La Rivincita di Saanvi – Seconda Parte



Sri Lanka © Bruno Barbey
Sri Lanka © Bruno Barbey


Saanvi e sua madre si misero in viaggio al mattino presto.

Rani diede fondo ai pochi soldi messi da parte negli ultimi mesi per comprare i due biglietti per il bus da Jaffna a Puttalam, sulla costa occidentale del paese: circa 2000 rupie, più i soldi per il biglietto di ritorno.

Il bus era un fiammante Ashok Leylands, tutto dipinto di blu, decorato negli interni con fiori di plastica e figurine di Ganesh, con due altoparlanti che gracchiavano canzoni hindi a pieno volume per tutto il viaggio. I sedili erano quasi tutti occupati, con un brusio continuo di voci, bambini che piangevano e vampate di arack e spezie.

Ci vollero sette ore di viaggio, con un paio di soste, prima di arrivare alla stazione di Puttalam. Fortunatamente la strada statale ebbe pietà degli ammortizzatori consumati del bus e Saanvi riuscì a dormire qualche ora con il capo poggiato sulle gambe della madre.

A soli quindici anni stava cambiando luogo per la seconda volta, ma adesso era ancora più difficile perché avrebbe dovuto separarsi anche da sua madre.

Non riusciva a piangere ma nel cuore provava una grande rabbia pungente per quel passato che, quando chiudeva gli occhi, assumeva le sembianze del volto da bufalo di suo zio. Rani accarezzò i capelli di sua figlia come se potesse leggere ogni suo pensiero.

Alla stazione di Puttalam presero un altro bus, più piccolo, che in un'ora e mezzo divorò l'A3 Puttalam-Colombo Road fino a Pulichchakulama Road, dove salirono su un tuktuk che le condusse fino all'abitazione della zia Komala che era già tardo pomeriggio, tutte sudate e stanche come se vi fossero giunte a piedi da Jaffna.

Udappu era allora come adesso un villaggio costiero di circa quindicimila anime, per lo più Tamil fuggiti dal nord durante la guerra civile. Anche la zia – che in realtà Rani neanche conosceva bene – aveva cercato rifugio molti anni prima con la sua famiglia, stanca del dolore e della paura provata per metà della sua esistenza, quando viveva a Jaffna.

Le stava aspettando sulla porta di casa.

Maalai Vanakkam!*”

Vanakkam!

Le due donne si abbracciarono mentre dalla porta di casa vennero fuori bambini come formiche da un formicaio.

Saanvi osservò quell'abitazione molto più grande della loro casa, con le pareti esterne rosa e le colonne rosse agli angoli del patio.

La zia era una donnina con il volto rotondo e scuro come un mangostano, più di sua madre, ma senza una ruga, il che rendeva difficile capirne l'età. Il collo era tozzo e corto e segnato da una sottile linea nera orizzontale che lo bombava in due parti come se un filo invisibile la strozzasse. I capelli ondulati erano lucidi e di un nero d'inchiostro di seppia; due seni piccoli a punta poggiati sulla pancia gonfia che pareva il carapace di una tartaruga dandole la forma di una pera su due gambe magroline e corte. Ma il suo sorriso dolce la rese immediatamente simpatica alla ragazzina.

“Tu sei la famosa Saanvi, la più brava danzatrice di tutto il nord dello Sri Lanka!”, le disse chinandosi un poco per guardarla negli occhi e accarezzandole il viso stanco; lei le rispose con un sorriso imbarazzato ed entrarono in casa.



Se la loro abitazione a Nallur era piccola e sembrava affollata con la famiglia dello zio, questa in cui viveva Komala traboccava di persone, sembrava di essere più in un pola* che in una casa: bambini correvano ovunque entrando e uscendo dalle porte delle stanze mentre alcune donne riposavano distese a terra. Komala presentò Rani e sua figlia alla donne in casa e offrirono loro da mangiare un bel piatto di kottu* preparato la mattina.

In quella casa vivevano le famiglie dei due fratelli della zia, ma da qualche giorno si erano aggiunti anche un cugino e una nipote con le rispettive famiglie perché l'indomani mattina sarebbero andati tutti al tempio Sri Veerapathra Kali Amman Kovil. Rani rimase con loro solamente due giorni, non poteva più a lungo perché le era necessario lavorare e doveva ancora dare una spiegazione della loro fuga improvvisa allo zio.

La puja* al tempio fu un modo per Rani per pregare per il futuro di sua figlia. Quella fu la richiesta che fece, in cuor suo, ad Ayyanar* mentre muoveva la lampada con gli stoppini accesi.

Saanvi sarebbe rimasta una settimana in quel villaggio per poi seguire la zia a Duwana.

Prima di salire sul tuktuk che l'avrebbe portata alla stazione dei bus, Rani abbracciò forte sua figlia e le sussurrò: “Non preoccuparti, ci parlo io con tuo zio. Poi appena posso torno a trovarti, tu pensa a studiare, non metterti nei guai e aiuta la zia.” Mentre le infilava in una tasca 800 rupie che le erano avanzate.

Quella fu la prima volta in cui a Saanvi vennero le lacrime agli occhi – neanche per suo padre aveva pianto, ma era troppo piccola allora.

 

“Barche a vele”. Sri Lanka, 1880


Ora che anche le altre famiglie erano tornate nei loro villaggi l'atmosfera nella casa si era fatta più placida, pur sempre animata dagli schiamazzi dei bambini piccoli.

C'era anche un piccolo televisore e qualche libro buttato sul pavimento.

Saanvi si rese utile come poteva, raschiando le noci di cocco seduta sulla hiramanaya*, oppure andando al mercato a comprare ciò che occorreva.

Il marito di Komala, Andiran, lavorava a Negombo in un ristorante, ecco perché si erano spostati a vivere più a sud, vicino alla città, così era più facile per lui tornare qualche ora nei fine settimana. Anche loro avevano cambiato regioni e case, come molte delle famiglie in quel villaggio, sia per lavoro ma per lo più per fuggire dal dolore e dal ricordo di parenti morti nella guerra civile.

Il mattino seguente la zia si era offerta di applicare l'olio di cocco ai suoi lunghi capelli, come faceva Rani a Nallur, per renderli lucidi e forti, e sovente Saanvi teneva compagnia a Komala nel suo momento preferito: sorseggiare un buon the caldo allo zenzero sedute sul sofa a guardare in televisione il suo teledramma preferito, “Paara Dige”*, in onda su Swarnavahini alle 20.30 della sera.

In rari casi la ragazzina riusciva a sintonizzarsi su qualche canale indiano che trasmetteva danza, anche se il segnale andava e veniva, e appena spegnava la televisione correva fuori in cortile, in solitudine, e danzava, danzava...

Komala se ne era accorta e la osservava, in silenzio, sorseggiando il the e sorridendo.



La vita in quel villaggio a Saanvi sembrava un eterno presente, una bolla di spazio e tempo in attesa di muoversi verso il sud. Quasi tutti gli uomini vivevano di pesca e l'odore di arack che sgorgava dalle piccole case e capanne lei lo conosceva bene. Ormai la pesca non era più sufficiente a sfamare le povere famiglie come un tempo, pertanto al mare gli uomini avevano affiancato in anni recenti la raccolta di toddy, la linfa di palma da cui distillare il liquore.

Nei pomeriggi assolati Saanvi camminava fino alla spiaggia. Amava sedersi con i piedi ficcati nella sabbia calda ad osservare le oruvas* saettare sul mare e poi ormeggiare davanti a lei, riempiendo la spiaggia come grandi conchiglie a righe colorate, con le vele che si gonfiavano seguendo il vento. Dinanzi ai suoi occhi il mare delle Laccadive e il sole che si frangeva sulle onde moltiplicandosi in infinite schegge tremolanti di luce brillante. Pensava a sua madre, a suo zio, al destino di nascere in una regione che ha imbrattato di sangue molte famiglie, come la sua, oppure di nascere nella costa opposta a quella dove sedeva lei adesso ed essere spazzata via, alle dieci di una mattina di dicembre, dallo tsunami – una piccola vita tra le oltre 40.000 uccise in quella catastrofe.*

Fin dalla sua venuta al mondo, ignara di tutto, e già con una pesante eredità di ferite difficili da rimarginare.

Per questo amava la danza. Era il suo modo di dimenticare. Un modo certamente migliore dell'arack dello zio.

Tutti noi abbiamo qualcosa da dimenticare nella vita e ognuno sceglie il suo modo per farlo.

 

Sri Lanka, 1870

Saanvi salutò tutti quanti in casa e con la zia salì sul bus che le avrebbe condotte in un paio di ore all'altra città.

“Nanda*...?”Chiese la ragazzina a Komala, seduta al suo fianco.

“Dimmi...”, “A casa a Duwana c'è la televisione?”

La zia sorrise con il suo viso rotondo e gli occhi neri, dondolando la testa di lato: “Certo che c'è! Come sarebbero le mie giornate senza i patimenti di Aluvihare!” Ed entrambe risero di gusto.

Il bus imboccò di nuovo l'A3 verso Colombo costeggiando il fiume Moha Oya.

Saanvi rimase a lungo, durante il viaggio, con la fronte appiccicata al vetro del finestrino osservando il profilo alternato della vegetazione e delle città punteggiato dalle cupole bianche delle dagobas* dei pansala, dalle  gopuram dei kovil cesellate con piccole figurine dipinte di trecento milioni di colori quante sono le divinità induiste, dalle mezzelune delle moschee fino alle croci delle chiese che andavano aumentando sempre di più, avvicinandosi allo snodo di Kochchikade; là scesero e cambiarono con un bus Tata di linea CTB rosso scuro lungo la Poruthota Road fino a Duwana. Saanvi vedeva oramai solamente croci e chiese.

Alla fermata del bus scesero e la zia disse alla nipote: “Benvenuta a Duwana”.

Poi salirono su un tuktuk. “Qui vicino c'è la stazione di Pallansena Three-well Taxi”, disse la zia alla ragazzina, “Puoi andare dovunque vuoi in pochi minuti.”

Giunsero finalmente a casa, non distante dalla rive del fiume.

A prima vista a Saanvi il villaggio non sembrava troppo diverso da quello di Udappu, un villaggio di pescatori, se non fosse stato per il fatto di essere circondata da chiese e di ascoltare tutti quanti parlare in singalese.

Adesso iniziava veramente a sentirsi lontana da sua madre.


La scuola più vicina era nel centro di Kochchikade, ed ogni volta impiegava un quarto d'ora di tuktuk tra andare e tornare.

Come d'accordo con la zia, Saanvi avrebbe aiutato in casa a cucinare, macinare le spezie e grattugiare il cocco, lavare i panni e andare al mercato quando occorreva, in cambio Komala le avrebbe dato qualche rupia per il tuktuk, e qualcosa in più: in fondo la zia era felice ci fosse la ragazzina con lei, era un modo per sentirsi meno sola e poi avevano raggiunto una piacevole sintonia, soprattutto quando scoccavano le 20.30 la sera e si posizionavano davanti la televisione per quei trenta minuti di tormento ed estasi di Aluvihare e  Nanayakkara.

Saanvi, nelle ore pomeridiane o quando tornava lo zio nel fine settimana, preferiva camminare, anche per concedere loro un poco d'intimità. Le case non erano molte e ogni volta aveva due scelte: camminare verso nord lungo le rive del fiume o andare a ovest verso la spiaggia. Da una parte vi erano le baracche di palma di paglia appese ai bordi lambiti dall'acqua dolce del Maha Oya, dall'altra la bianca sabbia con l'orizzonte solcato delle vele dell'oruvas e dei paruvas*.

Mentre camminava tra i vicoli terrosi Saanvi si accorgeva di come la guardavano gli uomini intenti a tessere le reti di nylon per la pesca con  le canoe a bilanciere così come le donne sedute sulla soglia di casa o nei cortili piegate sulle miris gala.

Non trascorse molto tempo prima che la gente del villaggio iniziasse a bisbigliare al suo passaggio.

Saanvi, una sera, lo disse alla zia ma Komala spense subito il discorso: “Ci farai presto l'abitudine, non ti preoccupare. Anzi! Perché non mi fai vedere qualche movimento di danza? Mi è sempre piaciuta la danza indiana!”

Alla ragazzina si illuminarono gli occhi; balzò in piedi, si strinse bene la coda dei capelli ed iniziò a battere i piedi per terra e a piegare il corpo torcendo le mani secondo lo stile Bharatanatyam come se nella piccola casa suonasse realmente un Vadya Trayam*.

 

“Merlettaie”. Sri Lanka, 1880


Il giorno successivo, al mercato, un venditore di pesce le domandò in singalese: “Tu sei la ragazzina che vive da Komala?” Saanvi annuì.

“Quella venuta da Jaffna...”, continuò l'uomo, mentre un altro pescatore più anziano, seduto a fumare sul bordo di un carretto in legno di lato la guardò e aggiunse: “È vero che tuo padre era uno dell'LTTE? Ne avete fatti di  danni voi...” Saanvi sfilò il pesce dalle mani del mercante, gli lasciò un paio di monete e corse via, mentre il rintocco delle campane della chiesa riempiva il cielo.

La bimba iniziava a sentire che quel fiume a pochi passi da casa fosse come una frattura che la separava sempre di più da sua madre: la nostalgia le mordeva il petto e quella sera non riuscì a mangiare nulla. La zia se ne accorse, vedeva negli occhi di Saanvi un'ombra che le spegneva la selvaggia bellezza d'adolescente.

“Lo sai che non lontano da qui c'è una piccola scuola di danza indiana?”

Saanvi fu come strattonata dalla mano del dio Murugan. Guardò la zia con la bocca aperta, pareva non aver compreso le sue parole.

“Davvero, nanda?”

La zia annuì con aria compiaciuta: “Domani, dopo la scuola ti ci porto.”

La nipote si gettò con tutto il peso sulla donna e l'abbracciò fino a farla quasi cadere di spalle per terra.

Come per magia si era già dimenticata di quanto era successo al mercato e si addormentò fissando il soffitto in cui vedeva coreografie di ombre e riflessi di luna.



Il pomeriggio andarono a piedi fino ad una abitazione grande come quella della zia ad Udappu, con le mura celesti e colonne in legno ocra nel patio. Dalle finestre veniva fuori una melodia indiana e battiti ritmici di mani. Sopra la porta vi era una targa con inciso in bei caratteri “Sanchalana” – movimento perfetto, il suo significato.

Saanvi, prima di avvicinarsi al patio tirò la veste della zia e le domandò: “L'insegnante è Tamil o Singalese?”

Komala la guardò un poco indispettita: “È Singalese, ma basta con queste domande stupide! Singalese, Tamil, Vedda, Burgese, siamo tutti srilankesi, no?!”

La fanciulla chinò il capo, annuendo: “Si, zia, scusa.”

Guruthumi* Anuradha? Guruthumi?” Chiamò a voce alta Komala dall'uscio di casa.

Di colpo la musica tacque così come il battito delle mani.

Si affacciò alla porta una donna dal colore di pelle ambrato, i lunghi capelli lisci legati dietro la schiena, con una veste dorata che lasciava intuire il corpo agile e sodo. Non avrà avuto più di cinquant'anni.

“Ayubowan Guruthumi, kohomeda*?”

Anuradha rispose al saluto della zia con un sorriso appena accennato e un breve inchino del volto sulle mani congiunte.

Allora Komala spinse la ragazza dalla schiena per farla avanzare un poco.

“Lei è mia nipote Saanvi ed è molto dotata per la danza, però non ha mai frequentato una scuola. Sarebbe un onore se lei potesse seguire le tue lezioni.” Disse la zia con il suo solito tono caldo e calmo della voce.

Anuradha, con distacco, guardò Saanvi senza il minimo movimento dei muscoli del volto o una sfumatura negli occhi.

“Sì, ho sentito del suo arrivo nel villaggio. Va bene, entrate.”

La ragazzina avvertì come un blocco alla gola e le mani fredde. Seguì la zia e l'insegnante all'interno della casa, attraversando una prima stanza alle cui pareti erano appese riproduzioni di Buddha e tessuti bianchi incorniciati con frasi in caratteri pali.

Entrarono in una sala molto più grande e spoglia in cui sedeva una decina di bambine di età diversa, le quali balzarono subito in piedi e unirono le mani per salutare gli ospiti.

Saanvi era come stordita; guardava le allieve, alcune molto più grandi di lei, ognuna con indosso il suo kurtha o il saree, a seconda dell'età, la stanza luminosa dalle grandi vetrate, i mridangam a terra e le salangai* arrotolate come serpenti vicino al muro, la statuetta in ferro di Naṭarāja a fianco al grande specchio che copriva l'intera parete  in fondo.

“Dunque, vediamo come danzi! Avanti, vieni al centro.”

Saanvi fu percossa dal suono secco e controllato di Anuradha e iniziò a balbettare: “Io?... Adesso?... Devo danzare?”

Komala la spingeva da dietro: “Vai, sbrigati...”

Anuradha la fissava con occhi severi.

“Sei venuta per danzare, giusto? Danza, dunque!”

E iniziò a battere le mani a tempo, palmo contro palmo, con un suono forte e secco come un ramo che si spezza.

Saanvi si avvicinò al centro della sala, voltandosi a guardare sua zia e le altre allieve che sghignazzavano con le mani davanti la bocca.

“Balli o dormi?” Chiese l'insegnante avvicinandosi a lei battendo le mani ancora più forte mentre con la voce scandiva la cadenza Ta! Taa! Tajenno-Ta! Takkanam... Taketa! Taketaa! Tajenno-Ta...!

Allora Saanvi iniziò a ballare, cercando di seguire il ritmo delle mani e della voce di Anuradha, ma aveva la sensazione che il suo corpo non fosse in quella sala, che il pavimento fosse viscido e gelido. Appena incrociava lo sguardo di Anuradha perdeva il ritmo, andava fuori tempo, mentre le bambine alle sue spalle ridevano con più vigore.

L'insegnante smise di colpo di battere le mani e urlò alle allieve: “Che ridete voi?! Fate silenzio!”

Poi si avvicinò faccia a faccia a Saanvi, la guardò così intensamente che pareva le stesse scavando un pozzo nell'anima.

“Lascia stare, la danza non fa per te.”

Quindi camminò verso Komala, lasciando Saanvi pietrificata e con il fiatone grosso in mezzo alla sala.

“Mi dispiace attai*, ma tua nipote è troppo indietro. Prova in un'altra scuola, a Negombo ce ne sono tante.”

La zia vide Saanvi venire verso di loro con il mento premuto sul collo, in un silenzio surreale che trasudava delusione e tristezza.

“Va bene, Guruthumi, grazie lo stesso”. Rispose Komala a voce bassa, cinse le spalle della nipote con un braccio e uscirono dalla scuola, percorrendo il tragitto verso casa in completo silenzio.

 

Sri Lanka, 1880
 



Saanvi, a casa, si lavò in cortile e poi uscì correndo. La zia provò ad andarle dietro ma era impossibile.

“Saanvi! Saanvi! Dove vai? Non mangi niente?”

Ma le sue parole furono rapite dal vento umido della sera.

La ragazzina raggiunse la spiaggia correndo veloce così che nessuno potesse vedere le sue lacrime.

Si sedette sulla spiaggia con i piedi e le mani nella sabbia come piaceva a lei, la rilassava, e rimase a fissare il mare finché l'orizzonte divenne un filo d'argento tra la notte del mare e quella del cielo.

Avesse avuto più coraggio avrebbe voluto spingere una delle tante oruvas addormentate sulla spiaggia fin dentro l'acqua per remare a nord e svegliarsi il giorno dopo a casa sua a Nallur.

Iniziava a sentire la mancanza di suo zio, delle cugine, delle fotografie capovolte alle pareti.

L'insegnante a scuola aveva detto che Negombo è chiamata “la Piccola Roma”, perché molte di quelle navi erano salpate da quella costa per raggiungere l'Italia.

Lei neanche sapeva dove fosse l'Italia, in che punto del mappamondo ci fosse Roma.

Non le importava nulla.

Sentiva solamente il sapore salato delle lacrime tra le labbra: avrebbe voluto addormentarsi tra le braccia di sua madre e non svegliarsi mai più.

CONTINUA...

  

*Secondo la cultura Tamil, si dice vanakkam tenendo le mani unite con i palmi che si toccano per salutare una persona. A volte, a questo saluto è associato anche un leggero chinarsi del capo. Si dice vanakkam in modo diverso a seconda dell'ora del giorno.

Mattina: Kaalai Vanakkam

Pomeriggio: Mathiya Vanakkam

Sera: Maalai Vanakkam

Notte: Iravu Vanakkam

“Van” significa “vanangu” (adorazione). 'Ak' rappresenta l'alfabeto '' in Tamil. Visivamente, ha 3 punti e in questo contesto simboleggia gli occhi umani insieme al terzo occhio (lo spazio tra le nostre sopracciglia). Si crede che Dio risieda all'interno di ogni essere umano al terzo occhio. Quindi, dicendo “Vanakkam”, non si intende solo salutare la persona, ma anche il Dio che risiede nel terzo occhio della persona.

*Pola è il mercato settimanale nei villaggi.

*Kottu (noto anche come Kottu roti o in alternativa Kothu roti), che significa roti tritato) è un piatto dello Sri Lanka composto da roti a cubetti (godhamba roti o roti simili al tipo usato per fare roti canai) saltati in padella con uova strapazzate, cipolle, peperoncini, spezie e verdure o carne opzionali, come montone o pollo.

In genere, il consumatore sceglie cosa e quanto della quantità di ingredienti includere se qualcun altro sta preparando.

*La puja è la preghiera e offerta induista.

*Ayyanar è una delle divinità induiste principalmente adorate dai Tamil ad Udappu, ma è anche adorato come Ayyanayake dal popolo singalese.

*Il cocco è un elemento essenziale nella cucina dello Sri Lanka. Il latte di cocco viene utilizzato nel curry e nel riso al latte e il cocco grattugiato viene utilizzato per preparare Sambola, Pittu e Roti. Il cocco viene grattugiato usando un hiramanaya (raschietto per cocco), nessuna cucina in un villaggio ne è sprovvista. La persona che grattugia la noce di cocco deve essere seduta sull'hiramanaya mentre il corpo viene piegato in avanti. Un hiramanaya è costituito da due parti principali: la parte per sedersi e la grattugia. La parte su cui ci si siede è in legno e la grattugia in acciaio, con denti piccoli e affilati per grattugiare il cocco.

*“Para Dige” è un famoso teledramma in onda su Swarnavahini, diretto da   Saddamangala Sooriyaarachchi. È la storia drammatica di un'amicizia condivisa da tre ragazzi e una ragazza: Aluvihare è una persona che non è in grado di ottenere un nuovo lavoro da quando è divorziata; il suo amico gli trova una sposa che ha accettato l'accordo di divorziare da Aluvihare una volta ottenuto il lavoro. Alla fine lei ottiene il lavoro e inizia a mantenere il finto matrimonio. Dall'altra parte una persona chiamata Nanayakkara è caduta in una trappola dei gangster dei bassifondi che lo ricattano per aver tradito sua moglie. Queste due storie si scontrano insieme dal momento che i gangster dei bassifondi sono coinvolti in entrambi gli incidenti, rendendo la trama ricca di suspense e thriller.

*Le oruvas sono le canoe a vela tipiche dello Sri Lanka.

*Il 26 dicembre 2004, uno tsunami colpì l'Oceano Indiano, generato da un terremoto di magnitudo 9,0 al largo della costa di Sumatra. A parte l'Indonesia, la nazione insulare dello Sri Lanka subì probabilmente il maggior numero di vittime: oltre 40.000 le vittime confermate.

*Nanda, zia.

*Dagobas sono le stupa dei templi buddhisti (pansala).

*Paruvas è un grande catamarano a motore dotato di divisori kurlon.

*Tradizionalmente, le esibizioni di Bharatanatyam sono state accompagnate dal Vadya Trayam (Santa Trinità) degli strumenti carenatici: Veena (uno strumento a pizzico), Venu (flauto) e Mridangam (tamburo). Questi tre strumenti hanno funzioni specifiche: il Mridangam integra i movimenti ritmici del piede del ballerino, il Veena migliora la trama con la sua gamma di corde tala e corde principali e il flauto decora le melodie con ornamenti.

*Guruthumi è il modo più formale di chiamare un'insegnante di danza.

*Ayubowan è il saluto tra singalesi, kohomeda significa “come state?”

*Le Salangai sono le cavigliere con i campanelli, chiamate anche ghungroo, che si usano nella danza classica Bharatanatyam.

*Naṭarāja, ovvero Shiva, anche chiamato il Signore della Danza, o il Dio danzante; questa è l'immagine più popolare, e corrisponde alla danza detta nādānta, quella che secondo tradizione Shiva effettuò a Chidambaram (o Tillai), nella foresta di Tāragam per difendersi dai ṝṣi seguaci del Mīmāṃsā e dal nano che questi avevano creato per assalirlo.

*Attai, zia.


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