Il potere evocativo delle immagini



Torpignattara. Roma, 17 febbraio 2024


“E fia la tua imagine leggera

in giugnere a veder com’ io rividi

lo sole”

(Dante, Purgatorio, Canto XVII)


Torno a parlare di fotografia.

Grazie ad una fotografia.

Era da tempo che non provavo così piacere nello scattare e poi osservare un'immagine.

Che bella parola “immagine”. Se “fotografia” ha un peso specifico dovuto all'atto della scrittura, l'immagine è più leggera.

Imago -gĭnis, dal latino. Che non è solamente la forma esteriore delle cose percepite dalla nostra vista, ma anche la “rappresentazione con mezzi artistici della forma esteriore di cosa reale o fittizia” fino alla “rappresentazione alla mente di cosa vera o immaginaria, per opera della memoria o della fantasia”(come è scritto nell'Enciclopedia Treccani) – ovvero l'immaginazione.

L'immagine di un pezzo di realtà può diventare un frammento d'immaginazione. Mescolare reale e non reale.

Credo che questo sia gran parte del fascino che suscitano in noi alcune fotografie.

Non solo. Ma anche il motivo per cui è molto difficile, se non impossibile, descrivere a parole il motivo della loro bellezza per noi, del perché ci piacciono.

Così come non è facile spiegare perché ci piace una melodia, una musica.

È un fatto di combinazione di note che sì sono scritte sul pentagramma ma a noi arrivano come suoni e non come segni.

Emozione senza il peso della ragione che filtra la lettura delle note scritte.

Come invece nella lettura di una poesia o di un racconto.

Le parole hanno tutto un altro peso.

Le parole esprimono il razionale, le immagini attingono all'irrazionale.


Il filosofo francese Maurice Merleau-Ponty, nel suo meraviglioso – e più volte citato – libro, “Il Visibile e l'Invisibile”, parla di fenemono della reversibiltà a proposito dell'essere nel mondo, che è alla base della visione fenomenologica: in cui la percezione muta si manifesta come esistenza carnale dell'idea, e la parole come una sublimazione della carne. Il visibile e l'invisibile del mondo sono estensione e pensiero: non più la distinzione dualistica cartesiana ma sono l'uno dell'altro, il diritto e il rovescio e noi siamo parte di tutto questo, una parte inestricabile.

Le immagini sono immaginazione ed esistenza carnale delle idee – e dei sentimenti, aggiungo.


Tornando a questa fotografia continuo ad avere difficoltà a capire il motivo del piacere che mi dà guardarla. Certo, è possibile trovare delle caratteristiche evidenti: la silhouette della bambina che è incorniciata perfettamente dalle ombre delle foglie degli alberi, lo spicchio rosso lucente del suo suo vestito, la luce calda di mezzogiorno, il disegno della ombre che decorano il suolo. Si potrebbe anche descriverla come se fosse il brano di un racconto. Ma è ciò che evoca che non si può dire, proprio perchè le sue evocazioni sono paesaggi interiori. 

Quello che nell'antica estetica indiana si chiama rasa, ovvero l'esperienza emozionale nell'arte drammatica e nella poesia. Nella lingua indo-malese “rasa” mantiene lo stesso significato di sentimento, di gusto.

È alla base dell'esperienza emotiva e di godimento di un'esperienza artistica.

In realtà, l'incapacità di spiegare i motivi di ciò che ci piace osservare od ascoltare non è un nostro limite, anche se secoli di predomonio logico sull'esperienza emotivo-percettiva ce lo fanno credere.

Come ci dice Merleau-Ponty, la realtà fenomenica è un chiasma, un incrocio reversibile e incarnato di esperienza, percezione, idee e parole.

Le nostre percezioni sono le nostre parole fatte carne, il piacere che proviamo, muto, è già un discorso.


Forse è proprio quello il fascino di questa semplice fotografia: la bellezza di non riuscire a dire nulla.


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