©Luca Desienna |
Ci sono alcuni libri fotografici capaci di raccontare storie
particolari, intense. Che aiutano a riflettere.
Uno di questi è certamente il reportage di Luca Desienna “My Dearest
Javanese Concubine”, uscito nel 2019 per la polacca BlowUp Press.
Ho cercato a lungo questo libro di non facile reperibilità, perché è
ambientato in Indonesia, precisamente a Yogyakarta, in cui sono stato in uno
dei miei primissimi viaggi in Indonesia, nel 2014.
È un piccolo libro con foto in un bianco e nero sgranato intercalate,
ogni tanto, da piccole fotografie a colori.
La cara concubina giavanese è Tira Yohanes Soepomo, un transessuale che
vive ai margini della società dopo che svariate operazioni chirurgiche mal
riuscite, per definire meglio la sua sessualità femminile, hanno ridotto il suo
volto ad una maschera dolente e deforme.
Tira è amata intensamente da Dayang, un giovane ragazzo anche lui
emarginato, senza lavoro, dal volto da bambino.
Il fotografo ha vissuto con loro, documentando ogni aspetto della loro
vita, nel piccolo squat di sei metri quadrati, fino alla malattia di Tira e
alla sua morte, a 48 anni, a causa dell'HIV.
Dayang non l'ha mai abbandonata, pur sapendo che era malata e che lo
sarebbe potuto diventare anche lui.
Nel libro ci sono molte fotografie crude di rapporti sessuali ma anche
dolce tenerezza.
Come recita la frase che apre il libro:
“La tenerezza non ha mai navigato così
delicatamente tra le tenebre.”
Sapevo quale fosse il soggetto del reportage ma non avevo ancora visto
le immagini.
Lo stile è quello della forte empatia senza giudizio morale nel solco
dei lavori di Nan Goldin, D'Agata, Araki.
Un approccio e una tematica che mi interessa profondamente: quello della
ricerca della dolcezza, dell'amore e della luce laddove è facile vedere solo
miseria, abiezione e oscurità.
Il libro ha anche una breve ma splendida introduzione di Peggy Sue
Amison, la quale riesce in poche righe a descrivere perfettamente questa storia
e la sua singolarità.
Inizia dicendo come in altre culture, molto probabilmente, Tira sarebbe
stata considerata un essere sacro proprio per la sua sessualità indefinita,
un'insegnante di vita.
Ma quasi sempre le nostre vite sono segnate anche dal luogo in cui nasciamo. È inevitabile che crescere in quel corpo indefinito e con il volto deformato da dottori incompetenti, hanno reso Tira l'evidenza medesima del suo “peccato” in una città profondamente islamica come Yogyakarta.
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Ma lei ha Dayang, questo altro scarto della società, con la sua
immancabile chitarrina in legno, come si
vede spesso nelle grandi città giavanesi.
Ancora ricordo la prima volta che vidi a Giacarta, nel 2010, questi
ragazzetti magri come chiodi, con i jeans strappati, spesso magliette punk,
andare a chiedere qualche centesimo alla gente suonando queste chitarrine. Chi
era con me mi diceva di stare attento perché erano ragazzacci, drogati,
pericolosi.
Io, sinceramente, non ci ho visto mai nulla di male, non fosse altro
che da ragazzo ero uno come loro – ancora ricordo quando mia nonna materna
voleva dare dei soldi a mia madre per comprarmi dei pantaloni nuovi perché
erano tutti strappati al ginocchio, quando andavo ancora alle scuole medie. E
poi perché ormai, a questo punto della mia vita, non giudico certo qualcuno
perché dorme in un angolo della strada o ha i jeans strappati.
Anzi, fa quasi tenerezza Dayang in queste foto.
Come ho detto, questo è un libro che può certamente scandalizzare o
disgustare qualcuno, ma è nelle fotografie più dolci che mi piace di più.
Non tanto negli amplessi selvaggi ma nei due amanti intenti ad
accarezzarsi il volto o in Dayang che dorme placido sul fianco di Tira, in un
bus, con un bambino che li guarda di lato.
Anche se Tira è forte e Dayang innamorato, e ormai abbandonati alla
loro esistenza così come è, viene da chiedersi se ci si può mai totalmente
abituare agli sguardi di repulsione e giudizio morale degli altri.
Come dice Tira in una frase riportata nel libro:
e non lo vogliono sapere...
si fermano all'ingresso
e rimangono lì, a guardare...
fissando la superficie.”
Oltre quella superficie, all'interno del loro monolocale, c'è quello
che la Amison chiama la “lussuria per la vita e il coraggio di essere loro
stessi.”
Ciò che per la gente comune è dato per garantito, loro devono lottare
per conquistarlo, ovvero il diritto di vivere i loro corpi, di essere
riconosciuti come autentici, “essere amati e fare l'amore, ubriacarsi, cantare,
ballare, pregare – essere umani. Essere visti.
Erano sacri l'uno per l'altro".
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Perché, come conclude poeticamente Amison, alcune vite sono fiamme che
bruciano intensamente e Tira fu una supernova.
Bellissima immagine, che si riaggancia al punto di partenza. Le stelle
per brillare hanno bisogno dell'oscurità. E far brillare le nostre vite, anche
se imperfette, segnate dal peccato, borderline, è sempre l'amore.
La pietas greca, la pietà.
Come ci ha insegnato nel modo più terribile e doloroso D'Agata – di cui
spero di riuscire a scrivere un giorno – capace di provare sincero amore per le
prostitute e le donne malate di HIV dei bordelli in Cambogia: la sua fotografia
era il suo modo di donare loro la luce, per un attimo, nella desolazione e
oscurità delle loro esistenze ignorate da tutti.
Lo stesso fa Desienna, fino alle ultime immagini del letto vuoto, forse
in un ospedale, e Dayang che vaga da solo con lo sguardo perso e stordito per
le strade trafficate di Yogyakarta.
Alla fine questo era il senso della frase di Tira: è facile sostare sul
bordo della porta, giudicare da là, senza fare il passo dentro.
Chi siamo noi per giudicare le esistenze degli altri?
Non esistono amori di livello alto o inferiore.
Dayang ha scelto di amare quelle essere deforme, malato, di molti anni
più grandi di lui, fino al suo ultimo respiro, a costo della sua stessa vita.
Emarginato, giudicato, disprezzato.
Eppure sacro agli occhi di chi lo ha amato.
Luce nell'oscurità dell'eterna notte dell'universo.
Questa è una supernova, la cui breve luce esplosa può superare quella
di un'intera galassia.
In Memoria di Tira
Yohanes Soepomo
1965 - 2011
©Luca Desienna |
Luca Desienna: “My Dearest Javanese Concubine” (BlowUp Press, 2019)
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