Santa Trinità) degli strumenti carenatici: Veena (uno strumento a
pizzico), Venu (flauto) e Mridangam (tamburo). Questi tre
strumenti hanno funzioni specifiche: il Mridangam integra i movimenti ritmici
del piede del ballerino, il Veena migliora la trama con la sua gamma di corde
tala e corde principali e il flauto decora le melodie con ornamenti.
*Guruthumi
è il modo più formale di chiamare un'insegnante di danza.
*Ayubowan è il
saluto tra singalesi, kohomeda significa “come state?”
*Le Salangai
sono le cavigliere con i campanelli, chiamate anche ghungroo, che si
usano nella danza classica Bharatanatyam.
*Naṭarāja,
ovvero Shiva, anche chiamato il Signore della Danza, o il Dio danzante; questa
è l'immagine più popolare, e corrisponde alla danza detta nādānta, quella che
secondo tradizione Shiva effettuò a Chidambaram (o Tillai), nella foresta di
Tāragam per difendersi dai ṝṣi seguaci del Mīmāṃsā e dal nano che questi
avevano creato per assalirlo.
*Attai, zia.
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