Piazza Malatesta. Roma, 18 dicembre 2021 |
Qualche giorno fa mi è capitato di vedere a terra, in una fredda
mattina di Roma, questo paio di guanti uno prossimo all'altro, con ancora una
spruzzata di brina dal gelo dell'alba; appena mezz'ora dopo, tornato a vedere,
la brina si era già sciolta così come l'aura intorno ai guanti sul suolo umido.
Per fortuna li avevo già fotografati.
Come tutte le immagini anche questa non è altro che un insieme di
segni, in alcuni casi ciò che i segni significano è chiaro e didascalico, in
altri ognuno può interpretarli come meglio crede e sente.
A me hanno subito colpito, senza capire il motivo: prima che
l'intelletto si mettesse in movimento il cuore aveva già raccolto per sé quei
segni appoggiati a terra.
Poi, in quel tempo che io chiamo “tempo del formaggio”, ovvero la
stagionatura nelle cantine delle forme di formaggio affinché raggiungano la
maturazione per essere degustate, che possono essere anche di molti mesi, mi è
balenato uno dei possibili significati di quell'immagine.
Premetto che, a mio avviso, il significato e la motivazione di ciò che
ci colpisce, ci piace o ci commuove, è già dentro di noi prima che la nostra
razionalità arrivi a decifrarlo; comunque, mi è sembrata un'ottima immagine del
nostro tempo presente.
O meglio, della vecchiaia.
Il mio compleanno è alle porte, con i cinquant'anni che iniziano a
intravedersi tra la nebbia; anche se in cuor mio mi sento veramente ancora un
adolescente. Però è da tempo che mi viene da riflettere sulla vecchiaia.
Questa pandemia non ha certo migliorato le cose.
Da una parte abbiamo gli ultimi dati demografici sul nostro paese, con
un'Italia sempre più vecchia e in cui il Covid 19 ha accentuato la tendenza
alla recessione demografica già in atto:
“Il quadro che emerge dal nuovo «Censimento
della popolazione e dinamica demografica - 2020» dell’Istat riporta un nuovo
record minimo delle nascite: 405 mila, aggravato dall’elevato numero di decessi (740 mila). E così
il deficit di sostituzione naturale tra nati e morti (saldo naturale)
nel 2020 raggiunge -335 mila unità, un valore inferiore, dall’Unità d’Italia,
solo a quello record del 1918 (-648 mila), quando l’epidemia di «spagnola»
contribuì a determinare quasi la metà degli 1,3 milioni di decessi registrati
in quell’anno.
La popolazione italiana (59 milioni di
residenti, -0,7%) diventa così sempre più anziana: l’età media si innalza, da
45 a 45,4 anni. Ma lo squilibrio della
piramide per età della popolazione è ben evidenziato dal confronto tra la
numerosità degli anziani (65 anni e più) e quella dei bambini sotto i 6 anni di
età. Basti pensare che nel 2020 per ogni bambino, si contano 5,1 anziani a
livello nazionale, valore che scende a 3,8 in Trentino-Alto Adige e Campania, e
arriva a 7,6 in Liguria.” (cit. “Corriere della sera”)
A questo si aggiunge il triste primato degli anziani uccisi dal Covid:
in questi due anni abbiamo assistito inermi alla tragedia di famiglie spezzate,
di figli che non potevano abbracciare o dare l'ultimo saluto agli anziani
genitori o ai nonni. Fino alle immagini simboliche e indimenticabili di coppie
di anziani in un abbraccio separati da una tenda di plastica, le quali
rimangono – per me – le vere icone della tragedia dell'inizio della pandemia.
© Valeria Ferraro. Hugs Room. Casa di Cura Madonna della Catena, Dipignano, CS. Date: 09.12.2020 |
Tutto questo ha anche un merito, assolutamente involontario, che è
quello di avere “sdoganato” (che brutta parola, come se si trattasse di una
merce) proprio la vecchiaia.
Più volte ho qui scritto delle implicazioni psico-filosofiche relative
alla società occidentale, citando il grande Zygmunt Bauman e il suo “Il Teatro dell'Immortalità” (1992),
in cui descrive in modo perentorio il vano tentativo della cultura umana di
emanciparsi dalla mortalità, decostruendo il concetto stesso di morte,
trasformandola da un orizzonte lontano ma inevitabile, ad una serie di cause
evitabili, più vicine a noi ma controllabili, soprattutto con pratiche
“post-moderne” di occultamento di ogni segno riconducibile alla morte, come la
malattia fisica, quella mentale, la vecchiaia e la morte stessa. Bauman parla
di “segregazione”, tutto ciò che attenta alla nostra costruzione immaginifica
si immortalità va segregato, allontanato da noi, se non dalle nostre anime che
sia almeno lontano dai nostri occhi: ecco che sorgono i manicomi, gli ospedali,
i campi rom, gli ospizi, i cimiteri con le mura alte.
Nonostante l'amore profondo per i nostri cari, per gli anziani, abbiamo
deciso di mettere a tacere le nostre più ancestrali paure segregandoli in luoghi
chiusi e lontani, a costo di accendere una pesantissima ipoteca con le nostre
coscienze.
“Il fallimento della comunicazione col morente è
il prezzo che noi, cittadini del mondo moderno, paghiamo per il lusso della
vita dalla quale è stato esorcizzato, per tutta la sua durata, lo spettro della
morte.” (Z. Bauman)
Questo stesso concetto l'ho trovato, in un'altra forma, nel libro
appena pubblicato da Adelphi “Di chi sono le case vuote?”, dell'architetto
Ettore Sottsass. In questa raccolta di pensieri, memorie e idee, c'è un breve
capitolo intitolato “Quando il giorno sta per finire”, molto particolare.
Inizia così:
“Quando il giorno sta per finire viene quella luce che non si sa bene, quella lenta luce di morte, allora si ricorre all'interruttore della lampadina, un po' per vedere quello che c'è intorno ma anche per vedersi vivere a dispetto delle tenebre che arrivano.”
Finora non mi era mai venuta la curiosità di conoscere il punto di
vista di un architetto, sempre dietro a fotografi, filosofi o scrittori. Di
certo Sottsass aveva una vasta cultura e comunque un inevitabile interesse e
amore per la luce e le forme, il cui lavoro lo portava a riflettere anche
sull'esistenza dato che era colui che progettava i luoghi, e i loro
abbellimenti, abitati dalle persone.
La chiamava la sensazione di avere “le tenebre sedute sulla testa”, che
spingeva le persone a cercare continuamente la luce. Se in Bauman il discorso
era di alto livello e di matrice filosofica, in Sottsass l'umanità era ridotta
ad una massa intenta in piccoli rituali quotidiani che la traghettasse da un
giorno all'altro, inteso proprio come luce solare.
La stessa pratica modaiola di “vivere la notte” non è che un altro modo
di evitare la notte, con le sue tenebre: è un prolungamento del giorno, “come
dire che lungo la notte uno si prepara a vivere tutto quello che non è riuscito
a vivere di giorno o tutto quello che pensa gli sia stato sottratto di giorno
o, peggio, tutto quello che non si è neanche accorto di non aver vissuto di
giorno.”
Tutto questo prima che i nostri sguardi fossero colmati dalle immagini
strazianti dei corpi malati degli anziani nella case di cure, degli abbracci e
le strette di mano rugose separate da tende di plastica.
Non è stato più possibile distogliere quello sguardo. Fingere di non
sapere che siamo condannati alla vecchiaia e alla morte.
Abbiamo dovuto farci carico nuovamente della pietra gigante sulle
nostre spalle umane di Sisifo e tornare a salire la china del monte.
Perché se non facciamo più figli il nostro paese diventa un luogo di
anziani, fragili ma ricchi del loro sapere e della loro esperienza.
È ora di amarli.
Di ascoltarli.
Segregare e allontanare la vecchiaia non ci rende eternamente giovani,
così come rinchiudere i malati di mente non ci allontana dalla follia.
Meglio avere le tenebre davanti a noi che non sedute sulle nostre
teste.
Indonesia, November 2017 |
Ecco che i segni prendono la loro posizione nell'immagine dei guanti.
La loro romantica vicinanza, il loro essere usati e abbandonati, la patina
grigia di brina che svanisce con il calore, l'aura bianca che li allontana e
separa dal resto del pavimento umido del marciapiede.
Quella posizione come se fossero in preghiera.
Come ad implorare di non essere abbandonati a terra, al freddo, all'argento
dell'età.
Ma questa è solo una mia suggestione, una delle decine e decine di
interpretazioni possibili dei segni di un'immagine.
Però mi sembra il modo migliore di augurare buone feste a tutti quanti, e di avviarci ad un prossimo anno con il cuore più leggero e un'attenzione maggiore a chi vive ai margini delle nostre città come delle nostre vite.
P.S.
Voglio ringraziare la mia carissima amica Valeria per avere permesso l'uso di una sua fotografia scattata nelle RSA durante la prima fase del Covid.
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